La destra divisa non conquista l’Europa
Questo articolo nasce dal lavoro comune di un gruppo di giornali europei, Europe’s far right research network, in vista delle elezioni europee 2019. Ne fanno parte, oltre a Internazionale, Falter (Austria), Gazeta Wyborcza (Polonia), Hvg (Ungheria), Libeŕation (Francia) e Die Tageszeitung (Germania). Questo progetto ha vinto il premio Concordia-Preise per la libertà di stampa 2019.
In Italia Salvini esce rafforzato dal voto
Annalisa Camilli, Internazionale
Dopo appena due ore dalla chiusura dei seggi in Italia il leder della Lega ha commentato i risultati elettorali in una conferenza stampa a Milano, stringendo tra le mani un rosario da preghiera. “Nasce una nuova Europa”, ha detto Salvini citando i risultati di Marine Le Pen in Francia e di Nigel Farage nel Regno Unito. Salvini è il vincitore assoluto delle elezioni in Italia, il suo partito, la Lega, ha conquistato un terzo dei voti degli italiani (34 per cento). Era arrivato al governo come azionista di minoranza dopo le elezioni politiche nel marzo del 2018 con un modesto 17 per cento, ma dopo un anno al governo e una campagna elettorale molto aggressiva condotta da ministro dell’interno, i rapporti di forza con i suoi alleati si sono ribaltati. Se si pensa che nelle ultime elezioni europee il partito di Salvini aveva raccolto uno scarno 5 per cento, ci si rende conto ancora meglio di quale sia stata la parabola ascendente dei sovranisti italiani: in cinque anni hanno guadagnato sette milioni e mezzo di voti.
Secondo gli ultimi risultati la Lega manderà a Strasburgo 29 parlamentari e sarà uno dei partiti più rappresentati insieme alla Cdu di Angela Merkel e all’Ukip di Nigel Farage. Il Movimento 5 stelle invece ha subìto una vera e propria débâcle attestandosi al 16,6 per cento (alle politiche del 2018 era il primo partito con il 32 per cento), consumato dal confronto di governo con un ministro dell’interno aggressivo e presenzialista, che ha dettato la linea al governo soprattutto sui temi dell’immigrazione e della sicurezza e ha lasciato pochi spazi di manovra agli avversari.
Molti analisti temono che l’avanzata di Salvini possa far vacillare il governo, ma lo stesso leader della Lega ha assicurato commentando i risultati delle europee che l’alleanza di governo non è in discussione. Per il leader della Lega la vera posta in gioco sono “i parametri, i vincoli, l’austerità” europei che per Salvini “vanno cambiati”.
Dal canto suo il leader del Partito democratico, Nicola Zingaretti, ha ricordato a Salvini che nel parlamento europeo i sovranisti sono stati messi ai margini e che quindi sarà difficile cambiare le regole dell’Unione e si è detto soddisfatto del sorpasso avvenuto da parte del suo partito (che ha preso il 23 per cento). Il Pd si è attestato come primo partito soprattutto nelle grandi città come Roma, Milano e Torino, mentre il Movimento 5 stelle ha resistito nelle città del sud e in generale nelle aree meridionali del paese. Tuttavia dal 2014 il Pd ha perso sei milioni di voti e sono lontani i tempi in cui conquistava il 40 per cento dei consensi. Matteo Salvini esce rafforzato dalle elezioni europee, ma soprattutto gli altri partiti italiani sembrano oggi ancora più deboli e spaesati.
