L’inchiesta su Fontana getta un’ombra sul futuro della Lega
Matteo Salvini grida alle “indagini a orologeria” e rispolvera così uno dei leitmotiv più frequentati dalla destra berlusconiana negli ultimi 25 anni. L’occasione gliela forniscono una serie di vicende che lo coinvolgono in maniera sia diretta sia indiretta. Intanto, il 30 luglio c’è stato il voto al senato che ha autorizzato il processo contro di lui sul caso Open Arms. L’ex ministro dell’interno è accusato di sequestro di persona e omissione di atti di ufficio per aver impedito per venti giorni, nell’agosto del 2019, lo sbarco di 107 persone soccorse dalla nave spagnola Open Arms.
E poi c’è l’inchiesta della procura di Milano nella quale risulta indagato per frode in pubbliche forniture il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana. Quest’ultimo episodio dimostra che il vero, grande problema della Lega è tutto politico. Ha a che fare con le difficoltà squisitamente politiche che sta attraversando e, forse, perfino con il tradimento di sé.
La vicenda che vede coinvolto il governatore lombardo è quella della fornitura, successivamente trasformata in donazione, di circa 75mila camici e altri dispositivi sanitari alla regione Lombardia da parte di una azienda che, in piena emergenza coronavirus, avrebbe ottenuto la commessa senza gara pubblica. L’azienda, la Dama spa, è di proprietà del cognato di Fontana e la moglie del governatore ne possiede una quota. Il caso era stato sollevato nel corso di una puntata della trasmissione Report, andata in onda su Rai3 nel giugno scorso, ma continua a riservare sorprese e ad allargarsi quasi ogni giorno che passa, anche dopo il coinvolgimento di Fontana.
In queste ore, a fare notizia non ci sono soltanto le differenze tra la versione fornita dal governatore e quanto ricostruito dai giornali, ma anche la scoperta della disponibilità di un fondo milionario depositato all’estero e oggetto di voluntary disclosure (collaborazione volontaria) nel 2015. Intervenendo in consiglio regionale, e poi con un’intervista a Repubblica, Fontana ha rivendicato la legalità di ogni operazione e ha affermato di voler andare avanti senza pensare alle dimissioni, ma non sembra aver convinto molti.
Una lunga serie di inchieste
Quella che riguarda la fornitura di camici è soltanto l’ultima inchiesta di una lunga serie che in questi anni ha interessato direttamente o indirettamente la Lega: quella di Umberto Bossi e Roberto Maroni prima, e quella di Matteo Salvini ora. Sono piuttosto numerosi i fascicoli aperti dalle procure lombarde sulla gestione dell’emergenza legata alla pandemia.
E non c’è soltanto la sanità. Tra le altre inchieste, c’è ad esempio quella che riguarda l’acquisto di un immobile a Cormano, vicino a Milano, da parte di Lombardia film commission – una fondazione di regione Lombardia e comune di Milano – il cui prezzo sarebbe stato gonfiato. L’operazione avvenne quando alla guida della regione c’era ancora Roberto Maroni. Tra gli indagati compaiono tre persone considerate molto vicine alla Lega.
Ma la storia che probabilmente ha colpito di più l’opinione pubblica è quella relativa alla gestione dei fondi del partito nell’ambito della quale venne chiesta la confisca di 49 milioni di euro di rimborsi elettorali. Questa lunga e complessa vicenda rappresenta certamente il caso giudiziario che più di ogni altro ha segnato la storia del partito, costituendo una sorta di spartiacque tra il prima e il dopo, segnando il passaggio da Bossi a Maroni, e infine a Salvini. Quello che sta accadendo in questi giorni potrebbe avere conseguenze tutto sommato simili.
