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Dall’Avana con amore

L’Avana, Cuba, 28 marzo 2021. Una protesta contro l’embargo vicino all’ambasciata statunitense. (Alexandre Meneghini, Reuters/Contrasto)

Mentre mi preparavo a viaggiare dal Messico a Cuba all’inizio di febbraio, per un soggiorno di un mese, un amico cubano all’Avana mi ha mandato un messaggio con alcuni consigli. Se hai bisogno di cose come latte e caffè, mi diceva, assicurati di portartele da casa.

In effetti Cuba è ormai da 60 anni sottoposta all’embargo degli Stati Uniti, e i prodotti di base sono difficili da trovare. E questo è solo un aspetto della politica statunitense, tuttora in corso, che mira a rendere la vita dei cubani un inferno. Anche se i tanti esuli cubani di destra e i loro fanatici alleati come Mary Anastasia O’Grady del Wall Street Journal preferiscono insistere sul fatto che non c’è “nessun blocco”, la realtà è molto diversa.

Sessant’anni fa, il 7 febbraio 1962, entrò in vigore un “embargo su tutto il commercio con Cuba” sotto la supervisione del presidente di allora, John F. Kennedy, che si era premurato di procurarsi, per uso personale, non meno di 1.200 sigari cubani. Continua a essere l’embargo più esteso mai imposto dagli Stati Uniti a qualsiasi paese, e all’epoca includeva il divieto di commerciare ogni tipo di medicine e generi alimentari.

Una carestia professionale e discreta
La decisione fu presa due anni dopo che il predecessore di Kennedy, Dwight Eisenhower, aveva lanciato un astuto suggerimento durante una conferenza alla Casa Bianca. Secondo il resoconto della conferenza del gennaio 1960 che appare sul sito web del dipartimento di stato, “il presidente ha detto che… potremmo mettere in quarantena Cuba. Se la gente (il popolo cubano) avrà fame, si libererà di Castro”.

Chi ha mai detto che gli statisti statunitensi non sapevano essere affascinanti?

Pochi mesi dopo, nell’aprile del 1960, il vicesegretario di stato di Eisenhower per gli affari interamericani, Lestor Mallory, presentò un memorandum su cosa fare di Fidel Castro dopo la fine dei gloriosi giorni della brutale dittatura sostenuta dagli Stati Uniti a Cuba. Fatto significativo, la primissima “considerazione saliente” elencata nel memorandum è che “la maggioranza dei cubani sostiene Castro”. Con buona pace della storica insistenza di Washington sulla “democrazia” come obiettivo dei cambi di regime.

Gli Stati Uniti sono rimasti fedeli alla loro missione di strangolare l’esempio cubano

A causa di questa maggioranza problematica e di altre considerazioni salienti, Mallory sosteneva che “dovrebbe essere immediatamente usato ogni mezzo possibile per indebolire la vita economica di Cuba”. E continuava ricorrendo a un gergo diplomatico nefasto e prolisso: “Se una tale politica viene adottata, dovrebbe essere il risultato di una decisione chiara che richiami una linea d’azione che, pur essendo la più abile e discreta possibile, faccia tutto quanto necessario a negare denaro e rifornimenti a Cuba, al fine di diminuire i salari monetari e reali, e di portare alla fame, alla disperazione e al rovesciamento del governo”.

Dopo tutto, non c’è niente di meglio di una carestia imposta con professionalità e discrezione.

Tornando al 2022, il regime di sanzioni contro Cuba continua ad andare forte, il che ne fa l’embargo più lungo nella storia degli Stati Uniti. Il tutto è costato a Cuba circa 130 miliardi di dollari, secondo le Nazioni Unite. I dettagli della punizione sono variati nel corso degli anni, ma gli Stati Uniti sono rimasti fedeli alla loro missione di strangolare l’esempio cubano: l’idea che ci possa essere una nazione funzionante che pone cose come il benessere collettivo e l’assistenza sanitaria e scolastica gratuita al di sopra di un consumismo che instupidisce e di barbare campagne militari.

Rancori imperialistici
Il penultimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha imposto 243 nuove sanzioni all’Avana e ha inoltre eliminato il divieto, per i cittadini statunitensi, di citare in giudizio aziende e individui stranieri per l’utilizzo di ex proprietà degli Stati Uniti a Cuba che erano state nazionalizzate dal governo cubano dopo la rivoluzione del 1959. I rancori imperialistici sono duri a morire.

