Quando nell’agosto dello scorso anno i taliban, carichi di armi e munizioni, hanno conquistato Kabul con la promessa di portare “pace, stabilità e unità”, in pochi hanno creduto che il ritorno al potere del gruppo armato potesse segnare l’avvio di una transizione dalla guerra alla stabilità in tempo di pace.

Sono trascorsi otto mesi. Il regime dei taliban non è affatto stabile, né politicamente né economicamente né da un punto di vista geostrategico. La difficile situazione economica e il rischio di una diffusa carestia è solo un lato del problema.

Centri di potere emergenti all’interno dell’Afghanistan pongono una sfida esplicita alla pretesa dei taliban di essere l’unico partito o detentore del potere davvero rappresentativo nel paese. E quelle forze politiche rivali stanno dicendo la loro in modo piuttosto esplosivo.

Le cellule del gruppo Stato islamico
Il 29 aprile un’esplosione a Kabul in una moschea appartenente a un gruppo di minoranza sunnita – gli zikri – ha provocato la morte di almeno cinquanta persone. Il 28 aprile una bomba esplosa in un pulmino che trasportava musulmani sciiti nella città settentrionale di Mazar-e Sharif ha ucciso almeno nove persone.

L’attacco contro il pulmino su cui viaggiavano gli sciiti è avvenuto dopo che i leader taliban avevano dichiarato la cattura di uno degli strateghi del gruppo Stato islamico-provincia di Khorasan (Is-K), responsabile di un precedente attentato a Mazar-e Sharif contro una moschea sciita, in cui erano morte almeno 31 persone.

Questi attentati smentiscono i proclami dei capi taliban che sostengono di aver eliminato gruppi terroristici nemici come l’Is-K, i quali non costituirebbero più una minaccia, e di aver offerto protezione alle minoranze.

Il gruppo Stato islamico-K ha avuto piena libertà operativa in Afghanistan, creando cellule in quasi tutte le province

È ormai evidente che le loro affermazioni erano sbagliate, ma non si può negare che il persistente successo dell’Is-K sia direttamente legato al regime dei taliban per diverse ragioni.

In primo luogo alcuni gruppi oltranzisti all’interno dei taliban – tra cui gli Haqqani, che controllano il ministero dell’interno, a cui spetta il compito di affrontare queste minacce e i cui legami con il gruppo Is-K risalgono agli attacchi congiunti contro le forze statunitensi, della Nato e afgane – sono riluttanti a passare all’azione contro il gruppo terroristico.

Sono state queste stesse connessioni con l’Is-K a far sì che i taliban, nonostante l’apparente rivalità ideologica con il gruppo, liberassero diverse centinaia di combattenti dopo agosto, consentendo all’organizzazione di accrescere i suoi ranghi da duemila a quattromila unità, secondo una stima elaborata a gennaio 2022 dalle Nazioni Unite. In questo modo l’Is-K ha avuto piena libertà operativa in Afghanistan, dove ha creato cellule in quasi tutte le province.

Opposizione politica armata
In secondo luogo, al di là dell’incapacità e della mancanza di volontà dei taliban di opporsi all’Is-K, la crescente forza del gruppo è legata anche a un’opposizione politica ai taliban. Come emerso da alcuni rapporti recenti, molti uomini di gruppi e milizie in precedenza addestrate dagli Stati Uniti, dalla Cia e dalla Nato si sono da tempo uniti all’Is-K non solo perché perseguitati dai taliban ma anche perché agli occhi di questi combattenti l’Is-K è il modo più efficace di opporsi al dominio dei taliban. Seguendo la regola “il nemico del mio nemico è mio amico”, questi ex miliziani stanno portando avanti con efficacia la missione per la quale sono stati addestrati: dare la caccia e uccidere i taliban.

Se alcuni tra quelli entrati nell’Is-K possono essere inclusi nella categoria dei simpatizzanti ideologici, tanti nuovi aderenti provengono da ambienti più laici della resistenza, tra cui quelli del Fronte di resistenza nazionale (Nrf), basato nell’Afghanistan settentrionale e guidato da Ahmad Massoud e Amrullah Saleh, l’ex vicepresidente dell’Afghanistan.

Anche se gli attacchi dell’Nrf contro i taliban sono gli unici del passato recente di cui si è a conoscenza, negli ultimi mesi sono emersi alcuni nuovi gruppi – il Fronte per la libertà dell’Afghanistan e il Movimento nazionale islamico e di liberazione dell’Afghanistan – che hanno promesso di resistere al regime dei taliban da soli o in alleanza con l’Nrf.

