I miei amici di Jenin, in Cisgiordania, si aspettavano grandi cose dal mio articolo, pubblicato su Ha’aretz, sugli arresti compiuti dall’Autorità Nazionale Palestinese nel campo profughi. E anch’io, se devo essere sincera. Non ci aspettavamo una scarcerazione collettiva, ma speravamo almeno di provocare un dibattito. Se fosse stato tradotto in arabo, l’articolo avrebbe potuto far conoscere gli aspetti illegali dell’operazione e la sua ingiustizia di fondo. Speravamo che le autorità avrebbero almeno permesso alle famiglie di visitare i detenuti.

Ma siamo stati delusi su tutti i fronti. Una settimana di lavoro intenso e decine di telefonate hanno prodotto un silenzio totale. I siti internet filopalestinesi, che di solito riprendono tutti i miei articoli, hanno ignorato quello su Jenin, e lo stesso hanno fatto i quotidiani palestinesi. Ho provato un amaro senso di fallimento. Non è stata la prima volta e sicuramente non sarà l’ultima. Avrei potuto scriverlo diversamente per attirare l’attenzione? Me lo chiedo sempre quando i miei articoli vengono accolti con indifferenza. Ma forse è stata solo una settimana sfortunata, ricca di eventi. Ci sono state le proteste degli israeliani contro le ingiustizie sociali, con la repressione della polizia. Poi le tensioni tra Israele e la Striscia di Gaza. Infine lo sgombero di alcune colonie illegali. Se aggiungiamo anche gli sviluppi in Egitto e in Siria, ecco che i problemi del campo profughi improvvisamente non interessano più a nessuno.

*Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 955, 29 giugno 2012*

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