Non rinunciate all’amore
Shu-sin è stato re dei Sumeri intorno al duemila avanti Cristo. Il nome di sua moglie si è perso nelle pieghe della storia, ma le sue parole sono arrivate fino a noi. Incise su una tavoletta in scrittura cuneiforme, compongono un’ode al loro amore e contengono questi versi:
Il tuo spirito, so dove rallegrarlo,
Sposo, dormi nella nostra casa fino all’alba,
Il tuo cuore so dove allietarlo,
Leone, dormi nella nostra casa fino all’alba.
Ancora oggi, secondo i sociologi, questo genere di legame romantico è uno dei più affidabili indicatori della felicità. Per esempio l’analisi del General social survey rileva che circa il 27 per cento degli statunitensi sposati si dichiara “molto felice” della propria vita, mentre soltanto l’11 per cento degli intervistati che non sono mai stati sposati, divorziati, separati o vedovi hanno risposto nello stesso modo (naturalmente il matrimonio non è l’unica manifestazione dell’amore, ma è una delle più studiate). E le ricerche pubblicate dal Journal of research in personality indicano che il matrimonio contribuisce a mantenere la felicità nell’età adulta.
Questi studi possono spiegare il documentato declino della felicità degli statunitensi, evidente soprattutto tra i giovani adulti. In sintesi, gli Stati Uniti stanno attraversando un cambiamento da una società basata sulle coppie a una basata sui single. Secondo il Census bureau negli Stati Uniti la percentuale di adulti sposati è precipitata dal 70 per cento del 1960 a circa il 50 per cento attuale. Il Pew research center ha riscontrato che circa quattro adulti su dieci di età compresa tra 24 e 54 anni non sono sposati e non convivono con un partner. Nel 1990 la percentuale era del 29 per cento.
Possiamo credere che la soluzione a questo deficit di felicità – per il paese e per gli individui – sia semplicemente quella di incoraggiare le persone a trovare l’anima gemella? Non è detto. Un’analisi più approfondita delle singole tendenze suggerisce che il problema non sia tanto la mancanza di partner disponibili, quanto il fatto che i giovani adulti spesso evitino i legami sentimentali. Questa è la sfida che dobbiamo affrontare oggi.
L’attaccamento insicuro
Di solito gli psicologi misurano la positività del legame di attaccamento attraverso due elementi: l’ansia e l’evitamento, ovvero la tendenza a evitare un rapporto intimo. Più un punteggio è basso in queste categorie e migliore è la condizione di un individuo. Un legame sano, infatti, non è né ansioso né evitante. Da questa interpretazione deriva l’espressione “attaccamento sicuro”. Un legame insicuro può coinvolgere un individuo ansioso ma non evitante, uno evitante ma non ansioso, oppure uno sia evitante sia ansioso. I termini che gli psicologi utilizzano per descrivere queste tre categorie sono rispettivamente timoroso, preoccupato ed evitante.
Sfortunatamente l’attaccamento insicuro sta diventando sempre più diffuso. Secondo uno studio del 2020 pubblicato dalla rivista Emerging adulthood, negli ultimi due decenni i gruppi di studenti universitari presi in esame nel corso degli anni hanno evidenziato una probabilità sempre maggiore di adottare uno dei diversi “stili” di rapporti insicuri, dal 61 per cento del 2002-2006 al 71 per cento del 2016-2019. Un particolare tipo di comportamento insicuro – l’evitamento – è associato con una forte tendenza a restare single. Questo conferma che il problema di fondo riguarda l’aumento dell’evitamento.
Gli studiosi hanno trovato conferme di questo fenomeno anche attraverso rilevazioni indirette. Per esempio, nel 2022, alcuni ricercatori hanno chiesto a 469 adulti la cui età media era di 34 anni di indicare la loro canzone preferita. Successivamente hanno analizzato i testi dei brani, scoprendo che gli individui con i punteggi più alti nell’evitamento preferivano canzoni che esprimevano la loro inclinazione alla solitudine. Un esempio citato è il capolavoro “evitante” di Tina Turner What’s love got to do with it che dice: “Chi ha bisogno di un cuore quando il cuore può essere spezzato?”.
Analizzando le 823 canzoni più popolari tra il 1946 e il 2015, i ricercatori hanno rilevato che i testi che contengono frasi evitanti sono diventati sempre più frequenti con il passare degli anni.
Davanti all’incremento dell’infelicità tra i giovani adulti, la prevalenza dei legami evitanti è una spiegazione più plausibile rispetto alla semplice assenza di un partner. Dopo tutto sappiamo che alcune persone sono felici di essere single e che i legami romantici negativi sono chiaramente peggio di una vita senza relazioni intime. Tuttavia, in contrasto con questo quadro variegato, molti studi indicano che l’atteggiamento evitante sia associato a una minore soddisfazione nella vita.
