I politici europei citano Dostoevskij, a volte a sproposito
L’Europa sta attraversando una “fase Dostoevskij”? O forse è un “momento Puškin”? Il 24 maggio, durante una conferenza stampa a San Pietroburgo insieme a Vladimir Putin, il presidente francese Emmanuel Macron ha citato il discorso di Dostoevskij su Puškin in cui lo scrittore lancia un appassionato appello in favore dell’universalismo russo. Poi, il 5 giugno, il presidente del consiglio del nuovo governo populista italiano, Giuseppe Conte, ha parafrasato (o sarebbe meglio dire misparafrasato) le stesse parole di Dostoevskij in occasione del suo primo intervento davanti al senato italiano.
Dostoevskij pronunciò il suo commovente discorso nel 1880 davanti a una nuova statua di Puškin, poeta considerato il padre della letteratura russa. Nel suo intervento, Dostoevskij reinterpretò il poema epico di Puškin, Eugenio Onegin, adattandolo alla sua idea del mondo, indicando la protagonista, Tatiana, come l’apoteosi della femminilità russa e delineando una visione estatica dell’anima russa come strumento portatore di verità. Dostoevskji concluse offrendo una prospettiva altrettanto accalorata del rapporto tra la Russia e l’Europa, che avrebbe dovuto coinvolgere sia gli slavofili sia gli occidentalisti, due scuole di pensiero russe che sopravvivono ancora oggi.
I popoli d’Europa non lo sanno neppure, quanto essi ci sono cari! E più tardi, io ne ho piena fede, i futuri russi comprenderanno tutti, dal primo all’ultimo, che diventare un vero russo significherà precisamente aspirare alla definitiva riconciliazione delle contraddizioni europee, mostrare la via d’uscita alla tristezza europea; l’animo russo, profondamente umano, saprà abbracciare con amore fraterno tutti i nostri fratelli, e alle fine, forse, dirà la definitiva parola della grande armonia universale, dell’accordo definitivo fraterno di tutte le razze, secondo la legge evangelica di Cristo!
Questo è il passaggio che Macron ha riportato a San Pietroburgo. Al fianco di Putin e in una conferenza stampa in cui si è parlato anche di Trump, della Nato e della Siria, Macron ha citato Dostoevskij per sottolineare che Russia e Francia possono trovare un terreno d’intesa. “Abbiamo tutti contraddizioni europee da risolvere all’interno dei nostri popoli, ma abbiamo anche imparato dal passato, e lo sapremo anche in futuro, come costruire un terreno d’intesa comune”.
Citando uno dei più importanti scrittori russi, Macron si è inserito nella lunga schiera di presidenti francesi che hanno usato la cultura e il soft power per forgiare o rafforzare legami economici e politici. Macron è anche uno dei politici più colti del panorama mondiale, un aspetto che può rivelarsi problematico in un contesto segnato dalla rabbia populista contro le élite. In patria Macron è stato più volte accusato di non essere capace di far seguire i fatti alla retorica (il mese scorso il suo apprezzabile intervento davanti al senato di Washington non ha convinto Donald Trump a salvare l’accordo con l’Iran né a evitare di imporre i dazi all’Europa).
Per contrasto, nel suo discorso pronunciato il 5 giugno al senato, Conte ha fatto riferimento a Dostoevskij ma ha dato l’impressione di voler enfatizzare il rapporto tra le élite e il popolo, un tema che non è centrale nel discorso dello scrittore – se non del tutto assente:
Le forze politiche che integrano la maggioranza di governo sono state accusate di essere populiste e antisistema. Sono formule linguistiche che ciascuno può declinare liberamente. Se populismo è l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente – prendo spunto da riflessioni di Dostoevskij tratte dalle pagine di Puškin – se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema, che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni.
Conte è un avvocato semisconosciuto incaricato dal Movimento 5 stelle e dalla Lega di guidare un governo di coalizione, il primo governo populista in uno stato fondatore dell’Unione europea. L’Italia ha finalmente trovato un governo il 1 giugno dopo il tentativo da parte del presidente della repubblica, durato appena 12 ore, di installare un governo tecnico. La scelta del presidente, a sua volta, era una conseguenza del suo rifiuto di nominare un euroscettico al ministero delle finanze. Dopo giorni di assurde manovre, durante i quali Conte si è fatto da parte e poi è tornato, i due partiti politici hanno trovato un accordo per formare un governo con un ministro delle finanze meno controverso.
Le aziende dell’Italia del nord, roccaforte della Lega, hanno un intenso rapporto commerciale con la Russia
Conte ha pronunciato il suo discorso al senato prima del voto di fiducia per il nuovo governo. Il rimando a Dostoevskij è stato una premessa della parte dedicata alla Russia: secondo il presidente del consiglio l’Italia cercherà “un’apertura” verso la Russia e la cancellazione delle sanzioni nei confronti di Mosca, “a partire da quelle che rischiano di mortificare la società civile russa”.
Le parole di Conte non sono una novità in Italia. Durante il suo mandato di governo tra il 2014 e il 2016, il presidente del consiglio di centrosinistra Matteo Renzi aveva chiesto un allentamento delle sanzioni nei confronti della Russia. L’Italia è sempre stata un paese russofilo, dai tempi in cui aveva il più grande Partito comunista dell’occidente all’epoca in cui l’ex premier Silvio Berlusconi aveva stretto un’amicizia personale con Putin. Le aziende dell’Italia del nord, roccaforte della Lega, hanno un intenso rapporto commerciale con la Russia.
Il leader della Lega Matteo Salvini, emerso come uomo forte in questo governo e nominato ministro dell’interno, non ha citato né Dostoevskij né Puškin. In realtà preferisce avvicinarsi a Viktor Orbán o a Marine Le Pen, ma resta un ammiratore della retorica di Putin sulla protezione dell’occidente cristiano. Oggi Salvini è il capo della polizia italiana e dei servizi segreti. I popoli d’Europa, a quanto pare, sono ancora estremamente cari alla Russia.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale.
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