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Un progetto per difendere i desideri delle persone con disabilità

Ladispoli, settembre 2014. Andrea Pellegrini è un atleta che ha perso una gamba a causa di un incidente ferroviario. (Fabio Renzi)

L’etimologia della parola desiderio è una delle più affascinanti che si possano incontrare nello studio delle origini della lingua italiana. Deriva dal latino e significa letteralmente “mancanza delle stelle”. Avvertire la mancanza delle stelle è una metafora che esprime perfettamente ciò che accade quando desideriamo qualcosa o qualcuno: ne sentiamo la mancanza e questo ci spinge ad agire per provare a tradurre i nostri desideri in realtà.

Desiderare dovrebbe essere un diritto di tutti e tutte, eppure per alcune persone – tra cui quelle con disabilità – non è così ovvio. Come non lo è poter prendere delle decisioni sulla propria vita in autonomia, anche quando si tratta di scelte semplici e banali, per esempio cosa indossare, cosa mangiare a pranzo o dove andare in vacanza.

Le ripercussioni più pesanti le subisce chi non ha la possibilità di far sentire la propria voce perché le sue caratteristiche fisiche, sensoriali o cognitive lo portano a comunicare, percepire o ragionare in modi e tramite canali non convenzionali. Ma è sempre possibile generare un movimento in controtendenza rispetto alla direzione in cui si orienta la maggioranza.

A Reggio Emilia questo “cambiamento di direzione” si chiama “Registro dei progetti esistenziali di vita”, un registro pubblico istituito presso l’ufficio di stato civile del comune e destinato all’annotazione dei desiderata, dei bisogni, delle aspirazioni delle persone disabili, con particolare attenzione alle condizioni più complesse.

Informazioni affettuose
L’idea del registro è nata nell’ambito dell’iniziativa “Reggio Emilia città senza barriere”, volta a promuovere l’inclusione e il superamento delle barriere architettoniche e culturali che ostacolano la partecipazione delle persone con disabilità alla vita sociale, culturale e politica della città.

Sperimentazione per ora unica a livello nazionale, è stata realizzata grazie alla collaborazione tra amministrazione comunale, Farmacie comunali riunite (Fcr), Ausl, Fondazione durante e dopo di noi di Reggio Emilia e al contributo del giurista Paolo Cendon, con la sua associazione Diritti in movimento. Cendon, professore ordinario di diritto privato all’università di Trieste, è promotore di importanti leggi per la difesa dei diritti civili, tra cui quella che istituisce e norma il ruolo dell’amministratore di sostegno.

“Il progetto nasce da un incontro con Cendon e Daniele Marchi, assessore al welfare”, racconta Annalisa Rabitti, assessora a cultura, pari opportunità e città senza barriere del comune di Reggio Emilia. “Per una persona con disabilità non è scontato poter determinare la propria vita, poter compiere delle scelte”, spiega Rabitti. “Si è spesso rappresentati e ‘interpretati’ da familiari, specialisti, professionisti che sanno tutti cosa è bene e giusto per te, qual è la terapia. Parlando di disabilità abbiamo pensato al diritto al desiderio delle piccole cose, per esempio scegliere di poter andare al mare e non al lago, fare colazione con uno yogurt invece che con un budino, eccetera”, spiega Rabitti. “Tutte queste cose, che per una persona sembrano normali, scontate, per persone con disabilità grave che magari non possono esprimere le proprie opinioni – sia perché hanno dei ritardi cognitivi sia per altre difficoltà – non lo sono. La domanda che ci siamo fatti è: cosa succede a una persona con disabilità quando resta sola? Quando non riesce a esprimere tutti questi piccoli desideri o ‘informazioni affettuose’ – le abbiamo chiamate così – che soltanto chi conosce bene questa persona conosce?”.

“Prendiamo il caso di un ragazzo con disabilità mentale che adora lavorare in biblioteca. Fa un tirocinio in biblioteca e spera di non dover mai cambiare mestiere. Il suo sogno è viaggiare. Adora uscire con gli amici e andare a mangiare una pizza. Ha messo tra i suoi desideri che vuole continuare a vivere così e fare quelle cose”, spiega Annalisa Rabitti parlando di uno dei progetti.