La centralità del lavoro
Ma cosa sta provocando questa ondata di evitamento? Due psicologi hanno proposto un indizio all’interno di uno studio pubblicato nel 2022 e basato su interviste agli studenti universitari di Cipro, con domande che riguardavano anche il motivo che li aveva spinti a preferire la vita da single. La ricerca ha dimostrato che tra gli indicatori che lasciavano prevedere una vita senza un partner, oltre alle preoccupazioni legate alla carriera, c’era anche la presenza della cosiddetta triade nera dei tratti della personalità: narcisismo, machiavellismo e psicopatia. In altre parole, le persone tendono a evitare i legami romantici, se sono particolarmente egocentriche o concentrate sul lavoro.
Ulteriori studi rilevano che i giovani adulti registrano tendenzialmente punteggi elevati in termini sia di egocentrismo sia di concentrazione sul lavoro. Le ricerche per misurare le differenze tra le generazioni hanno dimostrato che oggi circa il 70 per cento degli studenti universitari presenta punteggi più alti in rapporto al narcisismo rispetto a quanto accadeva trent’anni fa.
Come ha sottolineato il mio collega Derek Thompson, i giovani adulti mostrano una propensione sempre maggiore a seguire un’ideologia che lui stesso ha definito “lavorismo”, ovvero la convinzione secondo cui il lavoro garantirebbe un senso di identità e scopo. Inoltre Thompson cita alcune ricerche secondo cui l’effetto prevalente sulle giovani donne della frequenza di un’università esclusiva sarebbe un incremento delle ore lavorative. Una dedizione di questo tipo viene considerata solitamente ammirevole, ma spesso influisce negativamente sui legami interpersonali.
L’uso dei social network è associabile a un aumento del narcisismo, della depressione e dell’ansia
Ritengo che la reticenza rispetto ai legami romantici sia l’anello mancante che permette di collegare l’assenza di un partner all’epidemia di infelicità tra i giovani adulti. La felicità diminuisce a causa dell’isolamento emotivo e abbiamo bisogno di persone che ci conoscano profondamente e a cui possiamo mostrare il nostro lato vulnerabile. Tutto questo lascia pensare che per essere più felici il suggerimento di “trovare un compagno” non sia quello giusto. È meglio risolvere il problema dell’evitamento dei rapporti affettivi in sé.
Alcune delle cause dell’evitamento sono ovvie, come la tendenza dei social network a spingerci verso l’attenzione nei confronti di noi stessi piuttosto che degli altri. Diversi studi mostrano che l’uso dei social network è associabile a un aumento del narcisismo, nonché della depressione e dell’ansia. Inoltre la minore influenza delle istituzioni che storicamente offrono uno scopo, come la religione o la famiglia, può spiegare come mai i giovani adulti si affidino al lavoro per trovare un senso di utilità nella propria esistenza.
Ma in fondo è troppo facile discolparci in quanto società puntando il dito contro la tecnologia e le tendenze che non possiamo controllare. Inoltre dobbiamo tenere presente che per i giovani adulti può risultare difficile superare il proprio comportamento di evitamento delle relazioni. Dobbiamo essere noi, gli altri, ad aiutarli. Come accademico e genitore di giovani adulti, noto che le persone della mia età incoraggiano i giovani a concentrarsi su se stessi e a perseguire il più possibile i successi in campo lavorativo.
I genitori moderni, ma anche le università in loco parentis, hanno una grande responsabilità nel processo che porta i giovani adulti a convincersi di dover primeggiare e di dover misurare il proprio valore in termini di successo personale. Senza volerlo, lasciamo questi ragazzi in una condizione di isolamento, solitudine e distanza da ciò che davvero è importante: una relazione sicura e amorevole con gli altri.
Se vogliamo costruire un futuro più felice per noi e per gli altri, dobbiamo accogliere più amore e più romanticismo nella nostra vita (insieme a gioie future come la famiglia e i figli). Come ha sintetizzato alla perfezione E.M. Forster nel suo romanzo Casa Howard: “Nient’altro che connettere!” .
La direzione generale della società è scoraggiante, ma la buona notizia è che possiamo identificare una fonte plausibile del problema della reticenza nei confronti delle relazioni romantiche e dunque possiamo combatterla, sottolineando la verità sulla vita e sul lavoro e smettendo di diffondere assurdità sull’autopromozione e l’ossessione per il lavoro che non fanno altro che allontanare l’amore.
Per riuscirci, propongo di cominciare da tre semplici messaggi: 1) Non sei migliore o più speciale degli altri. 2) Non vivi soltanto per lavorare. 3) La felicità nasce dall’amare e dall’essere amati. Queste tre idee si allontanano dal pensiero moderno convenzionale, ed è proprio questo il punto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell’Atlantic.