Un osservatorio del sangue potrebbe fermare la prossima pandemia?
Michael Mina è a caccia di milioni di campioni di sangue per un nuovo progetto chiamato Osservatorio immunologico globale (Gio), basato sulla ricerca degli agenti patogeni che si diffondono tra la popolazione mondiale. Anziché un telescopio, questo speciale osservatorio userà una tecnologia capace di distinguere centinaia di migliaia di anticorpi in un microlitro (un milionesimo di litro) di sangue. Se il Gio riuscirà a superare gli iniziali ostacoli tecnici e logistici, e troverà finanziamenti adeguati, secondo Mina potrebbe rappresentare uno strumento efficace per tenere sotto osservazione e rispondere alle epidemie.
Per il momento si tratta soltanto di un progetto pilota per seguire la diffusione del covid-19. La trasmissione silenziosa della malattia ha evidenziato la necessità di un sistema di rilevazione adeguato, dice Mina, immunologo ed epidemiologo del Brigham and women’s hospital e della Harvard school of public health. Insieme ad alcuni colleghi, Mina ha illustrato il progetto sulla rivista scientifica eLife. Tra i coautori dello studio ci sono Jeremy Farrar, infettivologo e direttore del Wellcome trust, e gli immunologi ed esperti di vaccini Adrian McDermott e Daniel Douek, dei National institutes of health staunitensi.
Attualmente negli Stati Uniti il controllo delle malattie infettive dipende dalla capacità di ospedali, cliniche e studi medici di segnalare eventi insoliti ai dipartimenti sanitari statali, che a loro volta tramettono le informazioni ai Centers for disease control and prevention (Cdc), l’ente per il controllo e la prevenzione delle malattie. Secondo Mina, “il fallimento nell’identificare e arginare tempestivamente la trasmissione del covid-19 a livello locale” ha dimostrato quanto sia indispensabile un sistema di rilevazione più rapido.
Ogni fonte possibile
Mina vorrebbe individuare i focolai analizzando gli anticorpi in campioni di sangue anonimi raccolti con regolarità da ogni fonte possibile: dalle banche del sangue, dai centri di raccolta del plasma e perfino dallo screening neonatale, un esame effettuato nella maggior parte degli stati prelevando il sangue dal tallone di tutti i neonati per verificare la presenza di anomalie genetiche. I campioni sarebbero identificati unicamente in base alla provenienza geografica. Piattaforme basate su microchip capaci di analizzare centinaia di migliaia di anticorpi sono già commercializzate da aziende come VirScan e Luminex, e secondo Mina potrebbero essere facilmente usate su larga scala per esaminare grandi quantità di campioni, individualmente o in serie.
“È un’idea straordinaria ed entusiasmante”, dice l’infettivologo William Schaffner, del polo ospedaliero dell’università di Vanderbilt. “È un esempio del pensiero innovativo di cui abbiamo bisogno nella sanità pubblica”, aggiunge, pur riconoscendo che “le problematiche logistiche possono essere scoraggianti”.
In una prima fase Mina e gli altri coautori dello studio vorrebbero analizzare circa diecimila campioni al giorno, per poi passare a centomila (solo negli Stati Uniti) una volta ottenuti i fondi necessari per ampliare il progetto. Anche solo mantenendo un ritmo di diecimila campioni, sarebbe comunque possibile individuare un’epidemia di zika nella Louisiana rurale o un focolaio del virus del Nilo occidentale in Colorado, in modo molto più rapido rispetto al sistema attuale. Il Gio potrebbe inoltre accelerare il monitoraggio dell’influenza stagionale, consentendo agli ospedali di prepararsi per un eventuale aumento dei casi di contagio e alle autorità sanitarie di garantire una distribuzione efficiente del vaccino.
Il Gio potrebbe identificare il particolare ceppo virale o batterico, dato che ognuno produce una sua peculiare “firma” di anticorpi
In caso di comparsa di una nuova malattia infettiva come il covid-19, il Gio potrebbe seguirne la diffusione. I chip in grado di rilevare gli anticorpi non dovrebbero necessariamente essere aggiornati per individuare nuovi agenti patogeni come il Sars-cov-2. I ricercatori, infatti, noterebbero un aumento di anticorpi non specifici che colpiscono un virus già noto, ipotizzando la presenza di un virus “parente” ancora sconosciuto. Per esempio è probabile che in campioni prelevati a Wuhan da persone contagiate dal covid-19, il sistema avrebbe rilevato un’impennata degli anticorpi che attaccano diversi coronavirus.
Di solito gli anticorpi si manifestano una o due settimane dopo l’inizio di un’infezione, e possono permettere di individuare non soltanto le persone contagiate, ma anche quelle guarite dopo aver contratto la malattia. Il Gio potrebbe inoltre identificare il particolare ceppo virale o batterico in azione, dato che ognuno produce una peculiare “firma” di anticorpi.
In cerca di finanziamenti
L’idea di monitorare regolarmente intere popolazioni alla ricerca di anticorpi è emersa nel laboratorio del biologo evolutivo Bryan Grenfell dell’università di Princeton, dove Mina ha lavorato dopo aver completato un dottorato. Oggi Mina sta lavorando all’espansione del progetto insieme a Grenfell e a Jessica Metcalf, anche lei biologa evolutiva a Princeton.
La squadra che gestisce il Gio sta già costruendo un laboratorio pilota in Massachusetts, e nel frattempo è alla ricerca di fondi. “Riteniamo che il progetto possa avere un’importanza enorme, dunque ci stiamo rivolgendo alle grandi organizzazioni filantropiche che sostengono la sanità pubblica”, spiega Mina. “Al momento stiamo esplorando tutte le possibilità”.
Il progetto pilota, finanziato dalla fondazione Open Philanthropy, sta immagazzinando milioni di campioni di sangue anonimi forniti dalla società Octapharma, specializzata nella raccolta di plasma. Ricercando la presenza di anticorpi contro il Sars-cov-2, Mina e i suoi colleghi sperano di verificare l’utilità dei test a tappeto sugli anticorpi per seguire la diffusione del virus e prevedere l’esplosione di nuovi focolai.
Spesso i pazienti sviluppano gli anticorpi parecchio tempo dopo la trasmissione del virus. Nel caso del Sars-cov-2 l’intervallo è di una-due settimane. Tuttavia secondo Mina la ricerca degli anticorpi fornisce comunque informazioni fondamentali. “Una settimana non è un ritardo eccessivo. Per esempio se avessimo seguito questo procedimento analizzando i campioni prelevati da una piccola parte della popolazione di New York, avremmo scoperto la presenza del Sars-cov-2 a febbraio. In questo modo il governatore Andrew Cuomo avrebbe potuto decretare l’isolamento il primo marzo anziché il 19”.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è uscito sulla rivista scientifica statunitense Science.
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