Un archivio unico in Italia
Quando nel marzo 1946 a Fulton, nel Missouri, Winston Churchill pronunciò il celebre discorso sulla “cortina di ferro” scesa sull’Europa, certo sperava che quella stessa cortina prima o poi sarebbe caduta. Quando e come, non poteva però prevederlo. E ancora meno poteva immaginare che, una volta caduta, se ne sarebbe coltivata la memoria in un piccolo centro del Trentino, noto più che altro per il lago e per le proprietà delle acque che sgorgano dalla montagna sovrastante. Il paese è Levico Terme, dove c’è una biblioteca unica in Italia, la biblioteca-archivio del Centro studi sulla storia dell’Europa orientale (Csseo). La sede è in via Stazione e a entrarci non ci si crede: in un condominio come tanti, un appartamento di medie dimensioni è letteralmente foderato di centinaia di volumi lungo ogni parete. E nell’edificio vicino, in uno scantinato, scaffali a non finire, stracolmi pure quelli di libri.
In tutto sono circa 50mila, la gran parte dei quali in lingua originale: russo, polacco, ungherese, cecoslovacco. E ne vanno sommati altri 60mila in formato digitale. Libri ma non solo: del patrimonio del Csseo fanno infatti parte anche le collezioni dal 1917 a oggi della Pravda e dell’Izvestija, i due quotidiani storici dell’ex Urss, pure questi digitalizzati in alta risoluzione. E solo qui a Levico, in tutta Italia, li si può trovare, come anche la raccolta fino al 1976 di Neues Deutschland, il quotidiano di partito dell’ex Repubblica democratica tedesca (Ddr). Poi molto altro: documenti di movimenti politici e sindacali (a partire da Solidarność), storiche riviste letterarie, pacchi interi di samizdat clandestini degli anni sessanta. Come ad esempio Cronaca degli avvenimenti correnti, diretto dal fisico russo Andrej Sacharov, “padre” del dissenso nell’Urss di Brežnev e Nobel per la pace nel 1975. E ancora materiale relativo al Caucaso e alla Transnistria, aree da sempre ad altissima tensione geopolitica. E poi la Cina, con rare edizioni di testi inediti di Mao.
Un paio di armadi rimandano immediatamente alla “guerra fredda” e alle atmosfere dei libri di John le Carré, agli analisti del controspionaggio, a Smiley e alla caccia alla spia del romanzo La talpa: sono infatti zeppi di fascicoli curati da agenzie statunitensi riconducibili alla Cia (cioè i “cugini”, croce e delizia dei servizi di sua maestà) che si occupavano della traduzione di articoli di stampa, trasmissioni radiofoniche e documenti di partito dei paesi dell’ex blocco comunista. E si tratta di più di tre milioni di pagine che occupano il ventennio 1976-1996, su politica, economia, organizzazione militare e sociale delle cosiddette (allora) “democrazie popolari”. Tutta roba di un altro secolo, è vero, ma di rinnovato interesse dopo la vicenda del capitano di fregata Walter Biot, arrestato in flagrante mentre vendeva per poche migliaia di euro segreti militari a una spia russa: un caso con risvolti italianissimi e pure farseschi, ma che dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, come lo spionaggio non si sia mai fermato. Neppure nei giorni della pandemia.
Un Musil inedito
Artefice di tutto questo è Fernando Orlandi, classe 1956, forlivese da decenni in Trentino, docente, saggista, animatore di convegni, seminari, incontri e dibattiti: tutti o quasi nel segno dell’Europa dell’est e del suo recente passato. Mitteleuropa compresa, come nella sua curatela più recente svolta con Massimo Libardi, altra colonna del Csseo: L’ultimo giornale dell’imperatore (Reverdito 2019), volume che raccoglie articoli pressoché sconosciuti di Robert Musil.
Lo scrittore austriaco è universalmente noto per L’uomo senza qualità, ma fu anche ufficiale nell’esercito asburgico di stanza proprio nel Trentino orientale e poi assegnato al comando d’armata Principe Eugenio, a Bolzano, dove diresse il giornale Soldaten Zeitung. Alla luce dell’esperienza bolzanina, nel 1918 Musil venne incaricato a Vienna di dirigere Heimat, settimanale bellico-patriottico che superò la tiratura di 30mila copie. Testi allora pubblicati anonimi, in cui spesso l’antibolscevismo è trasparente, ed estratti dal dimenticatoio – oltre che finalmente attribuiti al suo autore – appunto grazie al lavoro di Libardi e Orlandi.
