Come San Francisco è riuscita a contenere il virus
London Breed, la sindaca di San Francisco, non aveva nessuna intenzione di aspettare l’arrivo del covid-19 senza fare niente. Alla fine di febbraio, quando in città ancora non c’erano casi accertati, Breed (45 anni, al primo mandato) ha deciso di dichiarare lo stato d’emergenza. Due settimane dopo è arrivato il divieto di assembramenti con più di mille persone. Il provvedimento ha costretto l’amatissima quadra di basket dei Golden State Warriors, che quest’anno si è trasferita da Oakland a San Francisco, a fermarsi. E questo, insieme al primo caso di positività di un giocatore della lega Nba, ha messo in moto una catena di eventi che ha portato all’interruzione di tutti i principali sport nazionali.
All’epoca Breed è stata accusata di aver agito in modo affrettato. “Ora non lo dice più nessuno”, mi racconta ridendo durante una telefonata. A quasi un mese dall’imposizione delle misure di distanziamento sociale, San Francisco e la Bay Area rappresentano un esempio di come, grazie a un’azione decisa e tempestiva, sia possibile evitare l’impennata del contagio che ha travolto gli ospedali di New York, dove le autorità hanno reagito più lentamente. Il bilancio dell’epidemia a San Francisco – 987 contagiati e 15 morti – è molto meno grave rispetto ad altre metropoli di dimensioni simili come New Orleans, Detroit, Boston e Washington.
La curva dei contagi di San Francisco è bassa e si sta appiattendo ulteriormente. Gli ospedali della città non sono in difficoltà. “La spiegazione più semplice di questi dati è che le autorità hanno adottato i provvedimenti sul distanziamento sociale rigorosamente e in anticipo”, sostiene Emily Gurley, epidemiologa dell’università Johns Hopkins che sta analizzando l’impatto del covid-19 a livello globale.
Concreta fino al midollo
A San Francisco, e in generale in California, sono stati fatti meno tamponi rispetto a New York, quindi è possibile che la situazione in città sia meno rosea di quando appaia. Tuttavia, gli epidemiologi e le autorità sanitarie ritengono che, a prescindere dal fatto che i contagi siano sottostimati (in realtà succede in tutto il paese), la tenuta del sistema sanitario pubblico e il numero ridotto di decessi siano la prova che la città, finora, abbia adottato la strategia giusta.
Il 17 marzo Breed ha ordinato la chiusura delle attività commerciali e ha limitato al massimo gli spostamenti, in un momento in cui i casi confermati in città erano meno di cinquanta (pochi giorni dopo il governatore della California ha introdotto provvedimenti simili a livello statale). In quel periodo a New York c’erano più di duemila casi di contagio, ma il governatore Mario Cuomo e il sindaco Bill de Blasio, riluttanti all’idea di chiudere le scuole o imporre l’isolamento domiciliare nella città più popolosa del paese, hanno aspettato diversi giorni prima di intervenire. Quando finalmente è stato deciso il blocco di New York, il 22 marzo, nei cinque distretti cittadini erano stati accertati più di diecimila contagi.
Inizialmente l’interventismo di Breed non è stato accolto con favore. Quando il sindaco ha rafforzato le misure sul distanziamento sociale, alcuni tra i più influenti abitanti di San Francisco hanno contattato uno dei mentori politici di Breed, la senatrice Kamala Harris. “Mi dicevano ‘Breed vuole chiudere la città’”, racconta Harris. Harris ha risposto a tutti di fidarsi della sindaca. “È stata criticata duramente, ma ha avuto il coraggio di prendere decisioni difficili basandosi sui dati scientifici e sulle ricerche. Sapeva che era la scelta giusta per la popolazione, anche se gli altri ancora non lo capivano”.
La sorella di London Breed è morta di overdose, mentre il fratello sta scontando una condanna a 44 anni per omicidio
Breed era perfettamente consapevole delle conseguenze economiche del blocco. È cresciuta nelle case popolari insieme alla nonna, da cui ha ereditato il senso pratico, racconta Harris. La sorella di Breed è morta di overdose, mentre il fratello sta scontando una condanna a 44 anni per omicidio. “La nonna era una donna forte”, ricorda Harris, che conosce la sindaca da anni. “Era concreta fino al midollo”.
