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I nativi americani difendono  il loro diritto di voto

La riserva di Turtle Mountain, nel North Dakota, l’11 maggio 2016. (Mica Rosenberg, Reuters/Contrasto)

Elvis Norquay, membro della tribù dei chippewa, ha trascorso buona parte dei suoi 58 anni di vita nell’isolata riserva di Turtle Mountain, nel North Dakota, e sostiene di non aver mai avuto difficoltà al momento di votare.

Questo però è successo fino al 2014, quando si è fatto dare un passaggio da un amico per andare a votare per le elezioni locali e quelle del congresso e si è visto respingere. Mortificato, ha chiesto il perché. Gli è stato risposto che, stando ai nuovi regolamenti dello stato, era privo dei necessari documenti d’identità. Non possiede telefono, non ha una patente valida e i suoi documenti tribali sono privi d’indirizzo postale.

“Quando siamo andati via il mio amico ha detto che si trattava di un’ingiustizia”, spiega Norquay, che dal 2002 vive grazie ai sussidi di disabilità in un’area rurale al confine col Canada.

Norquay fa parte del gruppo sempre più numeroso di nativi americani coinvolti in dispute legali relative alle modifiche delle leggi elettorali, che potrebbe condizionare il risultato di alcune sfide serrate durante le elezioni presidenziali e del congresso nel novembre del 2016.

I nativi americani sono pochi su scala nazionale, ma le cause che li coinvolgono a proposito di problemi di voto si sono moltiplicate da quando,nel 2013, la corte suprema ha cancellato alcune parti del Voting rights act (Vra), uno storico traguardo legislativo per i movimenti dei diritti civili degli anni sessanta.

Il North Dakota è uno dei 17 stati che prevede nuove restrizioni del diritto di voto già dalle ultime presidenziali, secondo il Brennan center for justice della New York University school of law.

Il timore è che le nuove regole elettorali possano influire sul numero dei voti espressi dalle minoranze

Molte delle modifiche alla legge elettorale hanno scatenato timori che gli elettori neri, ispanici o membri di altre minoranze possano essere privati dei loro diritti.

Dopo la decisione della corte suprema, sono state intentate cinque cause federali che riguardano nativi americani, di cui tre solo quest’anno.

Le azioni legali intraprese in North Dakota, Utah, South Dakota e Arizona nascono dalla convinzione che le nuove regole di voto approvate in stati a maggioranza repubblicana siano discriminatorie e potrebbero ridurre il numero di voti espressi dai membri delle tribù, che tendenzialmente appoggiano i democratici. In Alaska, per esempio, è stata intentata una causa perché lo stato avrebbe violato alcune regole federali, non traducendo il materiale elettorale per i votanti tribali.

Il voto compromesso

Le tribù sostengono che le modifiche alle regole di voto li penalizzino in maniera sproporzionata, un’accusa che però è stata rigettata dagli stati e dalle contee.

Il loro voto non sarebbe comunque sufficiente a far vincere i democratici in uno stato saldamente repubblicano come il North Dakota. Tuttavia, i nativi americani rappresentano una quota crescente della popolazione e addirittura sono la maggioranza in alcune contee dove, negli ultimi anni, la crescita dell’affluenza ha spostato gli equilibri alle elezioni per il congresso. In molti stati stanno crescendo in media più velocemente della popolazione generale. Secondo i dati demografici, tra il 2000 e il 2010 il loro numero totale nel paese è aumentato del 26,7 per cento contro una crescita della popolazione statunitense globale del 9,7 per cento.

Le recenti modifiche alle leggi elettorali, come la nuova legge del North Dakota sui documenti d’identità, sono parte di “un tentativo molto più ampio, deliberato e congiunto, da parte dei repubblicani, volto a ridurre l’affluenza di specifici gruppi di votanti il giorno delle elezioni”, afferma Pratt Wiley, responsabile della tutela degli elettori presso il Partito democratico a Washington.

I repubblicani negano che i cambiamenti alle leggi elettorali approvati da amministrazioni controllate dai repubblicani siano discriminatori, e sostengono che il loro obiettivo sia invece quello di ridurre le irregolarità elettorali.

