Che succede ai libri se svaniscono i lettori
L’Associazione italiana editori (Aie) ha presentato gli ultimi dati sull’andamento del mercato dei libri. È successo, come ogni anno, a Venezia, alla Scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri.
“Persi più di un milione di lettori”, titola l’Huffington Post. Il mercato dei libri cresce, scrivono Il Post e il Sole24Ore. “Le vendite online spingono la carta”, titola il Corriere della Sera. “Il libro salvato dagli anziani (e dai ragazzini)”, titola l’Espresso, “Lettura al -3,1 nel 2016”, titola l’Ansa. “Siamo sommersi di libri che nessuno legge”, titola Linkiesta.
La cosa curiosa è che tutte queste affermazioni sono veritiere, anche se sembrano dire cose opposte. Per venirne a capo devo mettere in fila qualche numero.
E poi devo porre una serie di domande a Gianni Peresson, responsabile dell’ufficio studi di Aie. E infine vorrei capire se c’è qualcosa di sensato e utile che potrebbe valer la pena di fare. Queste sono le parti più interessanti, ma senza i numeri non ci si arriva.
Dunque, cominciamo da quelli.
Il valore del mercato dei libri in Italia ha subìto un calo fortissimo tra il 2011 e il 2014, cresce del 2,3 per cento tra il 2015 e il 2016, e cresce anche se le copie vendute sono in calo: 86,4 milioni nel 2016 (dati Nielsen). Il motivo dell’apparente miracolo è presto spiegato: aumentano (un poco) i prezzi di copertina, e diminuiscono gli ebook venduti a prezzi stracciati.
Il valore del mercato resta però molto al di sotto della quota raggiunta nel 2010: si recuperano solo 20 milioni su più di 240 persi in soli cinque anni. Questo dato, però, non include le vendite (stimate in 120 milioni) di Amazon, che nel 2010 non c’era e nel 2016 c’è, eccome. Comprendendo Amazon, i risultati migliorano e la perdita si riduce in modo più consistente.
Il nostro mercato dei libri cresce in valore comunque meno di altri. Per esempio, gli Stati Uniti arrivano nel 2016 al più 3,3 per cento e la Russia conquista un più 8 per cento, dovuto però a un forte aumento dei prezzi.
Investimenti e progettualità
Il numero complessivo dei lettori italiani cala del 3,18 per cento tra il 2010 e il 2016 (e infatti la presentazione dell’Aie, da cui sto prendendo dati e tabelle, è intitolataIl lettore svanito). Questo è forse il dato più rilevante.
I mercati sono fatti di domanda e offerta, e se diminuisce la domanda c’è un problema. Una soluzione di breve periodo è diminuire i prezzi. Un’altra è aggiornare o ampliare l’offerta, una terza è renderla più visibile e desiderabile.
La prima soluzione riduce i ricavi, le altre due chiedono investimenti e una progettualità a lungo termine.
Dal 2010 a oggi sono calati molto, purtroppo, i “lettori forti”: le persone che leggono almeno un libro al mese. Corrispondono al 13-14 per cento del totale dei lettori ma comprano il 30 per cento circa delle copie vendute. Per potersi definire “lettori”, invece, basta dichiarare di leggere almeno un libro all’anno, su carta o su schermo.
A motivare il calo concorrono diverse cause: oggi le persone hanno meno soldi e più alternative per l’intrattenimento, tra video, social media e altre seduzioni (spesso gratuite) della rete.
In altre parole: oggi le persone possono investire il loro tempo libero, che è una risorsa limitata, in una gamma di offerte molto più ampia e accessibile che nel recente passato. I lettori, e anche quelli che non sono propriamente svaniti, hanno di sicuro a disposizione più distrazioni.
Cresce, rispetto al 2010, la lettura tra chi ha più di 45 anni (più 4,9 per cento) e tra chi ha più di sessant’anni ( più 9,6 per cento rispetto al 2010). È un dato confortante ma non sorprendente: i baby boomers sono invecchiati, sono più scolarizzati delle generazioni precedenti, magari non tutti sono così a loro agio in rete e quindi leggono di più.
