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Perché dobbiamo occuparci del turismo in Italia

Il canal Grande a Venezia, il 6 settembre 2015. (John Greim, LightRocket/Getty Images)

Imbarazzante. A voler essere gentili, la situazione della promozione del turismo in Italia può essere definita così. A voler essere realistici: disperante. Ora le cose dovrebbero cambiare: “Giornata di svolta per il turismo italiano, titola speranzosa l’Ansa a proposito del nuovo consiglio di amministrazione dell’Agenzia nazionale del turismo, Enit. C’è da augurarsi che molto cambi in fretta, anche se, come diceva la mia nonna, “presto e bene, raro avviene”.

Ecco qualche fatto, giusto per inquadrare il problema. Con un miliardo e 133 milioni di viaggiatori, siamo negli anni della maggiore espansione turistica mondiale di tutti i tempi: nel 2014 il turismo è cresciuto del 4,3 per cento sul 2013. La tendenza, dicono tutti gli indicatori, continuerà.

Per l’Italia, il turismo oggi vale il 10,1 per cento del pil e il 12 per cento dei posti di lavoro. Nella classifica dei dieci paesi più visitati del mondo oggi siamo quinti dopo la Francia, gli Stati Uniti, la Spagna e la Cina, e prima della Turchia. Sembra che ci sia da esserne contenti, ma non è proprio così.

Un calo costante dagli anni cinquanta

Il turismo oggi in Italia cresce, ma meno che in altri paesi. E, se altri crescono molto e noi meno, vuol dire che restiamo indietro. Negli anni cinquanta quasi un turista su cinque veniva da noi ed eravamo il paese più visitato del mondo. Oggi, da noi arriva un turista su 23.

Ecco come TTG Italia descrive il decremento: “Dal 19 per cento del 1950 scendiamo al 15,9 per cento del 1960, poi al 7,7 per cento del 1970 (quando eravamo ancora i primi al mondo, davanti a Canada, Francia, Spagna e Stati Uniti). Poi ancora giù, dopo una breve risalita nel 1980, fino al 6,1 per cento del 1990 (rimasto invariato fino al 2000) per calare al 4,6 per cento del 2010 e infine al 4,4 per cento del 2013”. In 43 anni non abbiamo fatto altro che calare con le percentuali.

Negli anni cinquanta la Spagna non appariva neanche nel gruppo delle destinazioni più frequentate. Oggi è la prima meta turistica in Europa e la terza nel mondo. Ci dev’essere qualcosa che gli spagnoli hanno capito e, soprattutto fatto, e noi no.

La classifica delle mete turistiche è stilata dall’Organizzazione mondiale del turismo (United Nations World tourism organization). Leggere il documento di sintesi intitolato Tourism hightights 2015 permette di scoprire qualche altro dato interessante: per esempio, che nel 1950 i turisti internazionali erano 25 milioni, e che nel 2014 sono stati 1.133 milioni. Che il turismo dovrebbe continuare a crescere costantemente di un 3,3 per cento medio all’anno fino a dove si spingono le previsioni (il 2030).

La Cina, da sola, genera il 13 per cento dei guadagni mondiali per il turismo

Oltre a crescere sempre, il turismo è uno dei settori economici che crescono di più. E le classifiche da considerare sono in realtà due: la prima riguarda la quantità dei turisti arrivati, la seconda (ed è questa che ci interessa davvero) riguarda i soldi che quei turisti spendono nel paese.

In quest’altra classifica, la Spagna è seconda nel mondo dopo gli Stati Uniti, e noi scendiamo al sesto posto. Per inciso: nel 2014 i turisti internazionali in Spagna sono aumentati di uno spettacolare 7 per cento. Da noi, del 2 per cento. Un ultimo dato notevole: i turisti cinesi sono quelli che spendono di più, e la loro spesa cresce in maniera esponenziale (+27 per cento nel 2014 sul 2013). La Cina, da sola, genera il 13 per cento dei guadagni mondiali per il turismo.

Sul turismo e su come promuoverlo si sono tenuti centinaia di convegni e scritte migliaia di pagine, molte assai sofisticate e complesse. Ma io qui vorrei fare un ragionamento davvero semplice: il fatto che sia semplice non vuol dire che non funzioni.

Quattro variabili

Come sa ogni universitario del primo anno, per riuscire a vendere un prodotto si può agire su quattro variabili: la sua qualità intrinseca, il suo prezzo, la qualità del posto in cui viene venduto, la promozione. Sono le quattro p (prodotto, prezzo, posto, promozione) del marketing classico, un modello interpretativo di fine anni sessanta tuttora ignoto, temo, ad alcuni degli protagonisti nazionali del settore turistico.

Dunque: certi paesi attirano carriolate di turisti facendo prezzi stracciati. Ma nell’indice di competitività sui prezzi, che mette a confronto l’offerta turistica di 144 paesi, troviamo il Messico al 55° posto, la Spagna al 105° e l’Italia al 133° posto (questo, e i dati che vi darò di seguito, vengono dal Travel and tourism competitiveness report 2015 del World economic forum).

Il nostro costo del lavoro è piuttosto alto, e pensare di far concorrenza ai messicani e perfino agli spagnoli facendo la guerra dei prezzi non è realistico. Inoltre, il modello del turismo di massa a basso costo non è esattamente compatibile con il nostro territorio.