Le ambizioni dell’estrema destra francese
Tristan Berteloot, Libération
Primo partito francese alle elezioni europee, il Rassemblement national (Rn, ex Front national) ha guadagnato terreno rispetto al 2014 passando da 4,7 milioni a 5,2 milioni di voti. La formazione di Marine Le Pen non ha aumentato il numero dei deputati (23 contro i 24 nel 2014, che però erano diventati 15 nel corso del mandato a causa di numerose defezioni), ma ha rafforzato la sua posizione di “primo partito” d’opposizione in Francia e forza di spicco del movimento nazionalista europeo. Questo aspetto è particolarmente importante, non soltanto in termini di immagine tra i populisti europei ma anche rispetto alle ambizioni del partito a livello continentale. Il Rassemblement national vorrebbe infatti costituire (e co-presiedere) la “grande coalizione” dei sovranisti al parlamento europeo – per il momento divisi in tre gruppi – riunendoli in una nuova alleanza il più allargata possibile.
In fondo, per il Rassemblement national, questa era l’unica posta in gioco alle elezioni europee, considerando che il bilancio dell’attività del partito negli ultimi cinque anni a Bruxelles è vicino allo zero. Marine Le Pen lo ha ribadito durante tutto il corso della campagna, per esempio lo scorso ottobre, a Roma, in compagnia del suo alleato e capo della Lega Matteo Salvini. Le Pen vorrebbe “sostituire” quelli che “sono alla guida del sistema totalitario che è l’Unione europea, restituendo il potere al popolo”. Salvini, dal canto suo, intende “formare un asse sulla difesa dei valori, per portare la rivoluzione in tutta l’Europa” inondandola di commissari euroscettici.
Per realizzare il loro sogno, all’indomani dello scrutinio i due leader populisti dovranno aggregare nuove forze, anche se matematicamente non possono raggiungere la maggioranza in parlamento.
A Milano, il 18 maggio, Le Pen e Salvini si erano incontrati con una decina di rappresentanti dell’estrema destra europea: oltre ai tedeschi dell’AfD c’erano emissari della destra bulgara, slovacca, ceca, estone, austriaca, olandese e danese. Sommando i seggi conquistati da tutte queste formazioni si arriva appena a 74 eurodeputati, di cui 11 dell’AfD. In definitiva le elezioni europee del 2019 non hanno segnato il trionfo annunciato dai populisti, che per esempio sono in calo in Danimarca e in Austria, dove l’Fpö, travolto da un enorme scandalo di corruzione, non ha superato i 3 seggi. Il Volya bulgaro, lo slovacco Sme Rodina e il Pvv olandese non hanno conquistato nessun seggio, non avendo raggiunto la soglia di sbarramento del 5 per cento. Gli estoni di Ekre hanno ottenuto un seggio, ma in questo caso parliamo di un partito che oltre a essere euroscettico è anche neonazista ed è lontanissimo dalle posizioni filorusse di Le Pen o Salvini.
In questo momento l’Rn e la Lega pescano un po’ ovunque nel bacino dell’estrema destra europea per trovare potenziali alleati. Per esempio in Spagna, dove vorrebbero coinvolgere la giovane formazione franchista Vox e i suoi tre eurodeputati, anche se il partito è distante dalla linea ideologica dell’Rn e del suo alleato italiano.
“Dopo il 2014 ci abbiamo messo un anno a formare un gruppo”, sottolinea un esponente dell’Rn. “Stavolta cominciamo con un’alleanza già formata e molto importante, di cui fanno parte le due maggiori forze di destra in Europa”. La fonte dimentica che in Ungheria il partito di Viktor Orbán, Fidesz, è al potere, così come il PiS in Polonia, e che per il momento nessuno dei due vuole sentir parlare della coalizione con Le Pen e Salvini. Il PiS intende tenersi alla larga dal filorusso Rn, che in generale gode di una pessima reputazione fuori dai confini nazionali. Quanto a Fidesz, Orbán non vuole voltare le spalle al potente Partito popolare europeo, che gli garantisce un’influenza di gran lunga maggiore rispetto al gruppo di Salvini.
“Quando Orbán vedrà che i Repubblicani hanno preso meno del 9 per cento forse cambierà idea”, commenta una fonte vicina a Le Pen. Il centro della coalizione sarà comunque Salvini, che è al potere in Italia e che secondo un altro lepenista è sicuro che questo cantiere a medio termine coinvolgerà anche Orbán.
