La tecnica usata nei vaccini contro il covid può rivoluzionare la medicina
Saranno anche nostri nemici, ma i virus ci hanno insegnato un paio di cose. Quando un virus ci colpisce, prende in ostaggio le nostre cellule e le mette al lavoro costringendole a sintetizzare le sostanze necessarie alla produzione di altro virus. È una strategia incredibilmente efficace, che in poco tempo permette all’intruso di diventare più forte e di attaccare il nostro sistema immunitario.
La domanda è: se i virus possono requisire i centri di produzione delle proteine nelle nostre cellule per raggiungere il loro scopo, perché non possiamo farlo anche noi per rafforzare le nostre difese? A quanto pare, in effetti, possiamo farlo. È stata questa l’intuizione che ha dato il via a ricerche durate decenni e culminate nei vaccini di Pfizer-Biontech e Moderna contro il covid-19, basati sull’Rna messaggero (mRna), materiale genetico che fornisce alle cellule le istruzioni per sintetizzare una proteina, a sua volta capace di insegnare al nostro organismo a riconoscere gli invasori.
La pandemia è stata un banco di prova per questa tecnica, che ha dimostrato di essere incredibilmente rapida e potenzialmente economica. “I vaccini anticovid hanno confermato che questi farmaci possono essere sviluppati molto in fretta”, dice Pieter Cullis dell’Università della British Columbia in Canada. “Partendo da zero, nel giro di tre mesi si è passati alle sperimentazioni cliniche”.
E i vaccini sono solo l’inizio. Se riuscissimo a far produrre i medicinali al nostro corpo, sarebbe possibile curare di tutto, dalle infezioni batteriche alle malattie autoimmuni, fino ai rari disturbi genetici e al cancro. “È una rivoluzione sia per quanto riguarda il numero di farmaci che potremmo immaginarci sia per la rapidità con cui verrebbero realizzati e testati”, afferma Cullis. Alcuni risultati promettenti stanno già arrivando, ma siamo solo agli inizi. Eppure non è esagerato dire che questo potrebbe cambiare tutto.
Dai vaccini vivi a quelli inattivati
Per capire il motivo dell’entusiasmo sul potenziale dei vaccini a mRna e delle relative terapie, dobbiamo fare un passo indietro. I primi vaccini erano costruiti a partire da virus “vivi”, trattati in modo da essere meno pericolosi del virus originario dai quali proteggono. I vaccini vivi possono essere molto efficaci, ma hanno degli svantaggi: sono difficili da produrre, proprio perché l’unica possibilità è quella di partire da cellule viventi, e possono essere rischiosi per chi ha un sistema immunitario indebolito. E poi può succedere che mutino di nuovo in forme pericolose, come accade a volte con i vaccini vivi contro la poliomielite.
Ecco perché molti vaccini moderni sono costituiti da virus “morti” o inattivati, oppure sono formati anche solo da una proteina isolata dal virus. Ma neppure questi vaccini, detti a subunità, sono semplici da produrre, perché tutti i farmaci a base di proteine devono essere realizzati a partire da cellule vive.
Come spesso succede in biologia, passare dalla teoria alla pratica è stato più facile a dirsi che a farsi.
Questo requisito è un problema in ogni fase dello sviluppo del vaccino tradizionale, dalla preparazione delle dosi per i test iniziali alla produzione di massa. E rende anche complicato modificare i potenziali vaccini se non funzionano bene.
Ma decine di anni fa i biologi si sono resi conto che c’è una scorciatoia: anziché iniettare il virus o le sue proteine nel nostro organismo, gli si forniscono le istruzioni genetiche che permettono di sintetizzare le proteine virali. Queste istruzioni di solito sono immagazzinate a tempo indeterminato nel dna presente nel nucleo delle nostre cellule. Quando una cellula ha bisogno di sintetizzare una proteina, crea una copia Rna delle istruzioni necessarie sotto forma di mRna. Questi Rna messaggeri trasportano le istruzioni all’apparato cellulare votato alla produzione delle proteine, finché, dopo qualche ora o qualche giorno, le istruzioni si decompongono e la produzione delle proteine si interrompe.
