I cento giorni da presidente di Mauricio Macri
Il 18 marzo, quando saranno i suoi primi cento giorni di governo, il presidente argentino Mauricio Macri potrà dire di essere ancora molto popolare anche se la luna di miele con gli elettori è stata piena di turbolenze.
L’ex imprenditore che amministrava le aziende di famiglia (che si occupano di automobili e spedizioni) – diventato famoso per il suo ruolo di fortunato presidente del Boca Juniors, la società polisportiva più nota di tutta l’Argentina – a novembre ha sconfitto il peronismo di sinistra dei Kirchner sulla base di tre promesse: eliminare la povertà, sconfiggere il narcotraffico e unire gli argentini.
L’economista Barry Eichengreen, professore all’università della California, Berkeley, definisce “un big bang” le riforme economiche adottate da Macri e avverte che “è presto per dire se avranno successo”. Anche se Macri gode ancora di un consenso personale del 70 per cento, secondo un sondaggio di Enrique Zuleta Puceiro in cento giorni il gradimento per la sua amministrazione è sceso dal 72 al 52 per cento.
Disinnescare la bomba
L’ultimo governo di Cristina Fernández de Kirchner (dal 2011 al 2015) è stato caratterizzato da uno stallo economico e sociale, in un contesto di generale caduta dei prezzi delle materie prime che tanto avevano favorito il Sudamerica negli ultimi quindici anni.
L’opposizione ha accusato Kirchner di lasciare una “bomba” in eredità al suo successore a causa del crescente disavanzo pubblico, delle continue sopravvalutazioni del peso argentino e della mancanza di accesso ai mercati internazionali del credito. Dal 2002 è infatti in corso un contenzioso con la giustizia statunitense in merito ai cosiddetti fondi avvoltoio. Questi creditori sono specializzati nell’acquisizione di titoli di stato o di aziende in bancarotta e poi rifiutano la ristrutturazione del debito ottenendo enormi guadagni in tribunale.
Il dubbio riguarda la capacità di Macri di disinnescare quella presunta bomba senza lasciare feriti sul campo. Cristina Kirchner ha lasciato un’economia chiusa e Macri intende aprirla, anche se le difficoltà non mancheranno quando arriverà il momento di lasciare il settore produttivo senza protezione.
L’aumento dei prezzi lascia prevedere una recessione e una crescita della disoccupazione
Il big bang di cui parla Eichengreen è cominciato a dicembre a causa dell’eliminazione dei controlli sul capitale, quelli che limitavano l’acquisto di valuta estera per aziende e privati.
La misura ha provocato una forte svalutazione del peso argentino: da allora, il dollaro è aumentato del 52 per cento. L’abolizione del sistema di controllo dei cambi ha inoltre tentato di incoraggiare gli investimenti e ha permesso di esprimere in dollari la produzione di beni e servizi. Il governo di Macri, inoltre, ha ridotto o eliminato, a seconda dei casi, le imposte e i tetti alle esportazioni per i generi alimentari (che costituiscono il 53 per cento del totale dell’export argentino), minerari e per i prodotti manifatturieri.
A febbraio, nell’intento di ridurre il disavanzo pubblico, l’esecutivo ha aumentato fino al 500 per cento la tariffa dell’energia elettrica, che prima a Buenos Aires costava quanto una caramella, un caffè o uno snack. La combinazione di svalutazione, liberalizzazione delle esportazioni e rincaro dell’elettricità ha accelerato l’inflazione (già di per sé elevata) di cui l’Argentina soffriva dal 2007: dal 24 per cento su base annua dello scorso ottobre, a febbraio è arrivata al 33 per cento.
L’aumento dei prezzi lascia prevedere anche una recessione e una crescita della disoccupazione, che durante il kirchnerismo era stata bassa. Nei primi due mesi del 2016 circa 108mila argentini hanno perso il lavoro. In quasi un terzo dei casi si tratta di dipendenti pubblici licenziati dalle autorità locali e federali della coalizione di Macri, Cambiemos, con l’accusa di essere militanti politici prezzolati che non svolgevano alcuna mansione nella pubblica amministrazione, anche se in molti casi è stato dimostrato che non era così. Gli altri due terzi lavoravano nell’edilizia, nel commercio e nell’industria.
