“Venticinque bambini sono diventati orfani in un istante”. La frase – una sintesi efficace dell’attentato del 18 novembre contro una sinagoga di Gerusalemme – è stata pronunciata da uno dei fedeli il giorno dopo l’attacco, quando le macchie di sangue erano state cancellate dai pavimenti e dalle scale dell’edificio. I padri uccisi sono quattro ebrei ortodossi stranieri (tre statunitensi e un britannico). Un altro uomo, un poliziotto druso, è morto il giorno dopo a causa delle ferite.
Dopo il loro arrivo in Israele, i quattro ebrei uccisi si erano stabiliti in una strada di Har Nof, un quartiere nato nel posto dove prima sorgeva il villaggio palestinese di Deir Yassin. I due attentatori, i cugini Ghassan e Uday Abu Jamal, vivevano invece a Jabal Mukkaber, un quartiere di Gerusalemme Est che ha perso gran parte dei suoi terreni per l’espansione degli insediamenti ebraici. Come tutti i palestinesi, Ghassan e Uday Abu Jamal sapevano che a Gaza ci sono strade dove i bambini rimasti orfani sono ben più di venticinque. E, come tutti i palestinesi di Gerusalemme, vivono in libertà vigilata nella loro stessa città. Gli immigrati ebrei hanno molti più diritti di loro.
La maggior parte dei palestinesi di Gerusalemme non intraprende questo cammino sanguinario, ed è contraria agli attentati. Ma condivide la rabbia e la disperazione che ha portato i due cugini ad assassinare degli ebrei disarmati che stavano pregando in una sinagoga.
Traduzione di Andrea Sparacino
Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2014 a pagina 29 di Internazionale, con il titolo “Venticinque orfani”. Compra questo numero | Abbonati
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