Una nuova ricetta
Nel 1990, in una sperimentazione sui topi, alcuni biologi dimostrarono che alle cellule vive era possibile aggiungere del dna o dell’Rna con le istruzioni per sintetizzare una proteina, e indurre poi le cellule a farlo. A rendere entusiasmante questa scoperta è il fatto che dna e Rna sono molto più facili da produrre in laboratorio rispetto alle proteine. Quell’esperimento dimostrò che, una volta ricavato il codice necessario all’mRna per la produzione di una proteina che inneschi il sistema immunitario contro un determinato virus, dovrebbe essere possibile arrivare al prototipo di un vaccino in tempi molto rapidi. “In questo modo durante la produzione non fai affidamento su alcun processo biologico, quindi è molto più semplice”, afferma Cullis.
Ma come spesso succede in biologia, passare dalla teoria alla pratica è stato più facile a dirsi che a farsi. Un grosso problema era che molti virus e parassiti usano diversi tipi di Rna per penetrare nelle cellule, e di conseguenza il nostro organismo ha molti modi per difendersi.
Il sangue, il sudore e le lacrime contengono enzimi chiamati ribonucleasi, o RNasi, che distruggono rapidamente l’Rna intercettato al di fuori delle cellule. Se poi l’Rna estraneo dovesse riuscire a penetrare nella cellula, scatterebbe una serie di difese ulteriori. “Il nostro corpo si è evoluto in modo da sviluppare dei meccanismi che rilevano i virus a Rna”, conferma Anna Blakney dell’Università della British Columbia.
Ovviamente i vaccini devono far scattare l’allarme del sistema immunitario, attivando le cellule che prendono di mira le sostanze estranee. Ma la risposta agli Rna introdotti nel corpo è così forte che questi vengono distrutti prima ancora che la proteina possa essere sintetizzata. Di conseguenza molti biologi avevano ritenuto che i vaccini a mRna fossero destinati al fallimento, e si erano concentrati sui vaccini a base di dna. Ma queste ricerche al momento non hanno concluso molto: finora le sperimentazioni sono state deludenti, perché i vaccini a dna non sono riusciti a indurre una forte risposta immunitaria.
Poi nel 2005 arrivò la prima di due svolte decisive che cambiarono le prospettive dei vaccini a Rna. Quell’anno Katalin Karikó e Drew Weissman dell’Università della Pennsylvania riuscirono a modificare chimicamente gli mRna in modo che non venissero rilevati dal sistema immunitario all’interno delle cellule. Con un quantitativo inferiore di mRna distrutto dalle difese cellulari, la produzione di proteine fu fino a mille volte superiore.
Packaging perfetto
In un secondo momento, altri gruppi di ricerca capirono come “impacchettare” l’Rna all’interno di minuscole gocce oleose chiamate nanoparticelle lipidiche, che proteggono le molecole Rna dalle RNasi nel sangue e le fanno arrivare all’interno delle cellule. Questo metodo ha dovuto superare un grosso ostacolo: l’Rna ha una carica negativa, quindi si combina solo con lipidi a carica positiva, ma i lipidi a carica positiva sono tossici, afferma Cullis, che ha contribuito a sviluppare le nanoparticelle lipidiche usate per confezionare il vaccino Pfizer-Biontech: “Tendono a lacerare le cellule”.
La soluzione fu quella di sviluppare lipidi che all’inizio hanno una carica positiva, permettendo così all’Rna di essere incapsulato, ma dentro al nostro corpo perdono la carica. Questa tecnologia chiave venne gradualmente perfezionata nel corso del tempo. Negli anni dieci del duemila, le sperimentazioni sull’essere umano di un farmaco chiamato patisiran, che impiega un altro tipo di Rna denominato piccolo Rna interferente , o siRNA, dimostrarono che le nanoparticelle lipidiche sono sicure e aprirono la strada per il loro impiego nei vaccini a mRna.