In Germania la destra non sfonda
Sabine am Orde, Die Tageszeitung
Le elezioni europee hanno fatto segnare una battuta d’arresto nell’avanzata di Alternativa per la Germania (AfD). Con l’11 per cento dei voti, il partito fa un passo avanti rispetto al 2014 ma anche un passo indietro rispetto alle elezioni legislative, doveva aveva ottenuto il 12,6 per cento. L’estrema destra tedesca resta ben lontana dalla soglia del 20 per cento indicata come obiettivo fattibile dal leader e capolista Jörg Meuthen alla fine dell’anno scorso. I risultati segnano evidentemente la sconfitta di Meuthen. Il paese, in tutto questo, resta diviso. AfD ottiene buoni risultati nella Germania orientale, e ottimi in Sassonia e Brandeburgo.
Subito dopo l’annuncio dei primi risultati, il copresidente del partito Alexander Gauland ha dichiarato che l’AfD è stato danneggiato dallo scandalo Ibiza che ha travolto l’Fpö in Austria. I contatti con gli austriaci sono molto stretti, i due popoli si scambiano spesso consigli e si vantano dei propri successi. Dopotutto Heinz Christian Strache era riuscito a diventare vicecancelliere. Contatti intensi con la Russia, donazioni sospette, un’idea poco condivisibile della libertà di stampa: tutti elementi presenti anche nell’AfD.
Eppure, a prescindere dall’Fpö, le cose per AfD non vanno bene da mesi, a cominciare dal leader del partito. I dettagli sempre nuovi sulle donazioni sospette che coinvolgono Meuthen e Guido Reil (secondo nella lista per le europee), i sospetti dei servizi segreti nei confronti della corrente “Der Flügel” e del movimento giovanile “Alternativa giovane”, i contatti discutibili con la Russia e un dibattito sul clima che ha marginalizzato quello sull’immigrazione (e in cui AfD non è in grado di inserirsi) sono tutti elementi che potrebbero aver danneggiato il partito.
Polonia, un paese diviso
Katarzyna Brejwo, Gazeta Wyborcza
In Polonia al momento il quadro è questo: il partito Diritto e giustizia (PiS), al governo, ha vinto con il 45,4 per cento dei voti, mentre la Ke (Coalizione europea composta dai partiti d’opposizione) si è fermata al 38,5 per cento. Il terzo partito che sarà presente al parlamento europeo è Wiosna (Primavera), una nuova formazione di sinistra che ha conquistato il 6,1 per cento dei voti. Gli euroscettici di estrema destra di Konfederacja non hanno superato la soglia di sbarramento, fermandosi al 4,5 per cento dei voti.
I risultati mostrano una Polonia divisa: il PiS vince nelle campagne e nei piccoli centri abitati, nella parte orientale del paese e nelle regioni centrali statisticamente più povere, mentre la Ke prevale nelle grandi città. Per il PiS votano soprattutto le persone meno istruite, mentre i polacchi con una formazione scolastica più approfondita scelgono la Ke.
La vittoria del PiS non è una sorpresa. Nel corso della campagna elettorale il governo ha promesso ulteriori misure sociali, tra cui il sussidio di maternità fin dal primo figlio, la tredicesima per i pensionati e finanziamenti per l’agricoltura. In questo modo il partito ha aumentato i consensi. Nelle ultime settimane prima del voto, il dibattito pubblico è stato dominato dalle accuse nei confronti della chiesa, che avrebbe coperto una serie di scandali di pedofilia. Un documentario indipendente sull’argomento è stato presentato in anteprima a due settimane dalle elezioni, e da allora è stato visualizzato venti milioni di volte su YouTube. Inoltre il quotidiano Gazeta Wyborcza ha rivelato che il primo ministro Mateusz Morawiecki ha acquistato alcuni terreni dalla chiesa a un prezzo fuori mercato. Tutto questo, però, non ha penalizzato il PiS, capace di compattare gli elettori attorno all’idea che i valori della famiglia e della chiesa siano sotto attacco e che soltanto il partito è in grado di difenderli.
