L’invasione russa aggrava la dipendenza del mondo dal carbone
In Germania e in Italia si sta prendendo in considerazione l’ipotesi di dare una seconda vita alle centrali alimentate a carbone dismesse da anni. In Sudafrica sono sempre di più le navi cariche di carbone in partenza per quella che è tipicamente una rotta tranquilla, intorno al capo di Buona Speranza, dirette verso l’Europa. Anche l’energia prodotta a carbone negli Stati Uniti è in piena ripresa, ai massimi da un decennio a questa parte, mentre la Cina sta riaprendo le miniere in disuso e progettando di aprirne nuove.
La dipendenza del mondo dal carbone, un combustibile che secondo molti sarebbe presto uscito di scena, è oggi più forte che mai. La domanda è in aumento dal 2021, complici la scarsità di gas naturale e l’incremento dell’uso di elettricità dopo la revoca delle restrizioni della pandemia.
Ma l’invasione russa dell’Ucraina ha spinto al massimo il mercato del combustibile. La guerra ha innescato un effetto domino che sta generando una grande richiesta tra i produttori di energia e spinto i prezzi a livelli record.
Il boom del più inquinante tra i combustibili fossili ha enormi implicazioni per l’economia globale. I prezzi più alti, infatti, alimentano l’inflazione. Ma nonostante la recente impennata, gli esperti ricordano che il carbone rimane uno dei combustibili più economici. È per questo che sta diventando decisivo per le forniture energetiche, anche in una fase in cui il suo uso rappresenta il più grande ostacolo nella lotta al cambiamento climatico. Intanto le aziende minerarie si sforzano per estrarre tonnellate in più, cercando di soddisfare la domanda crescente delle ditte energetiche di tutto il mondo, preparando così il terreno per la prossima fase della crisi energetica globale.
Il 2021 è stato l’anno in cui il mondo ha generato più elettricità da carbone, un aumento del 9 per cento rispetto all’anno precedente
“Quando si cerca di bilanciare decarbonizzazione e sicurezza energetica sappiamo tutti chi vince: la possibilità di continuare a tenere la luce accesa”, afferma Steve Hulton, vicepresidente per i mercati del carbone presso l’azienda di ricerche di mercato Rystad Energy di Sydney. “E questo mantiene i governi al potere frenando le persone dallo scendere per strada e ribellarsi”.
Il 2021 è stato l’anno in cui in assoluto il mondo ha generato più elettricità da carbone, con un aumento del 9 per cento rispetto all’anno precedente, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie). Per il 2022 si stima che il consumo totale di carbone – per generare energia, per produrre acciaio e per altri usi industriali – aumenterà quasi del 2 per cento, raggiungendo la quantità record di poco superiore agli otto miliardi di tonnellate, rimanendo su questo livello almeno per tutto il 2024.
“Tutti gli elementi indicano un crescente divario tra le ambizioni e gli obiettivi politici da un lato e la realtà dell’attuale sistema energetico dall’altro”, dice l’Aie, calcolando che nel 2024 le emissioni di anidride carbonica derivanti dal carbone saranno di almeno tre miliardi di tonnellate in più rispetto alla soglia che servirebbe per rispettare l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050.
La storia del carbone è indissolubilmente legata al gas naturale, spesso promosso come il combustibile alternativo più pulito.
Azzerata la Cop26 sul clima
Quando il mondo ha cominciato a riemergere dalla pandemia, a metà del 2021, con la riapertura di negozi e fabbriche la domanda di energia si è impennata. Ma l’Europa, che aveva fino ad allora guidato gli sforzi globali per abbandonare il carbone, si è trovata di fronte a un problema di approvvigionamento elettrico senza precedenti insieme alla carenza di gas naturale. Allo stesso tempo la produzione da fonti rinnovabili è rimasta scarsa nella regione come in altre parti del mondo. La convergenza di questi eventi ha causato interruzioni della rete elettrica e ha portato alle stelle i prezzi del gas in tutto il mondo, dando il via all’attuale crisi energetica.
Improvvisamente il carbone è tornato in auge in quanto opzione meno costosa. Il carbone termico, cioè quello bruciato nelle centrali elettriche, è una delle fonti combustibili più economiche sul pianeta, al costo di circa 15 dollari per milione di Btu, unità termiche britanniche, secondo un rapporto della Bank of America del 1 aprile. E questo dato va messo a confronto con i circa 25 dollari per il petrolio greggio e il prezzo globale di 35 dollari per il gas naturale, spiega il rapporto.
