Il videogioco fantasy che ci porta nell’Africa del futuro
“Sarà un real movie dal cuore africano”, sorride Dominique Yakan, 28 anni, cofondatore di Kiro’o Games, lo studio camerunense che dopo aver sbancato sulle piattaforme della Microsoft vuole conquistare Hollywood.
La storia è cominciata all’università di Yaoundé, in Camerun, con pochi soldi in tasca e la corrente che andava e veniva. Durante i corsi di sviluppo software, l’incontro con Madiba Olivier, le partite alla PlayStation e al Nintendo e una prima idea tutta sbagliata: “Ci piacevano i ninja”.
Personaggi stereotipati, storie senz’anima. Abbandonate subito, anzi capovolte, scoprendo il gusto di cambiare prospettiva. “Dal dramma dell’imperialismo europeo forse abbiamo tratto un vantaggio: la facilità nel relazionarci con culture di altri paesi”, dice Yakan in collegamento Skype.
Danza e colpi di sciabola
È nato così Aurion: legacy of the Kori-Odan, un tentativo di condividere un pezzetto del proprio mondo, se sconosciuto tanto meglio. Lui, l’eroe, si chiama Enzo Kori-Odan. È il re di Zama, allegoria digitale di un’Africa futura mai colonizzata, caleidoscopio di tribù, etnie e culture. Vittima di una congiura di palazzo nel giorno delle nozze, Enzo è costretto ad andare alla riconquista del trono insieme alla regina Erine.
Per superare livelli e far punti non basta la destrezza in duello: è indispensabile saper stringere alleanze con popoli e regni. E poi c’è l’Aurion, la misteriosa fonte d’energia del pianeta Auriona, eredità decisiva trasmessa dagli antenati. Tra colpi di sciabola e ritmi bikutsi, la dance che fa ballare Yaoundé, aleggiano interrogativi sul senso della vita e i destini dell’umanità.
“La geopolitica non ha a che fare con chi governa il mondo ma con la direzione che vuol prendere la specie umana”, ha azzardato Olivier in un’intervista alla Cnn. Proprio un servizio dell’emittente statunitense, e le nuove puntate sul Wall Street Journal e Forbes, hanno segnato lo spartiacque tra le collette in Camerun e Hollywood.
“Non ce l’avremmo mai fatta senza il crowdfunding”, ricorda Yakan. È lui lo stratega della raccolta fondi, e spiega: “Abbiamo dato ai finanziatori la possibilità di diventare soci dello studio prima ancora che nascesse. Dopo, per sviluppare il gioco, abbiamo usato Kickstarter”. In pochi mesi sono stati messi insieme cinquantamila dollari, abbastanza per i disegni, l’animazione e lo sbarco su Steam, la più importante piattaforma online al mondo per videogame.
Verso il grande schermo
E Hollywood? Di mezzo c’è la Good Fear Film, società fondata da Chris Bender e Jake Weiner, i creatori di Mulan. Ha acquistato i diritti in esclusiva e ora sta cercando un produttore e un distributore per realizzare un lungometraggio. “Non sarà un cartone animato ma un real movie con tanto di attori”, anticipa Yakan. La ricetta sono costi bassi e zero stereotipi, il contrario dell’Africa rappresentata nei videogiochi americani e giapponesi.
I più famosi videogiochi ambientati in Africa sono Far Cry 2 e Resident Evil 5 e descrivono guerre civili in paludi malariche, epidemie incontrollabili e trafficanti spietati al punto da giustificare accuse di razzismo. Racconti sempre meno credibili, anche per le proposte degli studi nati a sud del Sahara. Come il nigeriano Maliyo, specializzato in titoli per mobile, il keniano Leti Arts, enigmi e antiche leggende, o il sudafricano Free Lives, all’avanguardia nelle produzioni per personal computer.
Segnali di un continente in crescita nonostante l’insufficienza di risorse finanziarie, trainato dalla diffusione capillare degli smartphone e da piattaforme come Kickstarter o Indiegogo. Il cofondatore di Kiro’o Games ricorda le diffidenze iniziali degli investitori, “sospettosi della solita truffa africana”.
Un atteggiamento che al cinema Aurion, magari già dal 2018, potrebbe aiutare a modificare. Poi resterebbe l’altro obiettivo, non meno ambizioso dello sbarco a Hollywood: far conoscere il videogame agli africani. “In Camerun sono in vendita i dvd ma per acquistare su Steam serve la Mastercard”, spiega Yakan. “Nel resto del mondo, paradossalmente, è più facile”.