Quattro tipi di felicità
Sappiamo tutti qual è il popolo più felice della terra – le Nazioni Unite ce lo comunicano tutti gli anni. Negli ultimi sette anni la Finlandia si è sempre classificata al primo posto nel gruppo delle nazioni nordiche, che si posizionano sempre tutte ai primi posti per grado di felicità della popolazione. E, visto che sono riusciti a “crackare il codice della felicità”, come ha scritto recentemente il mio collega Joe Pinsker, molti di noi appartenenti ad altre popolazioni hanno la tentazione di ricopiare le abitudini dei nordici. Vivi come un finlandese – facendo brevi passeggiate nella foresta, o delle nuotate nel ghiaccio – e andrà tutto per il meglio, giusto?
Non proprio. Per confrontare i diversi pareri espressi dalle persone rispetto alla propria felicità, il World happiness report e gli altri indici internazionali che misurano il grado di soddisfazione personale devono prendere per buona l’idea che nelle diverse aree del mondo la felicità sia definita più o meno allo stesso modo e che di conseguenza le risposte ai test siano paragonabili e misurabili. Se quest’idea non regge, allora si deduce che gli indici di felicità sono affidabili all’incirca tanto quanto le classifiche musicali basate sulla dichiarazione degli abitanti dei vari stati rispetto al loro amore per le canzoni nazionali. Vale a dire, queste classifiche possono essere indicative dell’entusiasmo per gli stili musicali nazionali, ma ci dicono ben poco rispetto a quanto un tipo di musica sia “oggettivamente” migliore degli altri, viste le varie differenze di gusto e di tradizioni esistenti tra le persone e le popolazioni.
A un primo sguardo, si possono ravvisare dei punti in comune nelle dichiarazioni di felicità rilasciate dalle persone di tutto il mondo. Uno studio del 2016 che ha coinvolto 2.799 adulti rivelava che, nei dodici paesi presi in esame, la definizione di felicità da un punto di vista psicologico come “stato, sentimento o attitudine interiore” era preponderante rispetto alle altre. In particolare, le persone dichiaravano che per loro essere felici significava raggiungere “l’armonia interiore”.
Un concetto difficile da afferrare
L’armonia interiore potrebbe sembrare un concetto universale, ma può avere significati molto diversi a seconda del luogo. Per esempio due anni fa, mentre mi trovavo in Danimarca per girare un documentario sulla ricerca della felicità, ho potuto scoprire che i danesi spesso descrivono l’armonia interiore come hygge, che corrisponde a quella sensazione di atmosfera calda e accogliente, unita a una piacevole convivialità.
Allo stesso tempo, ho scoperto che gli statunitensi tendono a definire l’armonia interiore come il soddisfacimento delle loro passioni grazie alle proprie abilità, di solito nell’ambito lavorativo.
Va da sé, quindi, che le definizioni psicologiche non riescono ad afferrare precisamente il concetto di felicità. E da qui in poi le differenze tra i vari stati aumentano sempre più. La stessa ricerca del 2016, per esempio, ha dimostrato che il 49 per cento degli statunitensi nel definire la felicità mette al centro esplicitamente le relazioni familiari, mentre gli abitanti dell’Europa meridionale e del Sudamerica di solito tendono a concepirla come uno stato individuale: solo il 22 per cento dei portoghesi, il 18 per cento dei messicani e il 10 per cento degli argentini ha fatto menzione delle famiglie nel definire il proprio concetto di felicità.
Perfino le parole che usiamo per parlare di felicità hanno connotazioni diverse a seconda delle diverse lingue
Due esperti giapponesi, in un articolo del 2012 sull’International Journal of Wellbeing, hanno messo in luce un’importante differenza culturale tra la definizione di felicità nella cultura asiatica e la definizione che ne dà la cultura occidentale. In occidente, secondo quanto rilevato dagli studiosi, una felicità risulta definibile come “uno stato di euforia simile all’eccitazione e, insieme, un senso di realizzazione personale”. Allo stesso tempo in Asia “la felicità consiste nel provare uno stato di forte calma”.
In paesi molto grandi può essere molto complesso anche confrontare in maniera accurata i dati delle diverse aree. Per esempio, vi sono grandi differenze tra la definizione del concetto di felicità di un’abitante del nord dell’India e di uno del sud. Le ricerche condotte negli Stati Uniti dimostrano che ci sono delle notevoli differenze caratteriali tra la popolazione delle varie regioni. Per esempio, chi vive nelle aree medio-atlantiche e nel nordest ha la tendenza a mostrare una maggior ansia da attaccamento nei rapporti – “Quando mi chiami?”– mentre negli stati occidentali si tende più a mostrare un’inclinazione a evitare l’attaccamento personale – “Ci vediamo quando ci vediamo”.
Differenze rilevanti
Perfino le parole che usiamo per parlare di felicità hanno connotazioni diverse a seconda delle diverse lingue. In quelle germaniche il termine felicità ha la sua radice in parole legate alla fortuna o a una sorte benevola; il termine happiness viene da hap, parola del middle-English (lingua inglese media) che significa fortuna. D’altra parte, per quanto riguarda le lingue neolatine, la radice è da rintracciare nel latino felicitas, che nell’antica Roma non era da ricollegarsi semplicemente alla buona sorte, ma anche alla crescita, alla fertilità e alla prosperità.