Nell’immagine in alto, Punta Cancún in Messico nel 1970. In basso, nel 2008.

Bene: esclusa la guerra dei prezzi, ci restano tre leve. Cominciamo da posto, inteso sia come luogo dove si conosce e si compra il prodotto-viaggio (oggi, sempre più spesso, è la rete. E qui sono guai, ma ci torneremo in seguito) sia come luogo da raggiungere per “consumare” il prodotto-viaggio.

Nella classifica, la Spagna è undicesima per sistema stradale, e quinta per sistema ferroviario. L’Italia è 57ª e 28ª. Se consideriamo il complesso dei trasporti di terra, la Spagna è quinta e l’Italia 91ª.

Se questo dato vi sembra esagerato, provate ad arrivare a Perugia, a Matera o a Trieste in un tempo ragionevole, per non parlare dei borghi più piccoli. Per infrastrutture aeroportuali la Spagna è al 12° posto, l’Italia al 26°. Non male, ma comunque ci facciamo superare, per esempio, anche da Francia, Germania, Turchia, Svezia, Finlandia… e 27ª, subito dopo di noi, c’è la Grecia.

Ci restano due leve per eccellere, giustificando sia l’onerosità del prezzo, sia il (relativo) disagio del posto. La prima è il prodotto in sé: il nostro vario, meraviglioso, sorprendente paese. Mari, montagna, laghi! Monumenti e opere d’arte! Cento città e mille borghi meravigliosi! Cibo e vino! Moda e design! La maggior concentrazione mondiale di siti Patrimonio dell’umanità (51).

Questo è il mantra che ripetiamo da sempre.

Ma ci ricordiamo qual è il tempo medio di permanenza di un turista straniero in Italia? Ce lo dice Confcommercio: meno di quattro giorni. La permanenza media dei turisti cinesi è un giorno e mezzo.

Nel turismo la qualità è fatta di dettagli e del sommarsi di milioni di singole esperienze

Ai turisti non interessa che possiamo offrirgli, in teoria, di tutto e di più. Gli interessa, in pratica, di poter fare bene quel poco che hanno sognato e programmato di fare, in quei quattro giorni o in quel giorno e mezzo: arrivare in una stazione decentemente pulita o in un aeroporto che consegna i bagagli in un tempo ragionevole.

E poi trovare un taxi, magari con un tassista che capisca quello che gli stanno domandando. Andare a visitare un monumento o un museo e non restare con un palmo di naso perché è chiuso per qualche motivo incomprensibile (mettetevi nei panni di un cinese, di un americano o di un neozelandese).

Bersi un caffè in una piazza e non pagarlo 20 euro. Camminare per strade non luride, o lungo sentieri e spiagge ben tenuti. Dormire in un albergo il cui servizio corrisponda al livello dichiarato. Qualche volta, in certi luoghi, sappiamo offrire tutto questo e molto di più. Altre volte, in altri luoghi, non ce la facciamo proprio.

Tra l’altro (sempre Confcommercio): se riuscissimo ad aumentare di un singolo giorno la permanenza media degli stranieri (in Spagna è già cinque giorni) avremmo un incremento di entrate annuali di 6,9 miliardi di euro: mica male.

Nel turismo, la qualità è fatta di dettagli e del sommarsi di milioni di singole esperienze. La permanenza media si può aumentare anche rendendo ciascuna singola esperienza, se non perfetta, almeno positiva.

Integrando il turismo culturale (mediamente più breve) con quello marino o montano, o aiutandolo a espandersi verso i borghi. Sviluppando, con il buonsenso e la lungimiranza necessaria, il sud. E sì, magari anche spazzando le strade. Per arrivarci ci vogliono consapevolezza, determinazione, tempo.

Ed eccoci arrivati all’ultima p: promozione. Se per migliorare posto e prodotto i tempi sono lunghi, anche per la molteplicità degli attori coinvolti e per l’onerosità degli investimenti richiesti, su promozione si potrebbe agire in tempi più rapidi, e si potrebbe essere davvero impeccabili. È un ambito in cui, tutto sommato, primeggiare può (o, almeno, dovrebbe) costare relativamente poco. Ma, in quell’ambito, come siamo messi?

Un organismo strategico

Malissimo. Per efficacia del marketing turistico, siamo al 123° posto, e per priorità attribuita dal governo al turismo siamo all’87°. La Spagna è, rispettivamente, al 27° e al decimo posto.

In queste due classifiche ai primissimi posti ci sono paesi o molto ricchi come gli Emirati Arabi Uniti e Singapore, o molto dipendenti dal turismo (le Seychelles, Cipro, Malta). Per questo la prestazione spagnola appare ancora più notevole.

E rieccoci alla premessa, e al perché l’Enit, di cui non si parla così di frequente, è davvero strategico: è il principale organismo che può agire sulla quarta p e lavorare, anche se indirettamente, sulle altre due.

La condizione di partenza non è buona. E, in una situazione in cui il 50 per cento delle informazioni turistiche vengono trovate in rete, a causa della condizione non buona oggi ci troviamo perfino privi di un sito ufficiale del turismo italiano efficiente, completo di informazioni sui luoghi di interesse, aggiornato.

Una prima cosa sensata da fare sarebbe imparare dagli errori. Proveremo a riuscirci insieme nella seconda tappa di questo viaggio (siamo in tema, no?) tra orrori e meraviglie del turismo nel paese più bello del mondo.

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