All’età di 77 anni e dopo 15 anni trascorsi ininterrottamente al potere, per Abdelaziz Bouteflika puntare a un quarto mandato è chiaramente irragionevole, soprattutto considerando l’ictus che un anno fa lo ha reso incapace di partecipare a qualsiasi incontro e persino di pronunciare un discorso televisivo. Eppure giovedì il vecchio presidente figurerà tra i candidati alla sua successione.

Imbarazzante e umiliante tanto per Bouteflika quanto per l’intera Algeria, la situazione rispecchia lo stato di un paese la cui vita politica è totalmente paralizzata e ricorda molto quella dell’Unione Sovietica in declino, che all’inizio degli anni ottanta aveva preferito aggrapparsi a vegliardi con un piede nella fossa pur di non rischiare la via del cambiamento.

A oltre mezzo secolo dalla sua indipendenza, il più grande paese africano può contare su una lunga striscia costiera, fertili terreni agricoli e grandi riserve di gas e petrolio. L’Algeria potrebbe far invidia persino alla California, eppure i suoi giovani sono schiacciati dalla disoccupazione e sognano di fuggire lontano.

Per comprendere le ragioni di questo stallo bisogna considerare che tre secoli di dominio ottomano e un secolo di colonizzazione francese hanno privato l’Algeria di quadri nazionali economici e politici. In particolare la Francia, alla fine di una guerra durata oltre sette anni e dopo essersi rifiutata di trattare con la piccola élite formatasi nelle sue scuole, ha lasciato il potere a uomini la cui unica esperienza era quella della lotta armata, e i cui errori sono stati devastanti.

L’Algeria indipendente ha infatti scelto di imitare il lato peggiore del modello sovietico, statalizzando l’economia, affidandosi a un partito unico e lasciando che lo stato maggiore e i servizi segreti gestissero il paese. L’Algeria ha cambiato più volte la sua facciata istituzionale, ma è sempre rimasta in mano a una dittatura militare. Alla fine degli anni ottanta, dopo le rivolte popolari e il crollo dell’impero sovietico, i generali hanno autorizzato il multipartitismo, che però ha semplicemente aperto la porta alla corruzione, all’islamismo e alla guerra civile.

La corruzione è più diffusa che mai, la guerra civile ha fatto duecentomila morti e l’islamismo è stato sconfitto dal sangue, dal denaro e dal rifiuto popolare. In passato l’Algeria ha avuto l’occasione di rinascere, e la prima elezione di Bouteflika aveva suscitato grandi speranze di cambiamento. Ma il sogno si è infranto contro l’esercito e l’abbondanza di risorse naturali.

Rafforzati dalla vittoria contro gli islamisti, i militari non hanno voluto cedere il potere, e sfruttando il gas e il petrolio hanno comprato le coscienze e la pace sociale, mantenendo uno statu quo che oggi è incarnato dalla candidatura di un uomo ormai impotente.

Nessuno può dire quale sarà il futuro dell’Algeria, ma di sicuro questo è un paese giovane, impaziente e desideroso di voltare pagina. Se i generali non sapranno gestire la transizione meglio di quanto abbia fatto la Francia, andranno incontro al destino dei vecchi colonizzatori e perderanno tutto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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