Perché Jacinda Ardern è così popolare in Nuova Zelanda
La pandemia di covid-19 è forse il più grande test di leadership politica che si sia mai visto al mondo. Tutti i governanti del pianeta sono chiamati a fronteggiare la stessa minaccia. Ognuno ha reagito in modo diverso, seguendo il proprio stile, e ognuno sarà giudicato in base ai risultati. Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel si affida alla scienza, il presidente brasiliano Jair Bolsonaro la rifiuta. I briefing quotidiani del presidente statunitense Donald Trump sono uno spettacolo circense, mentre il primo ministro indiano Narendra Modi non fa comunicazioni regolari alla popolazione neanche ora, con 1,3 miliardi di cittadini sotto lockdown.
In Nuova Zelanda la prima ministra Jacinda Ardern, 39 anni, ha scelto una strada tutta sua. Nel bel mezzo di una crisi che spinge le persone a pensare prima a se stesse, Ardern ha adottato uno stile di governo improntato all’empatia. I suoi messaggi sono chiari e coerenti, ma risultano anche lucidi e consolatori. Oltre a soddisfare i neozelandesi sul piano emotivo, questo approccio si sta dimostrando anche molto efficace.
Come fa notare Helen Clark, che l’ha preceduta a capo del governo neozelandese dal 1999 al 2008, la gente vede Ardern come “una persona vicina ai cittadini, che non vuole fargli la predica”. Clark e Ardern sono entrambe esponenti del Partito laburista. “Qualcuno forse può pensare: ‘Non capisco bene alcuni provvedimenti del governo, ma so che Jacinda sta dalla nostra parte’. L’alto grado di fiducia nella premier si deve proprio a questa empatia”.
“È brava nella comunicazione”, conclude Clark, ricordando la disciplina in cui Ardern è laureata. “Questo è proprio il genere di crisi che può determinare il successo o il fallimento di un politico. E Jacinda ce la farà”.
Comunicazioni efficaci
Tra le novità introdotte da Ardern ci sono i frequenti interventi live su Facebook, che ha reso uno strumento informativo e al tempo stesso informale. A fine marzo, quando stava per imporre il lockdown, Ardern ha parlato ai cittadini da casa sua con indosso una felpa “vissuta” (ha spiegato che aveva appena messo a letto la bambina) e ha fornito indicazioni “per questo momento in cui ci prepariamo a resistere”. Ha detto ai neozelandesi che capiva benissimo quanto doveva essere stato allarmante sentire la “sirena” che aveva preceduto il messaggio con cui erano stati avvisati che la normale vita si sarebbe fermata per un po’. Ha anche dato consigli, come quello di considerare “le persone che in questo periodo saranno nella vostra vita in modo permanente come una ‘bolla’” e di comportarsi come se si avesse contratto il covid-19 con chi sta fuori dalla bolla.
Per spiegare le severe misure imposte dal governo, Ardern ha usato esempi pratici: “Non vi allontanate da casa. Se decidete di spostarvi verso una destinazione lontana, pensate a cosa potrebbe succedere se l’auto avesse un guasto”. Ha anche detto che, essendo madre, sapeva bene quanto fosse difficile evitare i parchi giochi, “ma il virus è in grado di sopravvivere anche 72 ore sulle superfici”. Inoltre ha fatto alcune previsioni: che il lockdown sarebbe durato varie settimane e che il numero dei contagi avrebbe subìto un’impennata proprio mentre i neozelandesi cominciavano a chiudersi in casa.
Tutta la scena è in linea con questo periodo, dove le esigenze del lavoro e della vita quotidiana sono continuamente in conflitto
In un video recente su Facebook, un membro dello staff di Ardern entra nel suo ufficio proprio mentre lei sta per lanciarsi in una spiegazione dettagliata di come sarà la vita dopo che il governo avrà allentato le misure di contenimento. Lei esclama: “Oh, ecco Leroy!”, e rassicura le persone collegate che l’uomo faceva già parte da prima della sua “bolla di lavoro”. Dietro la scrivania della prima ministra si vede un giocattolo. Tutta la scena insomma è in linea con questo periodo, dove le esigenze del lavoro e della vita quotidiana sono continuamente in conflitto.
Ardern tiene anche brevi conferenze quotidiane più formali e convenzionali insieme ad altri esponenti del governo e con la stampa, ma anche in questi casi aggiunge un tocco personale. Come osserva Clark, “anche Trump fa i suoi briefing, ma quello è uno spettacolo di tipo diverso. Jacinda non ha mai aggredito un giornalista che le aveva fatto una domanda”. Al contrario, di recente, quando un reporter ha dimenticato la domanda che voleva farle, Ardern ha detto in tono scherzoso: “Lei mi preoccupa, non dorme abbastanza”.