“Sono leggi di buon senso che proteggono le elezioni da eventuali irregolarità”, ha dichiarato Lindsay Walters, portavoce nazionale del Comitato nazionale repubblicano.

Carte d’identità tribali

Al centro della questione, in North Dakota, ci sono degli emendamenti promossi soprattutto dai rappresentanti repubblicani dello stato, nel 2013 e nel 2015, a una legge elettorale statale del 2003. Questi emendamenti hanno eliminato una disposizione che permetteva alle persone prive di regolari documenti d’identità, come Norquay, di votare lo stesso se riconosciuti da uno scrutatore o se avessero firmato una deposizione giurata nella quale dichiaravano la propria identità.

A gennaio Norquay e sei altri membri della sua tribù hanno citato in giudizio il segretario dello stato presso un tribunale distrettuale degli Stati Uniti in North Dakota. Sostengono che nel novembre del 2014 sia stato negato il loro il diritto di voto quando hanno scoperto che le carte d’identità tribali che possedevano, non contenendo un indirizzo di residenza valido, secondo le nuove disposizioni non bastavano più.

Elvis Norquay, membro della tribù indiana dei chippewa, nella sua casa nella riserva di Turtle Mountain, nel North Dakota, l’11 maggio 2016.

Alcuni appartenenti alle tribù non possono permettersi nuove carte d’identità tribali oppure faticano a ottenere i documenti necessari poiché non esistono uffici dello stato che forniscano patenti di guida nelle riserve.

Richard McCloud, presidente della tribù chippewa di Turtle Mountain, ha dichiarato che la diffusa disoccupazione e la povertà che colpiscono i nativi rendono problematico, per alcuni di loro, pagare i dieci dollari necessari a ottenere una nuova carta d’identità tribale.

“Dieci dollari equivalgono a un chilo e mezzo di carne e un po’ di pasta per una famiglia”, ha spiegato McCloud al quartier generale della tribù, all’interno della riserva dove vivono circa 4.274 persone, qualche chilometro a sud del confine canadese.

“Può sembrare poca cosa se lavori, ma non lo è per persone che non riescono a guadagnare dieci dollari”, spiega.

Il segretario di stato del North Dakota, Al Jaeger, l’unico imputato nel processo, ha dichiarato in un’intervista che la legge non è discriminatoria, anzi serve a semplificare il processo di voto nell’unico stato del paese che non richiede agli elettori di registrarsi prima delle elezioni. Ha poi aggiunto che il suo ufficio ha investito molto per campagne di sensibilizzazione che spiegassero agli elettori quali fossero i documenti di riconoscimento validi.

Il vice di Jaeger, Jim Silrum, ha spiegato che i documenti d’identità non sono un ostacolo per il 97 per cento degli abitanti dello stato dotato di patente, un documento d’identità accettato, e quindi il numero delle persone colpite dai cambiamenti è minimo. Le persone prive di patente possono ottenere gratuitamente, dalla motorizzazione civile, una carta d’identità per non guidatori dello stato, che è considerata valida alle urne.

Il voto dei nativi americani è ormai in grado di indirizzare le elezioni

Rolette county, che circonda la riserva dove vive Norquay, è una delle due contee dello stato dove circa il 75 per cento degli abitanti è nativa americana. Queste due contee sono state gli unici luoghi del North Dakota in cui, nel 2012, gli elettori hanno votato il presidente Barack Obama con percentuali superiori al 70 per cento.

Dopo l’approvazione delle modifiche alla legge sull’identificazione in North Dakota, l’affluenza elettorale a Rolette county è scesa di oltre il 12 per cento tra le elezioni di metà mandato del 2010 e del 2014, un calo superiore a quello di qualsiasi altra contea dello stato.

Jean Schroedel, un professore della Claremont graduate university in California che studia il voto dei nativi, afferma che “ il loro voto è ormai in grado d’indirizzare le elezioni”.

Il Native american rights fund, uno studio di avvocati senza fini di lucro che rappresenta Norquay e altri chippewa nella causa contro lo stato, ha in progetto di presentare entro il 30 giugno una mozione nella quale chiederà alla corte d’invalidare gli emendamenti alla legge sull’identità prima delle elezioni di novembre.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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