“Di questi tempi il senno di poi non arriva dopo anni, ma dopo settimane”, continua Harris. Possiamo tranquillamente dire che London Breed è stata molto intelligente. Ha fatto la cosa giusta nel momento giusto, anche se ha preso decisioni che per i cittadini sono difficili da accettare”.
In un certo senso il percorso divergente seguito da San Francisco e New York, due città segnate dalla carenza di alloggi abbordabili e da enormi disuguaglianze, riflette una separazione generale tra la costa orientale e quella occidentale degli Stati Uniti. Lo stato di Washington, dove un focolaio di covid-19 in una casa di riposo ha creato il primo epicentro nel paese, ha ottenuto risultati migliori di altri stati nel contenimento della malattia durante il primo mese. I governatori dell’Oregon e della California hanno perfino donato migliaia di respiratori agli ospedali newyorchesi e alle scorte nazionali, perché non hanno mai rischiato di rimanere senza questi macchinari.
Più veloce di New York
Diversi epidemiologi mi hanno confermato che San Francisco e altre città della costa occidentale potrebbero aver beneficiato delle limitazioni sui voli provenienti dalla Cina imposte dall’amministrazione Trump alla fine di gennaio. Al contrario, la situazione a New York potrebbe essersi aggravata a causa del ritardo del presidente nel vietare tutti i voli dall’Europa, arrivato solo a metà marzo. Le ultime ricerche confermano questa tesi e indicano che i primi contagi a New York riguardavano soprattutto persone arrivate dall’Europa a metà febbraio, come ha sottolineava il New York Times lo scorso 8 aprile.
“New York ha seguito un percorso simile all’Italia, mentre nel caso di San Francisco e dello stato di Washington il paragone più calzante è quello con i paesi asiatici che registrano tassi di contagio ridotti”, spiega Cyrus Shahpar, ex responsabile delle emergenze dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc). “Alla base di tutto c’è l’identificazione tempestiva di un problema. Bisogna essere più preventivi che reattivi”.
Questa differenza nel processo decisionale – prevenzione contro reazione – è emersa a tutti i livelli durante la crisi in corso. “Il virus ci precede fin dal primo giorno”, ha dichiarato Cuomo il 9 aprile annunciando che, per l’ennesima volta, New York aveva fatto registrare un record di decessi dovuti al covid-19. Nel caso di Cuomo e de Blasio è sicuramente vero, per non parlare di Donald Trump. Ma non per Breed.
Le autorità sanitarie di San Francisco hanno cominciato a monitorare l’epidemia durante le vacanze natalizie, spiega Mary Ellen Carroll, responsabile del dipartimento per la gestione delle emergenze della città. Alla fine di gennaio Breed ha chiesto al centro operativo per le emergenze di San Francisco di prepararsi a un’epidemia. È stata la prima a farlo tra i sindaci delle grandi città degli Stati Uniti. Successivamente la sindaca ha spostato il centro di controllo della crisi nel Moscone center, un enorme centro congressi dove i più alti funzionari cittadini possono lavorare nello stesso luogo mantenendo il distanziamento sociale. Tutti, compresa Breed, indossano le mascherine durante gli incontri.
Le autorità sanitarie di San Francisco hanno cominciato a monitorare l’epidemia durante le vacanze di Natale
Breed mi ha raccontato di essere rimasta sconvolta dalle immagini arrivate da Wuhan, in Cina, con gli ospedali pieni di pazienti affetti dal covid-19. “Una foto vale più di mille parole. Ho capito cosa sarebbe potuto succedere. I medici mi hanno detto che non avevamo le risorse per gestire una situazione di quel tipo”, racconta la sindaca, ricordando una riunione in cui i suoi consiglieri le hanno illustrato le conseguenze disastrose di un simile scenario.
Già nel mese di gennaio Breed ha capito che il governo federale non avrebbe offerto l’assistenza necessaria per aumentare le scorte di dispositivi sanitari protettivi. Il 25 febbraio un alto funzionario dei Cdc, Nancy Messonnier, ha dichiarato durante una conferenza stampa che l’epidemia di covid-19 negli Stati Uniti avrebbe potuto avere “gravi conseguenze” e che le persone dovevano prepararsi a subire forti cambiamenti nella loro vita quotidiana. Secondo alcune fonti, Trump è andato su tutte le furie dopo la dichiarazione di Messonnier. A San Francisco, invece, Breed ha decretato lo stato d’emergenza il giorno stesso.