Una tendenza preoccupante
Anche bambini e ragazzi fino ai 17 anni continuano a leggere più della media nazionale: sono lettori per il 47,3 per cento, contro il 39,5 per cento di lettori sul totale della popolazione. Ma nel 2010 la differenza era ancora maggiore: 11 punti, e i ragazzi lettori erano quasi il 60 per cento del totale. Non appena l’età cresce, la propensione a leggere cala, e di tanto (meno 25,4 per cento nei lettori tra i 20 e i 44 anni rispetto al 2010).
Dunque: oggi bambini e ragazzi leggono meno che nel 2010. In numero assai maggiore, crescendo, smettono di leggere. E non è per niente detto che, invecchiando, riprenderanno. In una logica di lungo periodo, questa è una tendenza preoccupante.
Il dato più sconfortante, e non nuovo, è che meno del 40 per cento degli italiani legge almeno un libro all’anno. Lo ripeto: sei italiani su dieci non hanno aperto un libro, mai, nel corso dell’intero 2016. E non è solo questione di analfabetismo funzionale: un laureato su quattro non ha letto neanche un libro lo scorso anno.
Due ultimi dati notevoli. Se le persone che leggono solo ebook restano una piccola minoranza (il 3 per cento), crescono le persone che integrano libri ed ebook, letti anche sul telefonino: dal 28 per cento del 2015 al 37 per cento del 2016. E infine: mentre nel 1990 in Italia c’erano 2.540 editori attivi con 13.203 titoli pubblicati, nel 2016 ci sono 4.608 editori attivi con 62.250 titoli pubblicati.
In sostanza: sembrerebbe che sempre più editori pubblichino sempre più libri (ed ebook) per sempre meno persone che leggono.
Ma è proprio così? Chiedo lumi a Gianni Peresson. Trascrivo qui sotto quel che mi dice.
In realtà, il numero di titoli per abitante pubblicati oggi in Italia è allineato con quello delle altre editorie mondiali: nessun editore cresce riducendo i titoli a catalogo, e i piccoli editori devono pubblicare di più per costruirselo, il catalogo.
Il guaio è che lo fanno comprando molto (e spesso a caso) all’estero. Oggi i costi di pubblicazione sono molto contenuti e costa meno pubblicare un libro che fare una ricerca per metterne a fuoco le potenzialità e prendere una decisione a ragion veduta.
Un’altra pratica poco virtuosa è competere per imitazione invece che per diversificazione dell’offerta. Se hanno successo i dinosauri o la cucina vegana, le librerie sono invase da cloni, invece che da titoli che potrebbero ampliare le alternative a disposizione dei lettori.
Un buon esempio di diversificazione, invece, è offerto dalle guide turistiche, che oggi si differenziano per segmenti di pubblico e per stili di viaggio. Ed ecco nascere le guide per chi ama l’avventura, o per chi viaggia in camper, o per chi va in giro con il proprio cane.
La grande battaglia per la lettura in Italia è stata persa tra gli anni ottanta e i novanta, quando si è rinunciato a contrastare l’espansione televisiva
È vero che i lettori forti calano: ne abbiamo persi 700mila tra il 2010 e il 2016. Ma, per quanto riguarda il totale dei lettori, può esserci una distorsione del dato: può infatti darsi che alcuni rispondano di non aver mai letto “libri” non considerando tali le guide turistiche, le graphic novel, i manuali o i libri di cucina.
Nel 2006 si è smesso di fare una domanda specifica per stanare i lettori inconsapevoli, che forse per questo sono usciti dalle statistiche (ho la sensazione, però, che anche recuperare alla visibilità statistica una manciata di lettori occasionali non cambierebbe la sostanza delle cose).
La situazione comunque – continua Peresson – suscita un moderato pessimismo. La grande battaglia per la lettura in Italia è stata persa tra gli anni ottanta e i novanta, quando si è rinunciato a contrastare l’espansione televisiva creando un sistema di pubblica lettura in molte regioni.
