Pagine intere di giornale sono dedicate alle accuse di corruzione contro alcuni leader israeliani. I siti internet sono pieni di critiche dei commentatori, di indiscrezioni degli uffici di polizia e di previsioni sull’identità del prossimo primo ministro, ora che Ehud Olmert ha annunciato le sue dimissioni.
Quando l’ultima accusa contro Olmert (una sospetta richiesta di rimborsi multipli di biglietti aerei per voli all’estero) è uscita sui giornali, mi trovavo con un gruppo di amici e conoscenti palestinesi. Alcuni fanno parte di quella che io chiamo “la nomenklatura”: ex militanti della lotta di liberazione diventati esponenti della viziata élite dell’Autorità Palestinese.
Incontro molto raramente questi conoscenti in circostanze che esulano dal lavoro: di solito quando H., un loro vecchio amico, torna per una visita dal suo esilio volontario in una città europea. Profugo, 65 anni, pieno di umorismo e di autoironia, H. è stato a lungo un membro dell’Olp, ma si è tenuto lontano dalla cultura della nomenklatura. Alcuni di loro, però, sono rimasti suoi amici.
Quel giorno H. era furioso: “Proprio non capisco gli israeliani: le accuse di corruzione nei confronti di Olmert sono così risibili che non vedo cosa ci sia da agitarsi tanto. Non si fanno scrupolo di uccidere i nostri bambini, di prendere la nostra terra, di rinchiuderci come animali, e poi fanno un mucchio di storie per qualche misero migliaio di dollari”. Le persone presenti sostenevano che le accuse contro Olmert dipendono in realtà dalle voci di presunti passi avanti nei “colloqui di pace”.
H. ha continuato: “Prendete i nostri leader: quando rubano, lo fanno per centinaia di migliaia di dollari”. Sono riuscita a intromettermi: “Perché sei così sorpreso? I vostri leader possono rubare solo ai palestinesi. Non hanno un altro popolo occupato a cui possono rubare la terra, l’acqua e la manodopera a basso costo. Quindi devono fare le cose in grande”. A quel punto abbiamo assaggiato i succulenti fichi che erano sul tavolo.
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