Una settimana dopo la sindaca ha usato il suo profilo Twitter per chiedere ai cittadini di “prepararsi a possibili disagi dovuti all’epidemia”. Nella stessa giornata de Blasio ha consigliato ai newyorchesi di “andare avanti tranquillamente e uscire di casa nonostante il virus”.
L’unica afroamericana
Per Breed i primi due anni da sindaca non sono stati facili. Ha ottenuto l’incarico nel dicembre del 2017, dopo che il sindaco Ed Lee è morto improvvisamente per un arresto cardiaco. All’epoca Breed era l’unica donna afroamericana a guidare una grande città, ma sei settimane dopo il Consiglio dei supervisori l’ha deposta e sostituita con un altro funzionario, un uomo bianco. Ufficialmente il consiglio non voleva concederle un vantaggio alle elezioni comunali, ma alcuni sostenitori di Breed credono che si sia trattato di un episodio di razzismo.
Pochi mesi dopo Breed, allineata con l’ala più moderata del Partito democratico, ha vinto le elezioni sconfiggendo due candidati più radicali. Nel 2019 ha ottenuto un mandato completo, ma ha trascorso gran parte del primo anno scontrandosi con la sinistra locale sulla questione delle persone senza dimora e incassando diverse sconfitte dei candidati che aveva sostenuto alle elezioni locali.
Per sua stessa ammissione, Breed non aveva grande esperienza su come si gestisce una pandemia, ma si è circondata di persone che ne avevano. Come Grant Colfax, ex direttore delle politiche sull’hiv e l’aids durante l’amministrazione Obama, Tomás Aragón, direttore della divisione di sanità pubblica della contea, e la stessa Mary Ellen Carroll. Colfax ha cominciato la sua carriera negli anni ottanta, all’apice dell’epidemia di aids a San Francisco. Gli epidemiologi con cui ho parlato sono convinti che le lezioni imparate in quel periodo abbiano sicuramente contribuito all’efficacia della risposta al covid-19.
“Penso che ricordino benissimo cosa è successo quando abbiamo evitato di chiudere i bagni pubblici e ne abbiamo pagato le conseguenze con l’epidemia”, conferma Yvonne Maldonado, epidemiologa di Stanford.
Le autorità di San Francisco sono consapevoli che la situazione potrebbe degenerare in qualsiasi momento se il distanziamento sociale dovesse essere revocato troppo in fretta. “Non stiamo tirando un sospiro di sollievo né cantando vittoria”, sottolinea Carroll.
Breed è preoccupata per l’enorme popolazione di persone senza dimora di San Francisco, e in particolare per i tossicodipendenti che non rispettano il distanziamento sociale. Il comune ha deciso di ampliare i rifugi per aumentare le distanze tra le persone che li occupano, investendo molto nella sanificazione delle strutture. Tuttavia, l’amministrazione non ha sgomberato le tendopoli dei senza dimora. Breed riferisce che un numero sempre maggiore di operatori evita i contatti con i senza dimora che rifiutano di adottare il distanziamento sociale. “Sarà molto difficile”, ammette la sindaca. Breed ha ragione a essere preoccupata. Poco dopo la nostra conversazione le autorità hanno annunciato la scoperta di un focolaio in uno dei più grandi rifugi per i senza dimora, con 70 persone contagiate tra ospiti e operatori.
Per quanto riguarda la situazione generale della città e la calma relativa all’interno della tempesta nazionale, Breed è titubante e vagamente preoccupata. Ha paura che le buone notizie possano produrre effetti controproducenti, e che la storia di successo di San Francisco possa spingere i cittadini a trasgredire le regole proprio quando è fondamentale restare in casa. “Gli abitanti di San Francisco stanno seguendo scrupolosamente le istruzioni, sono stati incredibili. Ma in generale ci sono anche molte persone che tendono a non comportarsi come dovrebbero. Per ora non me la sento di cambiare strategia”.
Questo articolo è uscito su The Atlantic.