L’Nrf di Massoud ha acceso i riflettori sull’incapacità dei taliban di proteggere la sovranità dell’Afghanistan

Da un recente rapporto dell’Institute for the study of war emerge che questi gruppi definiscono i taliban “gruppo terroristico” e “occupanti”, ponendosi l’obiettivo di “liberare” l’Afghanistan. Ultimamente a loro si è unito anche il generale Sami Sadat che ha guidato le forze di sicurezza afgane nella provincia dell’Helmand prima di essere nominato capo delle forze speciali afgane negli ultimi giorni del deposto regime di Ashraf Ghani. Sadat sostiene di essere in contatto con l’Nrf e altri gruppi che, a suo avviso, hanno abbastanza sostegno popolare da poter coltivare e far crescere un movimento organico di resistenza ai taliban. In quello che appare come un rovesciamento di ruoli, questi gruppi stanno usando le stesse tattiche – in particolare la guerriglia – usate dai taliban contro le forze di Stati Uniti, Nato e Afghanistan.

Il problema cruciale del Pakistan
Alla luce di questi sviluppi, i taliban hanno cominciato a schierare altri uomini armati nell’Afghanistan settentrionale per stanare la resistenza. La maggior parte degli analisti in Afghanistan è perciò convinta che per il paese devastato dalla guerra e già in ginocchio per una gravissima crisi economica si stia profilando una nuova stagione di conflitti. Per questi gruppi della resistenza, tuttavia, il fatto che i taliban non siano riusciti frenare la crisi economica e la minaccia della carestia rappresentano più un’opportunità che un danno, facilitando il reclutamento di nuovi combattenti. Inoltre, poiché i taliban non sono riconosciuti dalla comunità internazionale, difficilmente questi gruppi saranno condannati per le loro azioni contro un regime che non è ancora stato legittimato con le elezioni.

Oltre alla sfida posta dalla resistenza, un altro problema cruciale per i taliban è il crescente allontanamento dal Pakistan, che secondo molti osservatori avrebbe giocato un ruolo sotterraneo lo scorso agosto, mentre le truppe statunitensi si ritiravano.

In una recente operazione motivata, secondo funzionari pachistani, dall’incapacità e dalla mancanza di volontà dei taliban di contrastare il gruppo Tahreek-i taliban Pakistan (Ttp), che si oppone al Pakistan e ha le sue basi nell’Afghanistan orientale, alcuni attacchi aerei condotti dalle forze armate pachistane hanno provocato la morte di almeno 47 persone nelle due province di Khost e Kunar, nell’area orientale del paese. Il gruppo Ttp è noto anche come “taliban del Pakistan” e ha legami saldi con i taliban di Kabul.

Questi attacchi aerei sono un chiaro indice di tensioni tra Islamabad e Kabul, l’Nrf ha sfruttato gli attacchi per accendere i riflettori sulla crescente debolezza del dominio dei taliban e sulla loro incapacità di proteggere la sovranità dell’Afghanistan. Pur condannando l’attacco del Pakistan, l’Nrf ha dichiarato che “il regime occupante dei taliban è la causa principale delle aggressioni straniere in Afghanistan. È necessario sbarazzarsi degli occupanti e dei loro accoliti in Afghanistan”. Come emerso anche da alcuni rapporti recenti, ci sono stati degli incontri tra funzionari statunitensi e leader dell’Nrf in Tagikistan per discutere delle prospettive e delle possibilità di questo movimento di resistenza.

Non è ancora chiaro se Washington offrirà aiuto, ma questi incontri vanno inquadrati sullo sfondo della volontà russa e cinese di rafforzare i taliban contro questi gruppi. Tuttavia gli attacchi aerei pachistani in Afghanistan sembrerebbero indicare che Islamabad non è disposta a sostenere i taliban contro la resistenza, a prescindere dalle posizioni di Mosca e Pechino.

Secondo un rapporto dell’Institute for the study of war, il capo dei servizi segreti pachistani (Isi) Nadeem Anjum avrebbe di recente incontrato esponenti di questi gruppi, compreso Ahmad Massoud. Nel rapporto si legge che Anjum avrebbe espresso il desiderio di lavorare con i gruppi della resistenza in cambio del riconoscimento della linea Durand, il contestato confine del Pakistan con l’Afghanistan che di recente Islamabad si è affrettata a chiudere con una recinzione per ragioni di sicurezza, tagliando così un’importante via di traffici transfrontalieri legali e illegali per i taliban.

Stanno lentamente ma inesorabilmente emergendo sfide dirette e indirette per i taliban, sia dall’interno sia dall’esterno. La capacità del gruppo di mantenere la stretta sul paese è messa a dura prova, una prova che potrebbe rivelarsi fatale nel lungo periodo, se l’Nrf o altri gruppi dovessero avere a disposizione il supporto giusto.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito su Asia Times.

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