Lo spazioso appartamento sulla Fifth avenue si è trasformato il 13 dicembre in uno studio cinematografico. Mio cugino Jasha Levi, 89 anni, aveva di fronte una videocamera, due proiettori e un’intervistatrice con un elenco di domande.
Altri due ebrei dell’ex Jugoslavia aspettavano il loro turno. “Tu sei il più vecchio”, ho detto a Jasha più tardi. Lui ha risposto di sì, con il tono di chi si sente il più vecchio del mondo. Per un’ora e mezza gli hanno chiesto della sua prigionia in Italia.
Sembrava divertirsi, e del resto aveva apprezzato anche la prigionia. Ha avuto solo parole d’affetto per il popolo italiano. Lui e i suoi genitori, con altri settanta ebrei, si trovavano nel 1941 a Spalato, occupata dagli italiani. Furono spediti in un campo per prigionieri di guerra ad Asolo, ed è stata la loro salvezza. Mai maltrattati, mai vittime di abusi, la prigionia fu una specie di vacanza in mezzo a persone generose che non avevano niente contro gli ebrei.
Elizabeth Bettina, statunitense di origini italiane, ha scoperto che il paese dei suoi nonni, Campagna, ha protetto gli ebrei durante la guerra. Ha scritto un libro sulla vicenda, It happened in Italy, e poi ha saputo che anche mio cugino aveva scritto un libro, Last exile, che racconta la stessa storia da un’altra angolazione. Adesso sta girando un film.
A giudicare dalle domande, ho l’impressione che il vero scopo del film sia aumentare il prestigio della comunità italoamericana, in un paese in cui la memoria dell’Olocausto è ormai una religione di stato.
*Traduzione di Nazzareno Mataldi.
Internazionale, numero 877, 17 dicembre 2010*
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