Il punto politico
Non è tanto il destino di Fontana in discussione. La grande paura è altrove. E non deriva semplicemente da qualche inchiesta giudiziaria. Il punto è anche e soprattutto politico. È stata infatti piuttosto evidente la difficoltà della regione Lombardia nell’affrontare la pandemia. Si tratta di una questione centrale per il mondo che fa riferimento al centrodestra, poiché ciò che è accaduto riguarda un sistema di potere che ha già mostrato in passato i propri limiti, le proprie contraddizioni e i propri lati oscuri – si veda il caso di Roberto Formigoni – e che potrebbe adesso rivelarne di nuovi. E ciò che sta emergendo dalle inchieste sull’accordo tra il policlinico San Matteo e la Diasorin sui test sierologici (l’accusa è quella di essersi accordati per escludere altre aziende) sembrerebbe andare in questa direzione.
Nonostante gli scandali, in questi anni quel sistema di potere – rappresentato da forze politiche diverse in epoche diverse, ma che in fondo rappresenta sempre lo stesso blocco sociale ed economico – non è mai stato messo davvero in discussione, anche per ragioni ideologiche. Ciò che però è accaduto in questi ultimi mesi rischia davvero di incidere nella finora imperturbabile disponibilità dei lombardi nei confronti della classe dirigente che quel sistema ha incarnato negli ultimi decenni. Se così fosse, a rimetterci sul piano politico sarebbe adesso soprattutto la Lega di Salvini. Si spiega anche così la copertura totale che il leader della Lega sta dando a Fontana. Ma non c’è soltanto questo.
Il fatto è che, al di là di ogni considerazione, a Salvini non resta ormai molta scelta se non quella di presidiare anche le ridotte. Da tempo pare girare a vuoto, come testimonia l’ondivaga linea politica seguita durante il lockdown. D’altra parte, dal Papeete in poi gli errori di valutazione sono stati molti e hanno minato la sua immagine di leader vincente e perfino la presa sul suo stesso partito, oltre che la penetrazione nel paese: stando ai sondaggi, in pochi mesi la Lega ha dilapidato circa un terzo della forza elettorale sulla quale poteva contare.
Così, evidentemente in difficoltà e a corto di idee, a Salvini non è rimasto altro da fare se non provare a cavalcare di nuovo certi suoi vecchi cavalli di battaglia, a partire dalla questione immigrazione. Il problema è che alla Lega inizia davvero a mancare ogni spazio di manovra. Ciò accade in prima battuta perché certi argomenti della propaganda salviniana non scaldano più i cuori come accadeva prima, neppure a destra: si pensi, ad esempio, alla polemica antieuropeista, ora che tutti o quasi dall’Europa si aspettano i fondi per affrontare la crisi economica dopo la pandemia.
Ma, soprattutto, lo spazio inizia a mancare perché il terreno politico sul quale Salvini si è mosso finora senza troppi problemi è stato abilmente occupato da Giorgia Meloni. Non solo: la leader di Fratelli d’Italia (FdI) ormai lo tallona da vicino, e non è troppo lontana dal provare a portargli via la guida della destra. Decisive saranno le prossime settimane e il voto amministrativo d’autunno. A frenare la rincorsa di Meloni non c’è tanto l’azione della Lega ma, anche in questo caso, alcune questioni interne. A FdI manca una vera classe dirigente e quella che c’è finisce per essere spesso fonte di imbarazzi.
Sembrano insomma davvero lontani i tempi di “Roma ladrona”, quando la giovane Lega, in piena Tangentopoli, ruggiva contro tutti e sventolava minacciosamente un cappio nell’aula di Montecitorio. Oggi, un quarto di secolo dopo, il partito che fu di Bossi si ritrova accerchiato sul piano politico e alle prese con sospetti infamanti sul piano giudiziario. Il caso Fontana – anche per il drammatico contesto nel quale quella vicenda è maturata – potrebbe fare da detonatore, facendo emergere quella che, se esplodesse, potrebbe diventare una questione morale. Se è così, allora la propaganda leghista potrebbe cominciare a farsi sempre più cattiva, senza guardare più in faccia nessuno, alleati inclusi.
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