Come funziona
Il progetto esistenziale di vita (Pev) messo nero su bianco nel registro può contenere informazioni riguardanti vari ambiti: affettivo-relazionale, lavorativo, abitativo, culturale, eccetera. Per poterlo redigere è necessario essere maggiorenne, risiedere a Reggio Emilia e avere una disabilità riconosciuta dalla legge 104/92.

Il richiedente – l’interessato stesso o un’altra persona legittimata a rappresentarlo, come un genitore o un amministratore di sostegno – deve essere affiancato da un accompagnatore che, attraverso diversi incontri, lo aiuterà a redigere il progetto. Una volta presentato, il progetto di vita viene esaminato da una commissione composta da tre persone con specifiche competenze legali, psicosociali, medico-sanitarie e quindi depositato e custodito negli uffici dell’anagrafe, e dovrà essere tenuto in considerazione anche quando i genitori e le persone più vicine non ci saranno più.

Il registro è quindi uno strumento che, partendo dall’ascolto dei desideri, può aiutare le persone a far rispettare la loro volontà e a preservare le loro abitudini, anche quando verrà a mancare il sostegno familiare.

Accettare l’indipendenza
Tuttavia non si può lasciare che il percorso di autodeterminazione di una persona cominci quando i suoi familiari non sono più in grado di prendersene cura. Deve cominciare quando la famiglia è ancora presente e può sostenerla in questo cammino. Enza Grillone, presidente della fondazione Durante e dopo di noi, e madre di una donna di 47 anni con una disabilità complessa, lo sa bene ed è consapevole della difficoltà che molti genitori di persone con disabilità, anche adulte, hanno nell’accettare il percorso di indipendenza dalla famiglia dei loro figli.

“Per molti di noi il rischio è che il progetto di vita sia il nostro, non quello dei nostri figli. Invece i nostri figli hanno diritto a cambiare, a crescere. Il registro dev’essere uno strumento per aiutare le persone a realizzare un progetto di vita. Non può essere il congelamento di una situazione”.

Per questo il progetto esistenziale di vita può essere modificato in ogni momento. “Ciò che piaceva a mia figlia a vent’anni non è ciò che le piace ora”, spiega Enza Grillone. “E bisogna tenerne conto”.

La sperimentazione di Reggio Emilia interessa potenzialmente circa 700 persone e le loro famiglie, e finora i progetti redatti sono una decina. È stata anche formulata una proposta di legge, a firma del professor Cendon, per ufficializzare il registro dei progetti esistenziali di vita ed estenderlo al resto del paese.

“Il Pev nasce dalla legge sul Dopo di noi, del 2016. Esisteva già una legge in Italia, la 328 del 2000, che parla di ‘progetto individuale’”, precisa Cendon. “Però è stata sempre vista come un progetto di tipo lavorativo o residenziale. Naturalmente sono cose importanti ma per me l’essenziale, per una persona che ha bisogno di essere aiutata, è il progetto di vita di tipo sentimentale, esistenziale, personale, quotidiano, affettivo…Tutti questi aspetti sono la chiave di volta dell’esistenza. La legge sul Dopo di noi parla per lo più di aspetti patrimoniali, burocratici, fiscali, non menziona l’essenziale per proteggere il disabile spaventato dal rischio di restare orfano. Non si dice niente su questi aspetti ‘liquidi’ della sua vita”.

Una proposta coraggiosa e giusta, per usare le parole dell’assessora Rabitti, orientata alla difesa dei diritti delle persone a maggior rischio di emarginazione sociale.

Forse per la prima volta in Italia viene esplicitamente posto l’accento sul rispetto dei desideri delle persone con disabilità e viene ufficializzato l’impegno che un’istituzione politica locale – insieme a una rete di soggetti privati attivi sul territorio – si assume per promuovere l’autodeterminazione di uomini e donne che tradizionalmente sono considerati più come oggetti di cura che come soggetti attivi nel processo di “costruzione” della propria esistenza.

Si tratta di un progetto piccolo, come l’ha definito l’assessora Rabitti, che per ora coinvolge un numero limitato di persone e di una proposta di legge che dovrà affrontare un lungo iter prima di diventare ufficiale. Tuttavia entrambe le cose sono segni di una trasformazione concreta delle idee comuni sulle persone con disabilità e, di conseguenza, del modo in cui ci si prende cura di loro.

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