La polemica intorno all’accoglienza dei profughi divampata nelle regioni del nord Italia conferma la spaccatura politica del paese, già sancita dall’ultima tornata delle elezioni regionali e comunali.
Il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha scritto ai prefetti di non inviare altri profughi nella regione da lui amministrata. Non solo: dopo aver ribadito che “non c’è più posto” ha minacciato i sindaci che non obbediranno di privarli dei fondi regionali.
Il fronte antiaccoglienza si è subito allargato alla Liguria e al Veneto e – per rincarare la dose – il segretario della Lega Matteo Salvini ha annunciato di voler occupare quelle prefetture che si atterranno alle indicazioni del governo centrale e non a quelle dei “propri” governatori.
Ovviamente, nessuna legge dello stato contempla che sia un presidente di regione a decidere della politiche migratorie e, per di più, a intimare a sindaci e prefetti cosa fare o non fare, minacciando pesanti ritorsioni se non si adegueranno alle sue decisioni. In più, che a comportarsi come una sorta di federale dell’Italia che fu sia un ex ministro dell’interno è il sintomo di una distorsione profonda del rapporto stato-regioni.
Sembra che la Lega stia proseguendo sotto altre forme la campagna elettorale appena conclusa, presidiando innanzitutto i “territori” in cui ha avuto un ampio successo e interpretando il potere locale come un potere assoluto, slegato dal contesto nazionale circostante.
Che tutto questo emerga di fronte alla gestione della complicatissima emergenza profughi non è un caso. In questi giorni assistiamo a due forme di divaricazione nord-sud. Una su scala continentale, l’altra su scala nazionale.
A livello continentale, gli stati nordeuropei hanno deciso di rinviare a data da destinarsi ogni seria discussione sulla ripartizione delle quote dei profughi che sbarcano sulle coste dell’Europa meridionale, in particolare Grecia e Italia. In Italia, i governatori delle regioni del nord vorrebbero invece scaricare su quelle meridionali (Sicilia e Puglia, in particolare) tutto il peso dell’accoglienza. In sostanza, in alternativa all’affondamento dei barconi, la Lega vorrebbe che i profughi (sistematicamente chiamati “clandestini”) restino nelle regioni in cui vengono lasciati dalle navi militari.
Con questa doppia frattura sarà praticamente impossibile gestire organicamente gli arrivi dei prossimi mesi, fronteggiare la crisi siriana e quelle dei paesi del Corno d’Africa che, dati del ministero alla mano, costituiscono le principali aree da cui partono i richiedenti asilo.
Vista da sud, la Lega non costituisce un’offerta politica alternativa alla crisi del berlusconismo, e per tanto – allo stato attuale – è difficile che possa accreditarsi come il partito nazionale che guidi il centrodestra alle future politiche
Quanto all’Italia e alla sortita dei governatori leghisti, è possibile aggiungere però un ulteriore lettura politica di quello che sta succedendo.
Alle recenti elezioni regionali, la Lega ha ottenuto un ampio successo in Veneto e Liguria (esattamente quelle regioni che accanto alla Lombardia guidano il fronte anti quote) e buoni risultati in Toscana e Umbria. Tuttavia, benché Salvini mirasse a fare della Lega un partito nazionale e abbia candidato le liste Noi con Salvini in molte città del sud, i risultati sono stati deludenti. In Puglia hanno ottenuto il 2,3 per cento, in molti comuni siciliani e calabresi tra l’1 e il 3 per cento, mentre in Campania alla fine non si sono proprio candidati.
Vista da sud, la Lega non costituisce un’offerta politica alternativa alla crisi del berlusconismo, e per tanto – allo stato attuale – è difficile che possa accreditarsi come il partito nazionale che guidi il centrodestra alle future politiche. Per questo la sortita dei governatori leghisti ha innanzitutto la funzione di rinsaldare la collocazione settentrionale del partito, a patto di delineare l’immagine di un paese politicamente diviso.
Ancora più diviso perché la crisi del “partito della nazione” renziano si è fatta evidente proprio in quelle regioni del nord che hanno lanciato la secessione dalle politiche dell’accoglienza. Sulla pelle dei profughi, la Lega ha lanciato la sua strategia di logoramento del governo. Il piano è evidente: partire dalle proprie roccaforti che, interpretate come un blocco omogeneo, si vorrebbe rendere politicamente autonome proprio su quelle materie che attengono al governo nazionale.
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