Nell’Unione europea, che ha uno degli obiettivi climatici più ambiziosi al mondo, l’utilizzo del carbone è cresciuto del 12 per cento nel 2021 anno: si tratta del primo aumento dal 2017. Va tenuto conto, però, che questo incremento è in rapporto al crollo dei consumi registrati nel 2020 a causa della pandemia. L’uso di carbone è salito del 17 per cento negli Stati Uniti ed è aumentato anche in Asia, Africa e in America Latina. India e Cina, che dominano i mercati globali, hanno trainato la crescente domanda mondiale in modo significativo.
Solo pochi mesi fa i rappresentanti dei governi arrivati a Glasgow per la conferenza sul clima Cop26 erano ottimisti sul poter “consegnare il carbone alla storia”. Invece i negoziati si sono conclusi a novembre con un annacquamento del linguaggio riguardo l’uso del carbone. La Cina, gli Stati Uniti e l’India sono i tre paesi che inquinano di più, e tutti e tre si sono impegnati ad azzerare le proprie emissioni nei decenni a venire. Eppure l’India e la Cina hanno tentato interventi dell’ultimo minuto per attenuare i limiti sull’uso del carbone, e gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo chiave nel far passare una versione più blanda rispetto a quella iniziale, mettendo in discussione l’impegno a breve termine dei paesi a ridurre le quantità di carbone usate per produrre energia e acciaio.
E tutto questo avveniva già prima del recente ulteriore exploit del mercato. L’Aie ha pubblicato le sue previsioni annuali sulla domanda a dicembre. Ma adesso – per la prima volta – intende pubblicare una revisione di metà anno a luglio, in modo da analizzare l’impatto della guerra. Con ogni probabilità, la domanda sarà superiore alle previsioni di dicembre, perché l’invasione russa dell’Ucraina mette in moto una reazione a catena nei mercati globali dell’energia che assicura al carbone un ruolo ancor più di primo piano.
Momento di gloria in Europa
L’Europa cerca disperatamente un modo per ridurre la sua dipendenza dalla Russia, fornitore chiave di combustibili fossili. Mentre tenta di ridurre il suo utilizzo di gas naturale proveniente da Mosca, il continente si sta muovendo per vietare il carbone russo, aumentando al tempo stesso il suo uso complessivo di questo combustibile. La mossa dell’Europa si basa sull’idea di poter pagare più di altri compratori per le forniture di carbone non russo, una scommessa che sta facendo lievitare i prezzi sui mercati globali e che quindi potrebbe rendere impossibile acquistare questa risorsa per i paesi meno ricchi.
Per garantirsi l’energia per il prossimo inverno, il governo tedesco sta considerando l’ipotesi di riattivare le centrali a carbone dismesse e ritardare la dismissione di quelle attive. In Danimarca la Orsted A/S sta consolidando le forniture di carbone da usare al posto delle biomasse, perché la fornitura di pellet di legno a zero emissioni di carbonio è stata interrotta dalla guerra. Anche il Regno Unito sta esplorando la possibilità di rafforzare la sua sicurezza energetica tenendo aperti gli impianti a carbone della Grax.
“È l’ultimo momento di gloria per il carbone in Europa”, afferma Emma Champion, a capo del settore transizioni energetiche regionali di BloombergNef. Anche prima della rischiosa mossa dell’Europa, l’approvvigionamento di carbone era già precario. In Germania lo scorso anno una centrale elettrica ha dovuto chiudere perché è rimasta senza combustibile. La carenza di carbone ha causato anche interruzioni dell’elettricità in India e Cina, che insieme rappresentano circa i due terzi dei consumi globali.
I prezzi stanno raggiungendo livelli stratosferici. I futures delle quotazioni di riferimento australiane, che raramente superano i cento dollari a tonnellata, sono schizzati a 280 dollari a ottobre, quando le aziende energetiche setacciavano il pianeta alla ricerca di combustibili. Il prezzo poi si è ridotto, di poco, quando le temperature invernali relativamente miti nell’emisfero settentrionale hanno allentato in parte la domanda di energia. Ma quando la Russia ha invaso l’Ucraina i timori relativi all’offerta hanno spinto i prezzi fino a 440 dollari, un massimo storico. Il mercato europeo ha seguito lo stesso schema, e anche negli Stati Uniti, guidati più dalla domanda interna, i prezzi hanno raggiunto il record degli ultimi 13 anni.