“Ardern non fa disinformazione, non scarica sugli altri le colpe, tenta di rispondere alle attese di tutti e al tempo stesso è rassicurante”, commenta Van Jackson, docente di relazioni internazionali alla Victoria university di Wellington. “Usa la sua autorevolezza per spingere la società a valorizzare i suoi aspetti migliori, come il fatto di essere gentili con gli altri. Penso che questo sia più importante di quanto si creda, e che influenzi positivamente gli atteggiamenti di tutti”.
Lo stile di governo di Jacinda Ardern sarebbe interessante e nulla più, se non fosse che le sue scelte politiche hanno dato risultati concreti. La Nuova Zelanda è stata l’unico paese al mondo a prefiggersi l’obiettivo nazionale di eliminare il nuovo coronavirus. E ci sta riuscendo. I test diagnostici sono molto diffusi e il sistema sanitario nazionale non è sovraccarico. Il picco delle nuove infezioni è stato raggiunto all’inizio di aprile e a oggi, su una popolazione di 5 milioni di abitanti, i morti sono 14.
Dopo la crisi
Fin dall’inizio la Nuova Zelanda ha potuto contare su condizioni favorevoli per debellare il virus: è un gruppo di isole relativamente distanti tra loro nel Pacifico meridionale. “Da noi i casi sono stati pochissimi, così abbiamo potuto realmente adottare” una strategia di eradicazione del virus, precisa Clark. “Trovarsi alla periferia del mondo ha un vantaggio: puoi osservare gli eventi da lontano”.
Ma è anche vero che il governo ha attuato da subito interventi decisivi. Ha imposto il lockdown in tutto il paese molto presto. Ha proibito l’ingresso ai viaggiatori provenienti dalla Cina già all’inizio di febbraio, quando in Nuova Zelanda non era ancora stato registrato neanche un caso di covid-19. E ha chiuso le frontiere a tutti i non residenti a metà marzo, quando i malati si contavano sulle dita di una mano.
Michael Baker e Nick Wilson, due dei principali esperti di sanità pubblica del paese, hanno scritto che, anche se la strategia può ancora fallire, intervenire presto ha fatto guadagnare tempo per mettere a punto provvedimenti in grado di fermare la trasmissione del nuovo coronavirus.
Secondo Van Jackson, la decisione del governo di essere fin da subito molto trasparente sul sistema di allerta, articolato su quattro livelli (il livello 4, il più alto, è stato raggiunto alla fine di marzo), “è stata ottima, perché ci ha preparato psicologicamente all’aumento della gravità”.
Naturalmente, se le cose stanno funzionando non è merito solo di Ardern: dipende anche dall’eccezionale sforzo collettivo messo in campo dagli operatori della sanità pubblica, dai politici dell’opposizione e dai cittadini, che hanno rispettato il distanziamento sociale.
Tuttavia, questa unità d’intenti potrebbe sgretolarsi. Anche se il governo ha annunciato misure di stimolo all’economia, alcuni politici dell’opposizione ed esperti di sanità pubblica chiedono di revocare il lockdown, che sarà allentato solo a partire dal 27 aprile. Accusano il governo di aver reagito in modo eccessivo, e prendono a esempio la vicina Australia, che è riuscita a contenere l’aumento delle nuove infezioni senza ricorrere a misure altrettanto rigide.
Secondo Van Jackson, il modo di governare di Ardern ricorda quello di Barack Obama: “Polarizza l’opinione pubblica in patria ma è molto apprezzato all’estero”. Eppure la popolarità di Ardern in Nuova Zelanda, spiega, “non è mai stata tanto alta”. Da un sondaggio condotto ai primi di aprile, è emerso che l’88 per cento dei neozelandesi ha fiducia che il governo prenda le decisioni giuste riguardo alla pandemia e l’84 per cento approva le misure adottate per fronteggiarla. Sono percentuali più alte rispetto a quelle rilevate nelle sette economie più sviluppate del mondo, Stati Uniti compresi. I cittadini neozelandesi sostengono le scelte del governo anche se molti di loro ne pagheranno gli effetti sul piano economico, almeno nel breve periodo.
Ma anche se Ardern e molti giovani leader europei si sono destreggiati abilmente nella crisi provocata dal nuovo coronavirus, Jackson si dice ancora preoccupato al pensiero di come questa nuova generazione di leader gestirà il periodo successivo alla pandemia. “Un conto è prendere decisioni strategiche, altra cosa è prendere decisioni di fronte a una crisi”, osserva. “Nei prossimi anni il mondo cambierà, per lo più in peggio. Una grande depressione sembra praticamente inevitabile. L’opportunismo della Cina non ha limiti. Tutti i dittatori si servono della pandemia per rafforzare il controllo sulle società dei loro paesi. E le istituzioni multilaterali internazionali non stanno mantenendo le promesse. Uscire indenni da questa crisi sarà solo il primo passo sulla lunga strada verso un mondo nuovo”.
(Traduzione di Marina Astrologo)
Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale.
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