Settant’anni di arrivi e partenze alla stazione Termini di Roma
“Io vidi una bellissima scena. I nostri soldati entrarono in Roma per Porta Pia e andarono difilati sino a monte Citorio. Fosse caso o disegno, non lo so. Ma per far quella strada passarono dinanzi ai più stupendi monumenti di Roma. Ed ecco con che ordine: non mi ricordo il primo entrato che reggimento fosse. Giunge in Piazza di Termini, dove c’è una fontana bellissima. Per chi non ha mai visto Roma, le sue fontane, così gigantesche e fantastiche, sono una delle più profonde sorprese. I soldati si voltano, guardano e prorompono in un lungo oh che si propaga di compagnia in compagnia, di battaglione in battaglione, man mano che giungono nella piazza. Chi rallenta il passo, chi si ferma, chi vorrebbe avvicinarsi. “Animo, animo”, dicono gli ufficiali; “ci sono altre cose più belle da vedere”. Così scriveva Edmondo De Amicis in Impressioni di Roma.
Era il 20 settembre 1870. La fontana che videro i soldati era la fontana di Termini, inaugurata da papa Pio IX pochi giorni prima. Sullo sfondo c’era un’immensa villa realizzata alla fine del 1500, chiamata Montalto Peretti Massimo, fatta costruire da Felice Peretti, il futuro papa Sisto V.
Quella grande villa con i suoi giardini, i suoi edifici e le sue stalle occupava l’area che fu scelta per costruire la prima stazione ferroviaria di Roma. La storia della sua realizzazione è fatta di espropri, scavi, ritrovamenti e demolizioni. E ancora: di progetti, abbattimenti e ricostruzioni che hanno portato alla stazione così come la conosciamo oggi. Il 20 dicembre 2020 ha compiuto settant’anni.
Le vere protagoniste
Su Termini ci sono molte pubblicazioni. Una, però, mi ha colpito molto. S’intitola Termini, cornerstone of modern Rome (Edizioni Quasar 2017), di Arthur Wetstein e Frederick Whitling. È un libro bellissimo, con una bibliografia estesa e documenti fotografici straordinari. Il filo conduttore sono le mura serviane, il “vero protagonista” della storia della stazione. Dalla loro costruzione nel sesto secolo avanti Cristo hanno influenzato la storia di Roma e del suo principale snodo ferroviario.
Sepolte per secoli dal monte della Giustizia, una collina artificiale nata dagli scarti degli scavi per la costruzione delle terme di Diocleziano, vennero alla luce quando, approvato il progetto dell’architetto Salvatore Bianchi, si decise di spianarla. La poca attenzione alla conservazione dei reperti archeologici e la fretta di realizzare qualcosa di nuovo fece spianare non solo il monte della Giustizia ma l’intero aggere delle mura serviane, le mura di contenimento, la porta Viminalis e una domus imperiale.
Tutti i ritrovamenti sono stati documentati dall’archeologo Rodolfo Lanciani, che contribuì in maniera decisiva alla conservazione delle mura ritrovate. La nuova stazione venne inaugurata nel 1874. Una costruzione gigantesca per quell’epoca, quasi addossata alle terme di Diocleziano. Portata così in avanti che le mura serviane vennero completamente coperte alla vista di chi arrivava in treno.
Il nuovo progetto
Nel 1937 il governo fascista decise che Roma avrebbe avuto bisogno di una nuova stazione ferroviaria, più grande e moderna. Negli anni precedenti, accecati da promesse di progetti faraonici, le mura serviane sembravano avere il destino segnato. Ma l’intervento del soprintendente Alberto Terenzio e di alcuni articoli di giornale salvarono le mura che avrebbero segnato, invece, il destino di qualsiasi piano venisse approvato.
L’architetto Angiolo Mazzoni fu incaricato del progetto. Ne propose tre. Fu scelto il secondo, che è la sistemazione in pianta di quello che possiamo vedere oggi, con la conservazione delle mura all’esterno visibili all’uscita dalla stazione. Mentre prendeva piede la costruzione delle parti laterali della stazione lungo via Marsala e via Giolitti la facciata fu ripensata e ridisegnata più volte. Secondo il regime il progetto di Mazzoni era “troppo moderno” e fu immaginato un modello classico con un grande porticato retto da enormi colonne. Gli eventi bellici non consentirono il proseguimento dei lavori e quando la guerra finì Mazzoni fu allontanato. Per la facciata fu indetto un nuovo concorso, vinto ex aequo dai progetti: “Y=0,005 X²” e “Servio Tullio prende il treno”.
Gli architetti Annibale Vitellozzi ed Eugenio Montuori lavorarono insieme per la realizzazione finale della facciata tenendo conto della “ingombrante” presenza delle mura. Il “dinosauro”, la copertura ondulata della stazione, ripercorre il profilo irregolare delle mura, mentre la facciata “apre” la stazione con una grande vetrata, come in un museo. È il progetto finale. La nuova stazione Termini è pronta. Il 20 dicembre 1950 è inaugurata.
Ed eccola in un video dell’anno dopo, con riprese che ci portano “19 metri sotto i binari” dove “si snoda il cuore della stazione Termini: una fitta rete di fili, tubi, cunicoli, motori e operai”.
In questo video del 1952, invece, le telecamere ci portano tra le persone che ogni giorno l’affollavano.
E oggi? Termini ha vissuto anni di abbandono ma anche di rinnovamento. Un rinnovamento quasi tutto all’insegna dello shopping. Nella galleria centrale (dove Lucio Dalla tenne un concerto nel 1993) e in quella sottostante ci sono file e file di negozi. I resti del terrapieno delle mura serviane sono un accessorio fra i tavoli del McDonalds. La terrazza, realizzata di recente, è un tripudio di bar e ristoranti che ha come panorama il grande parcheggio multipiano in costruzione sui binari. La stazione ha perso la sua identità originaria. In questi ultimi anni c’è stata una corsa senza un apparente traguardo a riempire quei vuoti architettonici che avevano uno scopo più alto, quello di creare nostalgia. La nostalgia di un tempo passato o di un amore ritrovato sotto la grande lampada Osram.