Venerdì sera, mentre tornava a casa a Gaza, Mahmoud Abu Rahma è stato accoltellato da alcuni uomini mascherati. Ricoverato in ospedale, è tornato a casa con dodici punti di sutura. Il 3 gennaio aveva già subìto un attacco nell’edificio dove abita, ma era riuscito a scappare. Il motivo è chiaro: pochi giorni prima aveva scritto un articolo in cui criticava il governo di Hamas e i gruppi armati di Gaza, accusandoli di non proteggere i cittadini.

Martedì sono andata a trovarlo. Lo conosco da quando viveva nel campo profughi di Rafah. Da otto anni Abu Rahma lavora per l’associazione umanitaria Al Mezan. Durante l’operazione Piombo fuso parlavamo quasi ogni giorno: tra mille pericoli lui e i suoi colleghi raccoglievano informazioni sugli attacchi israeliani. Eppure oggi viene chiamato traditore.

“Alcuni cittadini di Gaza e della Cisgiordania sono stati danneggiati dal governo e dai gruppi armati”, ha scritto Abu Rahma. “A Beit Lahia c’è un campo di addestramento pericoloso per i civili. Nel settembre del 2011 un’esplosione all’interno del campo ha causato il ferimento di una ragazza che si trovava in una scuola lì vicino. Le esplosioni e i colpi accidentali di arma da fuoco hanno provocato spesso la morte di civili. Inoltre, la vicinanza delle case al campo espone la popolazione agli attacchi israeliani”.

Le notizie su questi avvenimenti sono poche, perché gli abitanti preferiscono tacere. E dopo l’aggressione ad Abu Rahma, si capisce anche il perché.

*Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 932, 20 gennaio 2012*

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