Le grandi aziende farmaceutiche non videro grandi possibilità di guadagno in una nuova tecnologia vaccinale la cui efficacia non era stata dimostrata, e la lasciarono ad aziende più piccole.
Più o meno nello stesso periodo, cominciarono a emergere le enormi potenzialità dei vaccini a mRna. Nel marzo del 2013, un centinaio di persone in Cina si ammalò di influenza aviaria (H7N9). Quando le sequenze genetiche del virus furono pubblicate online, un team dell’azienda farmaceutica Novartis creò da zero un potenziale vaccino a mRna in soli otto giorni.
Nel giro di qualche settimana, fu dimostrato che il vaccino produceva una buona risposta nei topi. Quel lavoro stabilì un nuovo incredibile record sul fronte della velocità: con i vaccini convenzionali arrivare a questa fase può richiedere un anno o anche di più.
Ma l’epidemia finì, la sperimentazione non venne portata avanti e i progressi rallentarono. Le grandi aziende farmaceutiche non videro grandi possibilità di guadagno in una nuova tecnologia vaccinale la cui efficacia non era stata dimostrata, e la lasciarono ad aziende più piccole come Biontech e Moderna. “Erano tutti scettici al riguardo”, conferma Blakney.
Quando nel 2020 è scoppiata la pandemia, erano in corso diversi studi sui vaccini a mRna, avviati soprattutto per la cura del cancro con lo scopo di indurre il sistema immunitario a colpire le proteine mutanti dei tumori. Ma nessuna di queste terapie aveva ancora ricevuto l’approvazione per l’utilizzo sugli esseri umani. La pandemia è diventata la prova del fuoco: all’improvviso sviluppare la tecnologia a mRna era diventato urgente, ed erano disponibili i fondi necessari. Non c’è ombra di dubbio che le aspettative siano state superate. Ad agosto di quest’anno il vaccino Pfizer-Biontech è stato il primo vaccino a mRNA a essere definitivamente approvato dalla Food and drug administration statunitense.
Com’era prevedibile, ora che i vaccini contro il covid-19 hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnologia, gli investitori si stanno affrettando a sborsare i soldi per altri impieghi. “È una corsa all’oro”, sostiene Cullis. “È chiaro che le applicazioni dei vaccini a mRna sono molto vaste. E a questo bisogna aggiungere la possibilità di sintetizzare qualsiasi genere di proteina”.
Al momento, alcune delle terapie più efficaci e mirate a nostra disposizione si presentano sotto forma di proteine – di solito anticorpi – accuratamente adattate per combattere una patologia specifica. Gli anticorpi sono sostanze che il sistema immunitario produce per colpire gli agenti esterni che penetrano nell’organismo e provocano delle malattie, ma gli anticorpi progettati ad hoc possono essere usati per qualsiasi scopo. Per esempio possono aderire alle proteine mutanti sulle cellule tumorali innescando la loro distruzione da parte del sistema immunitario, oppure aiutare a ridurre una risposta immunitaria iperattiva come accade nei disturbi autoimmuni.
I farmaci a base di anticorpi sono già usati per trattare queste patologie, una serie di malattie infettive e perfino l’emicrania. Possono essere estremamente efficaci, ma dato che la loro produzione è complicata e dispendiosa in termini di tempo, il rovescio della medaglia è che hanno un costo altissimo, a cui possono aggiungersi le forti somme necessarie per curare patologie che richiedono inoculazioni regolari per anni. Per esempio, la sindrome emolitico-uremica atipica, una malattia renale potenzialmente mortale, nota anche come aHUS o SEUa, può essere trattata con un anticorpo chiamato eculizumab, che però è uno dei farmaci più cari al mondo, con un costo di circa 350mila euro all’anno.
“Potremmo curare quasi tutto”
La speranza è che, se possiamo sfruttare l’mRna per spostare la produzione di medicinali all’interno del nostro corpo, sarà possibile sviluppare le stesse terapie a una frazione del loro costo, e realizzarne di nuove molto più velocemente.