L’attuale presidente statunitense Joe Biden – che, a quanto pare, avrebbe dovuto essere più gentile di Trump – ha imposto ancora più sanzioni, intensificando quella che è, di fatto, la guerra degli Stati Uniti a Cuba. Nel giugno 2021 l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato per il ventinovesimo anno consecutivo a favore di una risoluzione che chiede la fine del blocco economico da parte di Washington.

Impedire alle persone di acquistare cibo, medicine e altri beni di prima necessità non equivale al “rispetto dei diritti umani”

Come è normale per questo genere di questioni, gli schieramenti opposti hanno visto da una parte 184 nazioni e dall’altra i soli Stati Uniti e Israele, un altro paese a cui piace credere che persone assediate e immobilizzate siano colpevoli per la situazione in cui si trovano.

Nella sua spiegazione ufficiale in difesa del voto degli Stati Uniti all’assemblea generale, il coordinatore politico della missione statunitense all’Onu, Rodney Hunter, ha descritto le sanzioni come “una serie di strumenti nel nostro più ampio sforzo nei confronti di Cuba, volto a far progredire la democrazia e a promuovere il rispetto dei diritti umani”, e ha incoraggiato l’assemblea “a sostenere il popolo cubano nel suo tentativo di determinare il proprio futuro”.

A dire il vero, impedire alle persone di acquistare alimenti necessari, medicine e altri beni di prima necessità non è la prima cosa che viene in mente quando qualcuno parla di “rispetto dei diritti umani”. Ma a quanto pare l’unico “futuro” democratico per Cuba è, come sempre, quello che secondo gli Stati Uniti il popolo cubano dovrebbe desiderare.

Un governo non impeccabile
Un’analisi molto più sensata della situazione a Cuba è apparsa subito dopo il voto dell’Onu, in un articolo pubblicato su The Nation e firmato dall’attore e attivista americano Danny Glover, che ha incolpato l’embargo degli Stati Uniti per la carenza di milioni di siringhe a Cuba nel bel mezzo di una pandemia: “Nessuna azienda vuole impantanarsi nelle complicate procedure bancarie e di licenze che il governo statunitense impone sulle transazioni con Cuba”.

La verità è che gli Stati Uniti hanno posto così tante restrizioni onerose su Cuba – e trasformato il commercio in un mal di testa colossale, con ripercussioni legali e finanziarie potenzialmente enormi – che il tutto sembra tutt’altro che “professionale e discreto”.

Qui all’Avana gli alimenti di base e altri prodotti essenziali sono clamorosamente assenti. Il latte è un lusso assoluto e il caffè è scarso (io stessa me ne sarei portata volentieri un po’, se i bravi ragazzi della compagnia aerea messicana Viva Aerobus non me l’avessero fatto lasciare all’aeroporto di Città del Messico, come punizione per aver violato il limite di peso del mio bagaglio).

Niente di tutto questo, naturalmente, è detto per sostenere che il governo cubano sia impeccabile. Ma i suoi attuali difetti devono necessariamente essere analizzati in un contesto di asfissia economica messa in atto da una superpotenza globale. Come sostengono molti osservatori quando si afferma che lo stato cubano usa l’embargo come capro espiatorio per la sua cattiva gestione: perché non annullarlo, una volta per tutte, togliendo ogni scusa allo stato?

Per fortuna, il mio primo interlocutore all’Avana era un uomo di cinquant’anni che stava per tornare a Cuba da Miami, dove aveva vissuto negli ultimi cinque anni lavorando come meccanico e camionista. “Provo dolori dappertutto quando sono negli Stati Uniti”, mi ha detto in un animato spagnolo cubano. “Comincio a rilassarmi solo quando sono su un aereo che mi porta lontano da lì”.

Con una strizzata d’occhio mi ha spiegato di aver capito che in vecchiaia ha bisogno di poche cose per essere felice. La vita negli Stati Uniti non era una di queste, nel paese ha vissuto un “sogno americano” in cui non aveva mai neanche il tempo di andare a pescare, perché lavorava sempre. Sì, Cuba è pazza, ma è una pazzia che capisce e ama. E in più era stanco di ascoltare gli esuli cubani a Miami tramare all’infinito la loro rivoluzione di destra.

Oggi, mentre il sessantesimo anniversario dell’embargo statunitense costringe i cubani a vivere con sempre meno, e mentre alla superpotenza viene permesso d’ignorare ogni decenza e compassione umana, vale la pena di aggrapparsi, forse, alle parole di Che Guevara: “Il vero rivoluzionario è mosso da grandi sentimenti d’amore”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito di Al Jazeera.

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