Iniziative e festival dedicati ai libri vanno benissimo, ma nell’Italia dei mille campanili se non ci sono biblioteche e librerie sotto casa c’è poco da fare. E non tutti sanno ordinare su Amazon.
Le biblioteche trascurate
La spesa media annua per i libri delle biblioteche scolastiche – dice Peresson – è un irrisorio 50 centesimi per studente (questo mi fa pensare che si spenda molto di più per la carta igienica, e non è un bel pensiero). Tuttavia la situazione è variegata, e in Italia oggi ci sono biblioteche, e anche biblioteche scolastiche, di assoluta eccellenza.
Librerie, biblioteche e biblioteche scolastiche sono un’infrastruttura culturale tanto trascurata quanto indispensabile per preservare la propensione alla lettura (che, aggiungo, è fragile e va coltivata. Leggere è sì gratificante, ma anche faticoso. Meno le persone sono allenate a leggere, meno sono propense a farlo). Non a caso, è proprio nei comuni più piccoli e meno serviti che si perdono più lettori tra il 2010 e il 2015 (qui la presentazione completa su biblioteche e librerie).
Paradossalmente, internet potrebbe aver rallentato il processo di disaffezione alla lettura, offrendo sia la possibilità di comprare libri online a chi abita nei posti più remoti (o, aggiungo, a chi come la sottoscritta ordina libri a mezzanotte), sia la possibilità di leggere: in effetti, grazie alla rete, non si è mai letto e scritto tanto come negli ultimi vent’anni.
Immaginare un piano di sviluppo
Che cosa si può realisticamente fare, oggi, in Italia, per promuovere i libri e la lettura?
In realtà – è ancora Peresson a dirlo – per interrompere l’emorragia dei lettori, per conservare l’attitudine alla lettura (e, aggiungo, un altro bel po’ di competenze cognitive di pregio) e per aiutare l’editoria italiana a sopravvivere, cosa che non guasta, bisognerebbe in primo luogo varare un piano quinquennale per lo sviluppo del sistema delle biblioteche pubbliche, integrato con il sistema delle biblioteche scolastiche.
Ma c’è poca speranza che lo si faccia: le ricadute sarebbero sì importanti, ma si vedrebbero nei tempi lunghi. E le prospettive dei decisori politici e amministrativi sono spesso a breve e a brevissimo termine.
Purtroppo, a oggi in Italia non abbiamo nemmeno studi diretti sulla correlazione diretta tra presenza di biblioteche e librerie e accrescimento della propensione alla lettura: sia gli editori, sia il Centro per il libro e la lettura (Cepell) non hanno i soldi per farle.
Ma alcuni dati indiretti dicono che i risultati potrebbero essere interessanti. Ed è intuitivo il fatto che chi entra in biblioteca o in libreria vive un’esperienza immersiva: arriva con un’idea, ma scopre sempre anche qualche altra possibilità (e, aggiungo, si sente parte di una comunità).
La seconda cosa da fare, per l’editoria italiana, sarebbe allargare le sue prospettive internazionali. Certo, abbiamo un mercato che coincide con la nostra area linguistica. Ma molti italiani (editori compresi) pensano solo all’Italia e alla Svizzera italiana, trascurando il fatto che l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo. Le stime più caute dicono che i parlanti italiano sono (almeno) 120 milioni.
Ma internazionalizzarsi significa anche vendere più diritti all’estero, fare coedizioni (in questo sono bravi gli editori per bambini e ragazzi) guardare con attenzione al mondo del cinema e della tv o dei videogiochi e trovare modalità di scrittura “esportabili” in altri media (in questo sono bravi ancora troppo pochi autori. Peresson cita Carrisi, Lucarelli, Camilleri).
La terza, e la più importante cosa che gli editori italiani dovrebbero fare è cominciare a ragionare in modo strategico. Vuol dire confrontarsi con i dati e fare progetti di lungo periodo, utili a prendere sensate ed efficaci decisioni editoriali e di comunicazione. Solo qualcuno ci riesce.