I vantaggi balzano agli occhi se prendiamo in considerazione quanto sia difficile produrre proteine come gli anticorpi in uno stabilimento industriale. La funzione di una proteina dipende dal suo ripiegamento in una forma precisa, cosa che può avvenire correttamente solo all’interno di cellule viventi. Questa forma deve poi essere preservata con cura durante la fase di purificazione e durante la conservazione, e tutti questi passaggi devono essere adattati a ogni diversa proteina. Con l’mRna non è così, perché quello che conta è solo l’informazione codificata, cioè la sequenza dei suoi “mattoni”. L’mRna può essere prodotto chimicamente, senza usare cellule vive, e ogni volta si può adottare lo stesso processo di produzione. “È un vantaggio enorme”, afferma Blakney. “Riduce il collo di bottiglia.”
Spingere l’organismo a produrre direttamente gli anticorpi è una cosa un po’ diversa rispetto a un vaccino. Con un vaccino è necessaria solo una piccola quantità di proteina virale e la sua produzione deve essere circoscritta a una parte limitata del corpo, perché le proteine estranee innescano un’infiammazione: i muscoli della spalla sono adatti e sicuri. Per altre applicazioni, vengono iniettate nel sangue quantità maggiori di mRna, quasi tutto assorbito dalle cellule epatiche che sintetizzano poi la proteina desiderata e la rilasciano nel sangue. In sostanza, questo trasforma il fegato in un bioreattore per la produzione di gran parte dei farmaci a base di proteine.
Ma solo nel 2017 Norbert Pardi dell’Università della Pennsylvania ha dimostrato con esperimenti sui topi che tutto ciò è possibile, quindi le terapie a base di mRna sono ancora in una fase iniziale. Moderna sta aprendo la strada. Nel 2019, l’azienda ha riportato dei risultati positivi testando per la prima volta sugli esseri umani un mRna che codifica direttamente per un anticorpo contro il virus chikungunya.
E con l’mRna non si parla solo di anticorpi, ma di qualunque proteina: ad agosto di quest’anno, Moderna ha cominciato i test su un mRna che codifica per una proteina di segnalazione progettata per trattare i disturbi autoimmuni, e per un’altra proteina che cura una malattia ereditaria sostituendo un enzima difettoso. Se questo tipo di sperimentazioni avrà successo, potremmo assistere a un’esplosione di trattamenti basati sull’mRna. Ci sarebbero grandi vantaggi, come la minore necessità di inoculazioni o infusioni di terapie proteiche. Una singola dose di mRna può guidare la produzione di proteine per giorni ed è anche possibile modificare chimicamente gli mRna in modo che persistano più a lungo.
Questione di velocità
Prima che una terapia a base di proteine raggiunga il livello necessario a trattare il disturbo potrebbe trascorrere un breve lasso di tempo, non è detto però che sia così significativo. Con gli mRna si verifica un leggero sfasamento temporale rispetto all’iniezione diretta di anticorpi, ma è così piccolo che sembra ininfluente, persino in situazioni che richiedono un intervento immediato, come l’avvelenamento. Un recente studio sui topi, per esempio, ha scoperto che l’iniezione di mRna è altrettanto efficace nel proteggere da dosi letali di tossina botulinica quanto l’inoculazione diretta di anticorpi.
I potenziali impieghi degli mRna saranno ancora maggiori se riusciremo a trovare il modo di farli arrivare a organi e tessuti specifici come il cervello o il midollo osseo. Molte malattie genetiche sono causate dalla mancanza di proteine funzionali all’interno di determinati tessuti. Finora, però, ottenere gli mRna al di fuori del fegato è stato molto difficile, a meno di non ricorrere all’inoculazione diretta, afferma Cullis. Ma questo metodo può essere abbastanza efficace per alcuni scopi. Per esempio sono già in corso sperimentazioni umane dell’AZD8601 di Moderna, un trattamento con mRna progettato per stimolare la crescita dei vasi sanguigni nelle ferite che non si rimarginano o nei tessuti danneggiati da infarto.