Com’è nato il centro
Tutto ebbe inizio a metà degli anni novanta, quando Orlandi insegnava storia dell’Europa orientale alla facoltà di lettere dell’università di Trento. Terminata l’esperienza accademica, Orlandi diede vita al Csseo: era il 1997. Il primo grande convegno, nel dicembre 1999, fu organizzato per ricordare Sakharov a dieci anni dalla morte. Poche settimane dopo, ecco quello intitolato “La Russia dopo Eltsin”: e caso volle che proprio Eltsin si fosse dimesso dalla presidenza russa appena pochi giorni prima.
Al convegno, a Trento, un parterre di altissimo livello internazionale si ritrovò così per la prima volta a discuterne. Tra loro anche un rappresentante delle ex amministrazioni Reagan e Bush (padre), Fritz Ermarth, che dal 1988 al 1993 fu a capo del National intelligence council, responsabile cioè delle linee che guidano la rete delle intelligence statunitensi. Con lui, poi, tanti nomi russi importanti. L’eco fu quindi enorme, se ne scrisse anche negli Stati Uniti.
Da lì in poi, per il Csseo la strada verso ulteriori progetti di ricerca si spianò. E con essa la condivisione di materiali: cioè di libri, dapprima fotocopiandoli, poi appunto digitalizzandoli. “E neppure io”, scherza Orlandi, “so bene tutto quello che abbiamo”.
Nei giorni della pandemia, il viavai tra le caterve di libri della biblioteca-archivio del Csseo è ovviamente venuto meno: studiosi, ricercatori e laureandi che arrivavano a Levico Terme da ogni dove non potevano più mettersi in viaggio. E parallelamente hanno subìto uno stop i finanziamenti degli enti pubblici per i convegni. Di qui la decisione di fare i conti con l’inevitabile, si potrebbe dire: e quindi di mettere a disposizione l’immenso materiale in formato digitale, grazie a finanziamenti soprattutto privati, ma anche attraverso una raccolta fondi tra tutti coloro che avevano avuto a che fare in passato con il Csseo: convegnisti, ricercatori, docenti e saggisti.
“Abbiamo avuto un riscontro enorme, superando i 20mila euro”, racconta Orlandi. Si sta dunque realizzando un sito, con un motore di ricerca che per ora indicizza circa 60mila libri in formato digitale. Un servizio che verrà incrementato, inserendo prossimamente anche riviste e giornali. Per questi ultimi è già comunque attivo un servizio di consegna gratuito (con invio del pdf richiesto, email a info@ba-csseo.org), come ovviamente gratuito è anche tutto il resto: naturalmente nel rispetto del diritto d’autore, seguendo quindi le regole di qualsiasi biblioteca.
Già buona parte del patrimonio del Csseo era comunque disponibile in digitale. Dopo aver fotocopiato per anni centinaia di libri e riviste (scambiandosi materiale con altri istituti e ricercatori), a un certo punto Orlandi e i suoi collaboratori hanno infatti pensato bene di cominciare a fare a meno di postini e corrieri, facendo viaggiare tutto via email. “E dal 2002 al 2021”, afferma Orlandi, “abbiamo messo assieme un sacco di roba”.
Prossima tappa, l’acquisto di uno scanner per trasformare in pdf i numerosi documenti in microfilm. E quest’anno dovrebbe avvenire anche il sospirato inserimento nel Catalogo bibliografico Trentino, portale culturale fondamentale del territorio.
Rispetto all’emergenza sanitaria, non potendo per ora garantire una sanificazione degli uffici, grazie a un accordo con l’amministrazione municipale sarà realizzata alla biblioteca comunale di Levico Terme una postazione apposita per l’accesso alla consultazione in digitale del materiale del Csseo, e il recapito sempre alla biblioteca comunale dell’eventuale cartaceo, previa prenotazione. Intanto prosegue l’acquisizione del fondo Valerio Riva, cioè l’archivio del giornalista che fu braccio destro di Giangiacomo Feltrinelli e poi alla guida di Rizzoli libri: un patrimonio pure questo preziosissimo che in buona parte a Levico Terme è già approdato.