Sarebbe anche importante che gli editori raccontassero quel che fanno di nuovo. Per capire, per esempio, com’è cambiata l’offerta editoriale per la scuola superiore e l’università basta dare un’occhiata a Pandoracampus, una piattaforma didattica per studiare, paragonare i contenuti dei libri di testo, verificare i propri livelli di comprensione e le curve di apprendimento.
Ma è cambiata intrinsecamente anche l’offerta di editoria professionale. Oggi chi compre un libro acquista anche un diritto all’aggiornamento online: in sostanza, non si vendono più libri, ma contenuti d’informazione e servizi.
Restano però ampie aree di miglioramento. Per esempio, i tascabili potrebbero allargare il mercato, ma oggi sono solo il 4 per cento dei libri pubblicati. Eppure (lo diceva già Oreste Del Buono) li comprano anche i lettori forti.
Anche per quanto riguarda la comunicazione esistono aree di miglioramento. Per esempio, nessun editore – con l’eccezione dei romanzi rosa di Harmony – ha mai affidato la promozione di una collana a professionisti in modo continuativo e progettuale. Il difetto di fondo dell’editoria italiana – conclude Peresson – è essere nata come editoria di cultura e non essere orientata al marketing.
Fare chiarezza
Ora vorrei sciogliere un equivoco.
E perdonatemi se vi sembro accorata: in effetti, lo sono.
Fare marketing editoriale non significa “vendere i libri come se fossero saponette”, ma trovare modi efficaci per far incontrare buoni libri e lettori interessati, e per incoraggiare la lettura trasformando lettori deboli o potenziali in lettori effettivi.
Soprattutto, credo, fare marketing sul serio vuol dire promuovere, prima ancora che i libri, la lettura (qualsiasi tipo di lettura) restituendole accessibilità, desiderabilità e valore.
Questo può essere fatto sia rafforzando le infrastrutture culturali di cui parla Peresson, sia rendendo molto più visibili le buone pratiche, che ci sono, ed esplicitandone i costi, i risultati e i punti qualificanti, in modo che siano più facilmente confrontabili e replicabili.
E poi andrebbe messa a sistema la molteplicità delle iniziative e dei referenti (ehm… vogliamo ricordare che avremo due “saloni” del libro praticamente coincidenti, a distanza di poco più di cento chilometri in linea d’aria, e che nemmeno si considerano a vicenda?).
Si può promuovere la lettura anche facendo buona comunicazione mirata a raggiungere obiettivi specifici. Per esempio: incoraggiare i genitori a leggere ai bimbi più piccoli. Per esempio, diffondere la lettura collettiva ad alta voce. O la lettura in classe. E perfino sdoganare fantasy, fantascienza, fumetti: le forme di lettura più accessibili. O gli appuntamenti in biblioteca e in libreria.
All’incontro veneziano dell’Aie ho portato e mostrato una rassegna di esempi internazionali virtuosi: video bellissimi, emozionanti, capaci di trasmettere valori e passione. Li ho messi subito online e vi invito a guardarli, ma solo dopo aver guardato i tre modesti, sussiegosi, fuorvianti e sgangherati esempi italiani che ho linkato nel medesimo articolo.
Poi, tirate voi le conclusioni.
Tra l’altro: la scarsità di risorse economiche a disposizione non è un alibi. Il video spagnolo intitolato Book, compreso nella rassegna, è intelligente, divertente e acuto. Per questo si è guadagnato più di tre milioni di visualizzazioni in rete. Ha un costo di produzione irrisorio, e la diffusione in rete non ha costi.
Per parlare di libri e lettura in modo attraente e contemporaneo i soldi possono servire, ma più ancora servono idee attraenti e contemporanee.
Infine: promuovere libri e lettura con energia e determinazione (e, magari, un po’ di humor) tornerebbe utile, oltre che all’affannata industria editoriale italiana, all’intero paese.
I cittadini lettori possono essere anche migliori cittadini: più aperti al mondo. Più capaci di riconoscere le proprie emozioni e quelle altrui (sì, è dimostrato che leggere accresce l’empatia). Più consapevoli. Anche questo non sarebbe un risultato trascurabile, e varrebbe la pena di pensarci.
Ah, già: ma a chi importa dei risultati di lungo periodo?