La strada da percorrere è ancora lunga nei casi in cui, perché un trattamento abbia successo, è necessario introdurre mRna in un numero maggiore di cellule all’interno di un particolare tessuto o di un organo rispetto a quanto si può ottenere attraverso l’inoculazione diretta. Una strategia è quella di inserire l’mRna all’interno dei gusci vuoti di virus che colpiscono specifici tipi di cellule, e far arrivare così il materiale genetico al tessuto desiderato. Il problema è che il sistema immunitario comincia ad attaccare il guscio virale, quindi questo metodo non può essere usato più volte di seguito. Tuttavia ad agosto un team di ricercatori ha dichiarato di essere riuscito a creare gusci virali a partire da una proteina umana, risolvendo potenzialmente il problema. “Credo che sia senz’altro possibile”, afferma Blakney. “Ma il lavoro da fare è ancora molto”.
E poi c’è l’uso dell’mRna contro il cancro. L’idea generale dei vaccini contro il cancro è quella di spingere il sistema immunitario di una persona a prendere di mira le proteine individuate sulle cellule tumorali, ma non le cellule sane. Molti vaccini contro il cancro sono personalizzati: il cancro di un paziente viene sequenziato geneticamente per identificare i bersagli, di solito le proteine mutanti sorte nelle cellule tumorali.
Il grande vantaggio dell’approccio basato sull’mRna è che i vaccini contro il cancro possono essere prodotti rapidamente e in modo relativamente economico non appena sono identificati questi bersagli. Ma trovare bersagli specifici per i tumori è difficile, afferma Smita Nair della Duke University in North Carolina. E non è facile indurre il corpo ad attaccare le proteine tumorali, perché sono simili a quelle dei tessuti normali, che di solito sono interdette al sistema immunitario. “Il cancro è molto più complicato delle malattie infettive”, ammette. “È un work in progress, ma ci sono segnali di speranza”.
Al momento sono arrivate alla fase 2 le sperimentazioni di sei vaccini a mRna contro il cancro che potrebbero essere approvati, dice Jessica McCormack, un’analista di Global Data. Quattro di questi sono vaccini personalizzati.
Anche se non ci sono dubbi sul fatto che i vaccini e le terapie a mRna abbiano potenzialità enormi, non mancano le ragioni per essere prudenti. Lo studio sugli anticorpi chikungunya finora è l’unico test di questo tipo sulla produzione di proteine terapeutiche nel corpo e i risultati completi non sono stati ancora pubblicati, afferma Pardi, quindi non possiamo dire con certezza che questo metodo sia sicuro ed efficace per gli esseri umani. “Gli studi di tossicità saranno fondamentali”, afferma.
Però tutte le indicazioni che arrivano dalle sperimentazioni sugli animali, compresi i primati non umani, sono positive e le potenzialità sono sorprendenti. Se riuscissimo a vincere le sfide che rimangono – e questo è un grande se – potremmo sfruttare la stessa tattica che i virus usano contro di noi per curare quasi tutte le malattie che ci affliggono.
In un certo senso, in realtà, le terapie e i vaccini a mRna non sono così rivoluzionari. Un vaccino a mRna, proprio come un vaccino a subunità, è un modo per ottenere una proteina virale all’interno del corpo. E una terapia anticorpale a mRna è solo un modo per inserire un anticorpo nel flusso sanguigno di una persona, come quando lo si inietta direttamente. Il prodotto finale – la proteina – è lo stesso, ma quanto a velocità la tecnologia basata sull’mRna è una rivoluzione, perché permette di sviluppare le terapie, di testarle e di farle arrivare a un gran numero di persone molto più velocemente. A meno di un anno da quando sono stati lanciati per la prima volta, i vaccini a mRna hanno già salvato centinaia di migliaia di vite. “Questi farmaci sono semplicemente incredibili”, conclude Cullis.
(Traduzione di Davide Musso)
Questo articolo è uscito su New Scientist con il titolo “How mRNA is transforming the way we treat illnesses from flu to cancer”.