“Ora l’obiettivo è rendere ancora più solida questa maggioranza”, ha detto Giuseppe Conte appena incassata la fiducia in senato, e dopo averla già ottenuta alla camera. Ma è una fiducia fragile, strappata a palazzo Madama grazie al soccorso di un paio di senatori di Forza Italia e all’astensione di Italia viva (Iv), il partito di Matteo Renzi. Alla fine il conto dei voti si ferma a 156. Ne mancano cinque per arrivare alla maggioranza assoluta. Così, il Conte II è da ieri un governo di minoranza.
Il presidente del consiglio ha insomma portato a casa l’obiettivo minimo. Il governo, almeno per ora, si è garantito la sopravvivenza politica ma, data l’esiguità dei numeri di cui dispone, si tratta di una sopravvivenza che si dovrà conquistare giorno per giorno, nelle aule così come nelle commissioni parlamentari. Non sarà facile. Servirà un rafforzamento che chiamerà in causa in modo strutturale una pattuglia di volenterosi, costruttori, disponibili, responsabili o comunque li si voglia chiamare. E non sono da escludere cambiamenti ancora più radicali, sui quali da giorni fioriscono ipotesi e retroscena. Insomma, in questa crisi mai formalmente sancita, e che la doppia fiducia del parlamento non riesce a chiudere, tutto o quasi appare ancora possibile. E la sensazione è che quanto visto finora sia soltanto il riscaldamento di una partita che sta per cominciare.
Si è detto che a portare la responsabilità di questa situazione sia soprattutto Matteo Renzi. E in effetti è stato l’ex premier, ritirando la delegazione di Italia viva dall’esecutivo, con una decisione politicamente incomprensibile a giudizio quasi unanime, a innescare una crisi al buio, in piena pandemia. Tuttavia, è sembrata piuttosto preoccupante – ma tutt’altro che sorprendente – anche la confusione nella quale sono precipitati palazzo Chigi, il Partito democratico e il Movimento 5 stelle. Dietro a quel caos ci sono ragioni diverse, e molte sono in qualche modo riconducibili a un’oramai strutturale mancanza di pensiero politico. Del resto, che una bussola politica sia mancata un po’ a tutti, ce lo racconta in prima battuta la stessa cronaca di questi ultimi giorni.
Avvitamento
Com’è noto, la situazione è precipitata quando il malessere che covava da mesi tra le forze di maggioranza, si è ridotto a uno scontro personale tra Conte e Renzi. Quello scontro si è poi consumato in un’escalation di minacce e ultimatum che sono apparsi contraddittori e non del tutto irrevocabili persino nel momento estremo delle dimissioni dei ministri di Italia viva. Renzi, infatti, mentre si ritirava dal governo, non escludeva obliquamente la possibilità di proseguire un rapporto con gli ex alleati. Neanche Conte veniva escluso, nonostante la sua azione politica fosse stata paragonata poco prima addirittura a una ferita alla democrazia. Nel frattempo, il presidente del consiglio seguiva a sua volta una linea di continuo riposizionamento, senza logica politica apparente se non quella di attrarre a sé nuovi voti parlamentari necessari per compensare quelli di Iv in uscita. E in questo avvitamento è arrivato senza troppi imbarazzi ad annunciare in aula la disponibilità di posti di governo e sottogoverno, quasi come si fosse ai saldi.
Si è andati avanti così per giorni, attraversando un dibattito parlamentare pieno di annunci e smentite, fatti solo per misurare ogni centimetro percorso da avversari e alleati, per poi ricollocarsi di conseguenza. Tutto sempre e comunque in chiave esclusivamente tattica. La politica, le idee – sempre che si sia ancora abbastanza lucidi da distinguere tra un’idea di società e scelte che appartengono più semplicemente alla sfera dell’amministrazione – sono rimaste del tutto assenti dalla scena. E forse non a caso.
Quella in corso, infatti, è stata una crisi che ha avuto molto più a che fare con il potere che con la politica. E, d’altra parte, lo stesso si può dire a proposito di molte delle frizioni interne alla maggioranza, almeno a partire da giugno 2020, quando vennero annunciati gli Stati generali. All’epoca, ad allarmarsi fu soprattutto il Pd. Parve quello l’annuncio di un cambio di paesaggio politico da parte di un presidente del consiglio che, non avendo una propria forza politica, cominciava a costruirla partendo dalle burocrazie. Il rischio, per gli altri, era di vedere ridimensionato il proprio peso negli equilibri interni alla maggioranza.
Politica e potere
Dopo, certi malumori sono riemersi in altre occasioni, rafforzando l’idea di un Conte uomo di potere, più che uomo della politica. Non a caso, molte delle critiche espresse nei suoi confronti da Renzi, e non solo da lui, hanno avuto come tema chi prende le decisioni, prima ancora dei contenuti di quelle stesse decisioni. Si pensi alla polemica sulla struttura burocratico-manageriale che avrebbe dovuto gestire i miliardi del piano europeo per la ripresa (il cosiddetto recovery plan), a quella sul ruolo del commissario straordinario per la pandemia Domenico Arcuri o a quelle ricorrenti sul ricorso ai decreti del presidente del consiglio.
In questo contesto si è radicato infine uno scontro personale più che politico tra Conte e Renzi. Ma la crisi alla quale stiamo assistendo, e la rottura in quella che ormai è un’ex maggioranza, rappresentano l’esito di uno scontro che ha avuto come terreno d’elezione l’assetto del potere più che un progetto politico. A raccontarcelo ci sono anche i continui cambi di linea di queste settimane, la radicalizzazione sulla tattica, la mancanza di imbarazzo nel manifestare la propria incoerenza. Del resto, se come via di uscita dalla crisi si è arrivati anche solo a ipotizzare una sorta di compromesso storico tra Grillo e Mastella, allora siamo davvero molto lontani da ogni possibile richiamo anche alla forma più deteriore di realpolitik.
Non c’è da stupirsi. Tutto ciò non è altro che l’esito di un processo di depoliticizzazione cominciato un quarto di secolo fa con la scomparsa dei partiti popolari. Il loro posto fu preso da organizzazioni carismatiche nelle quali alla condivisione delle idee – spazzate via con il novecento e mai rimpiazzate davvero – si è sostituita l’immedesimazione con il leader e che, per questo, hanno finito per costruire la propria identità politica e culturale contro un nemico e non su nuove idee, e quindi su un nuovo pensiero politico.
Ed è proprio questo – l’assenza di un pensiero politico che non si identifichi con la gestione del potere purché sia – il problema che ha di fronte a sé un’intera classe dirigente che in queste lunghe giornate ha proclamato ancora una volta il proprio fallimento politico come lo proclamò alla caduta del primo governo Conte, lasciando da solo un intero paese di fronte a una pandemia e a una gravissima crisi economica e sociale.
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