Possiamo quindi concludere che le differenze tra le culture nella definizione di felicità sono piuttosto rilevanti, che risulta impossibile affermare in termini assoluti che un paese sia più felice di un altro e che quindi una classifica unitaria dei paesi più felici nel mondo abbia poco senso.
La felicità può essere definita e misurata in molti modi diversi. Forse, secondo una certa definizione, la Finlandia è veramente il paese più felice; certamente però non lo sarà se osservata secondo un altro punto di vista. Bisognerebbe classificare la felicità all’interno dei vari paesi anziché metterli a confronto.
Quattro modelli
Un metodo piuttosto pratico di affrontare questo tipo di lavoro è fare una distinzione tra due modi in cui si può osservare la felicità. Il primo modo considera l’espressione interiore o esteriore della felicità – il che significa confrontare l’introspezione e la relazione con gli altri. Il secondo metodo si concentra sulle relazioni interpersonali o sugli obiettivi, cioè se si è orientati verso il prossimo o verso gli obiettivi pratici. Otteniamo così quattro principali modelli di benessere, basati su ricerche fatte in tutto il mondo attraverso dei sondaggi.
- La felicità viene dall’avere delle ottime relazioni con le persone a cui teniamo. È una combinazione di focus esteriore e relazionale; in questo caso le amicizie e la famiglia sono le principali fonti di felicità. Gli Stati Uniti un buon esempio di paese che corrisponde a questo modello.
- La felicità deriva da un alto grado di consapevolezza. Questo modello si basa sulla combinazione del focus interiore e di quello basato sulle relazioni interpersonali ed è il modello che corrisponde alle persone con un’indole fortemente spirituale, filosofica o religiosa, soprattutto a chi dà un’alta importanza alla vita di comunità. L’India del sud risulta la terra di appartenenza di molte persone che seguono questo modello.
- La felicità consiste nel fare ciò che si ama, spesso insieme agli altri. Questa linea di pensiero nasce dalla combinazione di una tendenza a basarsi sul dato esteriore e sugli obiettivi – vale a dire, dedicarsi al lavoro o ad attività di svago molto gratificanti. Questo è il modello di vita delle persone inclini ad affermare: “Il mio lavoro è la mia vita” oppure “Adoro giocare a golf o con gli amici”. Si possono trovare molte persone che si riconoscono in questo modello nei paesi nordici e del centro Europa.
- La felicità deriva semplicemente dallo stare bene. In questo modello si assiste invece a una combinazione di focus interiore e di obiettivi. È il modello delle persone che danno la priorità assoluta alle esperienze da cui possono ricavare sensazioni positive, che siano esperienze fatte in solitaria o insieme ad altre persone. È un buon modo di verificare il proprio grado di benessere se, quando ci si immagina felici, si pensa a quando si guarda Netflix o si sorseggia del vino. Questo è il modello più diffuso nel Sudamerica, nell’area mediterranea e in Sud Africa.
Ovviamente, questa classificazione non è esaustiva e molte saranno le persone e i paesi che non potranno rientrare in maniera netta in una di queste categorie; ogni concezione di felicità, infatti, potrebbe essere derivata da un mix di questi modelli. Va comunque detto che queste definizioni ci danno un punto di partenza per capire la grande varietà dei concetti di benessere che si può trovare nel mondo – e anche quelli che ognuno di noi ha in testa e nel cuore.
Così come in luoghi diversi si possono trovare diverse definizioni di felicità, altrettanto succede per le persone. Arrivare a comprendere questa diversità può aiutarci a capire noi stessi – per esempio capire se siamo la pecora nera della famiglia, quella che non trova un suo posto, e comprenderne il perché e cosa fare al riguardo, se sia necessario muoversi e cambiare posto, unirsi a una nuova comunità, o semplicemente trovare il modo di andare d’accordo con la realtà che circostante.
Mentre scrivo le ultime righe di questo articolo mi trovo a Barcellona per trascorrere l’estate. Da ormai trent’anni infesto questa città come un fantasma, per settimane e mesi. Barcellona non è al primo posto in nessun indice delle città dove si vive meglio o più felici (la stessa Spagna, nell’ultimo report delle Nazioni Unite, risulta ventisettesima). E allora perché la amo così tanto?
Barcellona, capitale della Catalogna, è una città ibrida: totalmente spagnola per l’estrema importanza data allo svago e alle amicizie, decisamente più nordeuropea per quanto riguarda le abitudini lavorative – e tra queste sue due anime, ben poco spazio è lasciato al sonno, il che è un po’ un problema. È una città imprenditoriale, dove si lavora sodo, ma dove c’è spazio per il divertimento e la cordialità. È anche il posto in cui mi sono sposato molti anni fa, e dove risiede la maggior parte delle persone che amo. Perciò, rappresenta il mio personale concetto ibrido di felicità: un luogo in cui immergermi con tutto me stesso e godere appieno del mio lavoro di ricerca e insegnamento e allo stesso tempo dove posso vivere a fondo le relazioni con le persone importanti della mia vita. Barcellona per me è il posto più felice del mondo.
Anche voi avete una vostra Barcellona da qualche parte: andate e trovatela.
(Traduzione di Mariachiara Benini)
Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.