La combustione di carbone deve azzerarsi entro il 2050 per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5 gradi entro la fine del secolo
“La filiera del carbone semplicemente non era pronta per questo tipo di shock”, afferma Xizhou Zhou, amministratore delegato per l’energia globale e le rinnovabili della S&P Global. Ma mentre il carbone diventa sempre più importante, è essenziale che le forniture stiano al passo.
Le compagnie minerarie sono ancora preoccupate per le prospettive di domanda a lungo termine, soprattutto perché le Nazioni Unite ribadiscono la loro opinione secondo cui il mondo deve gradualmente liberarsi da questo combustibile. Il rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) pubblicato questo mese mostra che la combustione del carbone deve azzerarsi entro il 2050 per rimanere dentro l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi entro fine secolo.
“Dire che nel lungo termine non ci sarà domanda per il tuo prodotto ma nel breve termine ‘potresti per favore aumentarlo?’, be’ questo è chiedere tanto a una filiera”, osserva Ethan Zindler, responsabile della ricerca sulle Americhe. A questo caos va aggiunto il fatto che anche in Giappone e in Corea del Sud governi e aziende stanno intraprendendo iniziative per frenare le importazioni di carbone russo. Questo farà sì che una parte del mondo ancora più cospicua dovrà cercare delle alternative ai 187 milioni di tonnellate che la Russia ha esportato per produrre energia elettrica nel 2021, pari a circa il 18 per cento del commercio mondiale di carbone termico. Non sarà facile da sostituire.
Problemi di offerta globale
La produzione globale non è ancora tornata ai livelli prepandemia. Le aziende minerarie hanno faticato a causa di problemi meteorologici, scarsità di manodopera e problemi di trasporto, e anche di una mancanza di investimenti in nuova capacità produttiva.
L’Indonesia, principale esportatore di carbone per centrali elettriche, ha interrotto le esportazioni all’inizio del 2022 per garantire l’approvvigionamento interno. I produttori in Australia, altro esportatore determinante, hanno segnalato di avere un margine limitato per aumentare le vendite. La Coal India, la più grande compagnia mineraria al mondo, di proprietà statale, sta riducendo le consegne alle utenze industriali per dare la priorità alle centrali elettriche, nel tentativo di evitare dei blackout per milioni di famiglie. Le esportazioni dal terminal del carbone sudafricano Richards bay sono crollate a 58,7 milioni di tonnellate nel 2021, il livello più basso registrato degli ultimi 25 anni.
“Quest’anno il commercio globale via mare del carbone resta molto limitato”, afferma Shirley Zhang, analista alla Wood Mackenzie. “Perciò trovare una fornitura alternativa sarebbe estremamente difficoltoso indipendentemente dai prezzi elevati”. E tra riduzione delle forniture globali e aumento dei prezzi, i paesi con mercati emergenti potrebbero non riuscire più a permettersi di acquistare il combustibile per mandare avanti le loro economie. I paesi dell’Asia meridionale a corto di liquidità, come il Pakistan, lo Sri Lanka e il Bangladesh, sono particolarmente esposti agli shock dei prezzi e sono già alle prese con le carenze di energia.
Di certo se i prezzi continuassero a salire, nel lungo termine ciò potrebbe ulteriormente incoraggiare i paesi a disintossicarsi da questo carburante e a sostituirlo con più fonti rinnovabili. Le più ampie tensioni geopolitiche causate dalla guerra russa stanno rafforzando la tesi secondo cui mettere in strada più veicoli elettrici e installare nuove turbine eoliche e pannelli solari potrebbe potenziare l’indipendenza energetica.
La domanda cinese
Anche la Cina è nel pieno di un boom di produzione di combustibili fossili. L’aumento della produzione di carbone è stata un’ossessione per Pechino da quando nel 2021 una carenza di forniture ha causato vaste interruzioni di corrente elettrica. Il paese estrae metà del carbone mondiale, e la produzione è aumentata proprio quando gli ultimi lockdown disposti per arginare la pandemia stavano rallentando l’attività economica e frenando la domanda di energia. Ma non è chiaro se i picchi di produzione siano sostenibili. Di recente un alto funzionario del settore ha dichiarato che la spinta ha raggiunto il suo limite.
Nell’immediato è in atto una lotta globale per accaparrarsi il carbone disponibile così da evitare carenze energetiche. “Non so neppure se ho altre 200 tonnellate”, ha affermato Ernie Thrasher, amministratore delegato della Xcoal energy & resources, il principale esportatore statunitense. “È fisicamente impossibile aumentare la capacità produttiva”.
(Traduzione di Francesco De Lellis)
Questo articolo è uscito su Bloomberg.
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