Perché un ministero per le disabilità non dovrebbe esistere
Il ministero per le disabilità che, nel nascente governo Draghi, è presieduto dalla leghista Erika Stefani, non è una novità. Fortemente richiesto dal leader della Lega Matteo Salvini, era nato durante il primo governo Conte ed era stato guidato prima da Attilio Fontana e poi da Alessandra Locatelli, entrambi esponenti del Carroccio. Nel Conte II il ministero ha cessato di esistere e la delega in materia di disabilità è rimasta al presidente del consiglio.
Anche in tempi e condizioni normali, le minoranze – e le persone con disabilità lo sono – corrono il rischio di discriminazione ed emarginazione, ma il pericolo si acutizza in presenza di una crisi, quando un sistema fatica a garantire anche il rispetto dei diritti della maggioranza.
La prima ondata della pandemia di covid-19 ha evidenziato ed estremizzato una serie di criticità che hanno avuto conseguenze negative su tutta la cittadinanza, ma che hanno colpito più duramente le persone meno autosufficienti. La strage nelle strutture residenziali per ospiti anziani e con disabilità, la chiusura dei centri diurni per utenti disabili, la delega totale della relazione di assistenza ai caregivers familiari (in prevalenza donne), l’inadeguatezza delle tutele per i lavoratori e le lavoratrici disabili, il fallimento totale della didattica a distanza per gli studenti e le studenti con disabilità. O il grande cavallo di battaglia del primo governo Conte: il reddito di cittadinanza. Nonostante esistesse anche allora un ministero della disabilità e fossero state fatte grandi dichiarazioni di intenti a favore delle persone disabili (che sono tre milioni), pochissime tra loro hanno beneficiato del provvedimento.
Sono solo alcuni dei principali nodi venuti al pettine, acutizzati dalla fase di emergenza sanitaria ma a essa preesistenti.
Serve una presa di responsabilità
Nella fase che stiamo attraversando le priorità da affrontare in questo campo sono molte e interessano diversi ambiti. Fish e Fand, due delle principali organizzazioni per la difesa dei diritti delle persone disabili, riportano qualche esempio. In ambito sanitario mancano indicazioni chiare sulla disponibilità dei vaccini anti covid per quanti sono fisicamente più vulnerabili e per i loro caregivers; sul versante dell’inclusione scolastica numerose sono le carenze: dalla mancanza di insegnanti di sostegno specializzati al problema della continuità didattica per arrivare al nodo critico della carenza di ausili tecnologici e della presenza di barriere architettoniche negli edifici. Il mercato del lavoro è uno dei settori in cui la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità è più evidente (solo il 31,3 per cento risulta occupato). Eppure le “Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità” non sono state ancora correttamente applicate.
Qualche riferimento alla disabilità, relativo soprattutto a obiettivi di potenziamento delle infrastrutture sociali, ristrutturazione di abitazioni da destinare ad anziani non autosufficienti e a persone disabili (con interventi di domotica) compare all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, attualmente in esame al senato. Si tratta di qualche misura “sparsa” ma non di un cambiamento nella presa in carico delle priorità dei cittadini con disabilità che dovrebbe essere globale e trasversale ai vari dicasteri.
Ma un ministero ad hoc per le disabilità – per di più senza portafoglio – non è la strada giusta da percorrere. Le difficoltà che devono gestire le persone disabili e le discriminazioni che subiscono non sono tipiche di una “categoria”, ma riguardano tutti: sia perché a chiunque potrebbe capitare, nel corso della vita, di vivere una condizione di disabilità, anche solo temporanea, sia in quanto ciascuno, invecchiando, sperimenterà una progressiva perdita di abilità. E anche perché, se le discriminazioni vissute dalle persone disabili rispecchiano, estremizzandole, le criticità di un sistema fallimentare anche per i cosiddetti abili, allora promuovere delle politiche realmente efficaci nei confronti dei cittadini con disabilità migliorerà non solo la loro qualità della vita ma anche quella del resto della popolazione.
Quindi, piuttosto che delegare le istanze di una “categoria” di persone a un ministero ad hoc, sarebbe più utile che tutti i ministeri avessero un focus sulla disabilità in modo da generare una responsabilità condivisa.
Tanto più saremo in grado – sia come istituzioni politiche sia come società civile – di considerare le minoranze una risorsa, promuovendo l’esercizio dei loro diritti (e doveri), maggiore sarà la nostra capacità di accogliere e valorizzare le differenze e l’eterogeneità di quanti appartengono alla maggioranza “normale”.