In Austria l’estrema destra gioca il ruolo della vittima
Nina Horaczek, Falter
Lo scandalo Ibiza ha avuto delle conseguenze sul voto austriaco, ma non ha stravolto l’assetto politico del paese: stando ai sondaggi, due settimane prima del voto il Partito della libertà austriaco (Fpö) era dato al 23 per cento mentre esce dalle urne con un 17,2 per cento dei voti, comunque un buon risultato. Il partito è riuscito a fare la parte della vittima. Tra i suoi elettori circola la teoria complottista secondo cui Strache sarebbe stato vittima di forze criminali estere che cospirerebbero per rovesciare l’Fpö. Lo slogan del partito, “Jetzt erst recht” (“ora più che mai”), ha funzionato. E anche il tratto distintivo di essere l’unico partito antieuropeista.
L’Fpö può essere fiducioso di avere un futuro politico. Sì, ha preso una piccola ammaccatura, che si è tradotta nel voto in un calo di preferenze. Ma il partito non si è lasciato abbattere e la notte delle elezioni ha festeggiato il risultato. Si sente inoltre parte di una destra europea forte che sostiene di aver ottenuto “un enorme successo”, come ha dichiarato il candidato dell’Fpö Harald Vilimsky.
Nell’insieme le elezioni europee hanno avuto in Austria un ruolo secondario: in un paese abituato a esecutivi stabili, la grande domanda, dopo lo scandalo di Ibiza, è cosa ne sarà della repubblica dopo il voto di sfiducia nei confronti del cancelliere Kurz.
Il premier ungherese non canta vittoria
Gergely Márton, Hvg
Il primo ministro Viktor Orbán aveva due obiettivi: ottenere un risultato elettorale migliore di qualsiasi altro partito europeo e formare un parlamento europeo con una maggioranza contraria all’immigrazione. Ma il suo partito, Fidesz, con il 52,3 per cento dei voti è rimasto un po’ al di sotto delle sue aspettative.
Dopo le elezioni del 2009 (56 per cento) e del 2014 (51,5 per cento), il partito ha messo in campo una macchina propagandistica che non ha eguali. In Ungheria sono stati chiusi i quotidiani critici verso il governo, somme inaudite sono state spese per mobilitare la gente contro i migranti. Come se non bastasse, gli elettori sono stati “importati”, come si dice in Ungheria: la costituzione è stata modificata in modo che potessero votare anche gli ungheresi che vivono in Ucraina e Serbia, quasi esclusivamente elettori di Fidesz.
Orbán sperava in una destra così forte all’interno dell’Europarlamento da poter fare il bello e il cattivo tempo quasi su tutto, in particolare sul tema dei migranti. Ma quella maggioranza non c’è. Il suo alleato tradizionale è il partito polacco Diritto e giustizia, che però non ha alcuna intenzione di unirsi ai tedeschi di Alternativa per la Germania.
Per questo Orbán si è mostrato piuttosto taciturno dopo le elezioni. Aveva fatto credere agli ungheresi che sarebbero diventati i leader di una nuova politica europea di destra. Forse ora sarà costretto a fare pace con il Movimento politico cristiano d’Europa. Osservata dall’esterno, quella di Fidesz appare come una grande vittoria, ma dal punto di vista ungherese non lo è affatto.
(Traduzione di Andrea Sparacino e Nicola Vincenzoni)
Questo articolo nasce dal lavoro comune di un gruppo di giornali europei, Europe’s far right research network, in vista delle elezioni europee 2019. Ne fanno parte, oltre a Internazionale, Falter (Austria), Gazeta Wyborcza (Polonia), Hvg (Ungheria), Libeŕation (Francia) e Die Tageszeitung (Germania). Questo progetto ha vinto il premio Concordia-Preise per la libertà di stampa 2019.