L’Argentina si presenta come il nuovo paese di moda tra i mercati emergenti
Il big bang di Macri comprende anche la riduzione delle misure protezioniste e dei controlli sui prezzi, l’aumento dei tassi di interesse e un’intesa sui fondi avvoltoio per porre fine all’amministrazione controllata in vigore dal 2014 e tornare sui mercati internazionali del credito.
Il nuovo governo argentino si è dichiarato a favore della possibilità per il Mercosur (l’unione doganale di cui fanno parte Brasile, Venezuela, Uruguay e Paraguay) di firmare trattati di libero scambio con l’Unione europea e gli Stati Uniti. Il mese scorso Macri ha ricevuto il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi e il presidente francese François Hollande, mentre la prossima settimana accoglierà Barack Obama. Gli investitori ne sono entusiasti, ma per il momento si mostrano cauti quando si tratta di sborsare denaro. L’Argentina si presenta come il nuovo paese di moda tra i mercati emergenti, ma questo interesse coincide con la fuga dei capitali, dovuta al calo dei prezzi delle materie prime, e con l’aumento dei tassi di interesse statunitensi.
Macri scommette di riuscire a risanare l’economia argentina sulla base degli investimenti, e non dei consumi come voleva il kirchnerismo, ma si tratta di una strategia che per maturare richiede più tempo. La politica pretenderà da Macri una ripresa economica più rapida e rilevante per premiare i candidati di Cambiemos nel 2017, quando si voterà per il rinnovo di metà della camera dei deputati e di un terzo del senato. Se la sua coalizione dovesse perdere quelle elezioni, il presidente trascorrerebbe gli ultimi due anni del suo mandato in una posizione sensibilmente indebolita.
Il papa peronista
Nel frattempo, il presidente argentino affronta un’altra sfida: quella di mantenere la promessa di porre fine alla povertà, al narcotraffico e alla divisione interna degli argentini. La povertà, che nel 2015 arrivava al 22 per cento, probabilmente aumenterà, se non altro per ragioni congiunturali, a causa della maggiore inflazione e della minore attività economica del momento.
Il traffico di stupefacenti e la sua infiltrazione nelle strutture dello stato sono diventati evidenti a gennaio, quando sono evasi di prigione tre sicari che accusavano un esponente del governo di Cristina Kirchner di far parte di quel traffico illegale. Alla fine i fuggitivi sono stati catturati, ma è chiaro che ormai la sfida è stata lanciata e Macri ne parlerà con Obama, anche se la cooperazione statunitense alla questione scatenerà una polemica.
Infine, può darsi che la divisione che ha regnato per dodici anni tra argentini favorevoli e contrari al kirchnerismo diminuisca. Il kirchnerismo torna sotto il controllo del peronismo, mentre il governo di Macri si occupa di denunciare casi di corruzione e sprechi all’interno della pubblica amministrazione.
Ma le tensioni tra la popolazione persistono e sono diventate evidenti con la fredda (e sbrigativa) accoglienza che a febbraio papa Francesco ha riservato al presidente del suo paese. Chi conosce Jorge Bergoglio da quando era arcivescovo proprio della Buenos Aires governata da Macri sostiene che il papa è peronista, non kirchnerista, ed è quindi disgustato dalle politiche economiche che, dal suo punto di vista, favoriscono il capitale e danneggiano le persone.
Al papa, probabilmente, non sarà piaciuto nemmeno che a gennaio il governatore di una provincia alleato del presidente abbia arrestato una polemica dirigente kirchnerista accusata di corruzione con la motivazione di aver allestito un accampamento in piazza per manifestare a favore del welfare. Bisognerà vedere, ora che la luna di miele finisce, se Macri continuerà ad avere un certo margine di manovra sociale per proseguire le sue riforme “big bang”.
(Traduzione di Alberto Frigo)