Decisioni non lineari
Lo psicologo Paul Watzlawick riprende la storia del castello di Hochosterwitz, in forme leggermente diverse, in due dei suoi libri: Change – Sulla formazione e la soluzione dei problemi e Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico.
Watzlawick non è uno qualsiasi. È, con Gregory Bateson, un esponente importante della scuola di Palo Alto (Mental research institute), ed è coautore di Pragmatica della comunicazione umana, da molti (be’, anche dalla sottoscritta) ritenuto una pietra miliare degli studi sulla comunicazione.
Devo aggiungere che l’originale, rivoluzionario approccio sistemico della scuola di Palo Alto ha poi gemmato, nei decenni successivi, una quantità di interpretazioni e applicazioni non tutte all’altezza. Ma forse è proprio questo il destino delle teorie davvero fertili: produrre frutti numerosi e anche qualche erbaccia.
L’assedio e lo sberleffo
Ma eccovi la storia. Siamo nel 1334 e Margareta, contessa del Tirolo, soprannominata Maultasch, cioè “bocca larga” (un’elegante perifrasi dell’epoca per dare della prostituta a una signora) per aver ripudiato il marito, vuole impadronirsi del castello di Hochosterwitz, in Carinzia. Ma non può prenderlo d’assalto.
Hochosterwitz, ben fortificato e collocato in cima a una rupe, è inespugnabile: l’unica possibilità è cingerlo d’assedio, contando sul fatto che i difensori si arrenderanno per fame.
Ma è una scelta logorante per tutti. Quando le provviste del castello finiscono e alla guarnigione restano un solo bue e due sacchi di orzo, anche l’esercito assediante se la sta passando male: le truppe sono stanche, scoraggiate e insubordinate. Senza contare che le esigenze strategiche di Margareta imporrebbero di spostarle altrove.
È a questo punto che il comandante del castello dà l’ordine disperato di far macellare il bue rimasto, di riempirgli la pancia con l’orzo e di buttare la carcassa giù dalla rupe, in campo nemico.
Si tratta di uno sberleffo tanto inatteso quanto potente: gli assedianti immaginano che il castello abbia ancora tante vettovaglie da potersi permettere di bombardarli di cibo, si perdono d’animo e rinunciano a proseguire l’assedio.
La logica interna del sistema
Anche se esistono alcuni riscontri, la maggior parte delle fonti considera questa storia una leggenda popolare. Ma non è questo il punto: Watzlawick, che è nato in Carinzia e che probabilmente l’ha ascoltata già da bambino, ne fa un esempio memorabile di come decisioni controintuitive possano ottenere, in termini di cambiamento, effetti maggiori di decisioni in apparenza più plausibili perché prese seguendo una logica lineare.
In estrema sintesi, Watzlawick teorizza che il complesso delle relazioni e delle interazioni tra entità diverse (esseri umani, ma anche organizzazioni: nel caso di Hochosterwitz stiamo parlando di una guarnigione assediata e di un esercito assediante) costituisca un sistema dotato di una propria logica interna, che si esprime attraverso schemi di comportamento ripetuti.
Ogni ripetizione di uno schema di comportamento non fa che perpetuare il sistema. E, se il sistema è insoddisfacente o dannoso per una o più entità, non fa che accrescere l’insoddisfazione e il danno.
Una decisione controintuitiva non è l’equivalente di una decisione illogica
D’altra parte, spesso sia i sistemi sia gli schemi di comportamento sono complessi (pensate, per esempio, all’insieme di cause e di attori coinvolti nell’assedio di Hochosterwitz), e sembra impossibile che una singola, semplice decisione possa far fronte alla complessità.
Eppure, una decisione controintuitiva può cambiare le cose proprio nella misura in cui mette in crisi la logica stessa che regge il sistema e, con questo, spalanca una prospettiva nuova. Watzlawick, che si occupa di terapia, usa brillantemente le proprie intuizioni per modificare dinamiche interpersonali e familiari dannose.
Ma mi auguro proprio che l’esempio di Hochosterwitz vi resti in mente, perché decisioni controintuitive possono risultare efficaci anche se parliamo di comunicazione e interazione in ambito economico, sociale, politico. E nella vita di tutti i giorni. C’è un solo punto a cui fare attenzione: decisione controintuitiva non è l’equivalente di decisione illogica. Se la guarnigione si fosse messa a danzare sugli spalti del castello, l’effetto non sarebbe stato lo stesso.
In dialogo con se stessi
Per esempio: è controintuitivo attuare una raccolta-fondi facendo prima un piccolo regalo ai potenziali sottoscrittori, eppure è dimostrato che la strategia funziona (si passa dalla logica del donare a quella del ricambiare un dono).
È controintuitivo pubblicizzare prodotti per la cura del corpo mostrando comuni ragazzotte invece che modelle di sfolgorante bellezza, eppure la linea Dove ha costruito su questa scelta un successo ampio e durevole (si passa dalla logica del dover apparire come non si è, a quella del poter essere come si è. E non è poco).
È controintuitivo che un imprenditore si mostri dubbioso della propria impresa davanti ai suoi potenziali investitori, eppure questo comportamento può sembrare più affidabile e serio di uno eccessivamente entusiasta (si passa dalla logica dell’imbonimento a quella della competenza e della consapevolezza dei rischi).
È controintuitivo negoziare con un compito impegnativo e faticoso come scrivere un lungo testo proponendosi di smettere dopo poche righe, eppure si tratta di una strategia efficace proprio per affrontare lunghi testi evitando di procrastinare l’inizio del lavoro (si passa dalla logica “devo scalare una montagna” a quella “un piccolo sforzo e poi mi concedo di fare altro”. E, in questo caso, il dialogo è con se stessi).
Ed è controintuitivo il fatto che, se vogliamo che qualcuno si innamori perdutamente di noi, dobbiamo tenerci un po’ alla larga. Lo è fino a quando non ci ricordiamo che il desiderio si fonda sulla mancanza di qualcosa di prezioso, che non si ha (ancora). E fino a quando una nonna o una zia saggia non ci ripete il vecchio adagio che recita “in amor vince chi fugge”.