Com’è andato il primo confronto delle primarie del Partito democratico a Milano
Alle sei e mezza il Dal Verme è già strapieno e fuori c’è ancora una lunga fila arrotolata attorno al teatro, nonostante sia forse la prima serata davvero fredda della stagione.
L’età media apparente della platea è sopra i cinquant’anni, esclusi i molti giovani volontari in maglietta rossa con la scritta votaMi. Quella che è venuta qui è gente per cui far politica vuole ancora dire esserci di persona: c’è da augurarsi che gli juniores del Partito democratico siano a casa a guardarsi almeno la diretta in streaming.
Su ciascuna delle 1.400 poltroncine è appoggiato un opuscolo assai colorato con i profili dei candidati, gli indirizzi dei loro siti e alcune informazioni utili: quando si vota (il 6 e il 7 febbraio), chi può votare (tutti i milanesi dai 16 anni in su, residenti stranieri inclusi), dove e come si vota. Ben fatto.
Alle sette e cinque arriva il sindaco Giuliano Pisapia e parte un applauso che non finisce più. Dopo qualche minuto si comincia. Ci informano cortesemente che il piatto preferito di Francesca Balzani è la pizza. Che Beppe Sala è interista. Che a Pierfrancesco Majorino piace Patty Smith e che l’aforisma preferito di Antonio Iannetta appartiene a Napoleone.
Vabbè. Clic clic clic, foto di gruppo.
I candidati stanno in piedi dietro leggii trasparenti. A turno e secondo sorteggio devono rispondere alle domande poste da tre giornalisti (Il Giorno, Corriere della Sera, la Repubblica) e hanno tre minuti a testa per farlo. Possibile una sola controreplica di un minuto.
È quasi un confronto all’americana (negli Stati Uniti di norma i tempi sono ancora più stretti, ed è sempre possibile replicare). A seguire c’è una domanda posta a ogni candidato da un esponente del comitato elettorale di un altro candidato. Infine, ciascuno ha un minuto per fare un appello al voto.
Si discute di tasse locali, periferie, sicurezza, case popolari, lavoro per i giovani, progetti e sogni per la città. Tutti riescono a stare agevolmente nei tempi e parlano in modo chiaro, cosa per niente scontata. La domanda più insidiosa: che cosa vi differenzia e che cosa vi accomuna? Balzani, che parla per ultima, trae vantaggio dalle risposte un po’ ondivaghe degli altri.
Un tocco di colore e la capacità di sparigliare
Ma questo è solo un primo confronto: sia le risposte sui temi ricorrenti sia i programmi saranno gradualmente affinati grazie agli incontri con i cittadini, e un programma definitivo, stilato dal candidato sindaco definitivo, ci sarà solo poco prima delle elezioni di giugno.
Per questo la mia attenzione si rivolge soprattutto al modo in cui comunicano i candidati. Eccovi qualche impressione, in ordine rigorosamente alfabetico.
Francesca Balzani è precisa, netta, specifica, concreta: entra nel merito e snocciola dati con grande sicurezza. Gestisce la voce (toni e livelli emotivi, ritmo) in maniera eccellente e davvero convincente. Usa bene le metafore. Parla in modo molto strutturato e riesce a dire più cose nel tempo dato. Conclude con un ecumenico appello ad andare a votare.
Un suggerimento frivolo a Balzani, talmente minuta che in bianco e nero si perde nello spazio ampio di un palcoscenico: lasciando invariato il suo codice d’abbigliamento, che va benissimo, potrebbe mettersi addosso un tocco di colore.
Antonio Iannetta ha buon gioco a fare l’outsider modernista e parla di sport, di startup e imprenditorialità. È spiritoso e si guadagna diversi applausi di simpatia. Fa un po’ fatica a strutturare gli interventi, si ingarbuglia negli esempi rischiando di tirare in lungo e lo sguardo gli scappa da tutte le parti. Di sé dice, coerentemente con la sua posizione, “noi siamo l’alternativa”.
Un suggerimento empatico a Iannetta, il cui ruolo è per certi versi il più difficile, per altri il più facile: potrebbe tirar fuori la sua anima matematica e mettere un po’ d’ordine formale in quel che dice. Una volta che ci è riuscito, può divertirsi a sparigliare.
Pierfrancesco Majorino fa leva sui grandi princìpi e le scelte di fondo. Parla di riscatto sociale delle persone e di rivoluzione ambientale. Invita a non fare ragionamenti ragionieristici ma politici. È energico e sa riproporre in modo credibile e contemporaneo le storiche parole d’ordine della sinistra. “Voi siete i soggetti del cambiamento”, dice alla platea. Si guadagna l’applauso più importante della serata citando I care di Don Milani (vabbè, l’ha fatto anche Veltroni) come antidoto al fascista “me ne frego”.
Un suggerimento in puro anglomarkettese a Majorino: dovrebbe riuscire ad allargare il target puntando sulla reputation e senza annacquare i core values. Forse non è una mission impossible.
Beppe Sala è l’unico a menzionare esempi ed esperienze internazionali e si gioca bene il sogno della riapertura dei navigli. Cita (forse troppo) spesso l’esperienza Expo e si scalda quando si arriva a parlare del bilancio della manifestazione. Risponde alle domande in chiave personale. Sembra il più affaticato: del resto, come lui stesso ricorda, è l’unico a essere stato pesantemente messo sotto attacco dai mezzi d’informazione di destra.
Un suggerimento semplice semplice a Sala: restare focalizzato, qualsiasi cosa succeda.
Alle otto e mezza è tutto finito, ma le persone si attardano a commentare davanti al teatro. “Be’, dai, sono stati tutti bravi”, sento dire qua e là con un certo sollievo. Prima che fosse eletto Giuliano Pisapia, Milano si è beccata un’infilata di sindaci di destra (Formentini, Albertini, Moratti) tra il 1993 e il 2011, e tutti se lo ricordano assai bene.