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Scontri a fuoco al confine tra Israele, Libano e Siria

Negli ultimi dieci giorni si sono intensificati i lanci di missili tra i tre paesi, dopo che il 18 gennaio un aereo israeliano ha bombardato il territorio siriano nelle Alture del Golan uccidendo miliziani di Hezbollah

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Allarme a nord di Israele

Non sappiamo ancora fino a che punto la situazione potrà degenerare. Mercoledì mattina due soldati israeliani sono morti e altri sette sono rimasti feriti in un attacco degli Hezbollah libanesi alla frontiera settentrionale di Israele. Organizzazione politico-militare sciita armata e finanziata dall’Iran, Hezbollah ha voluto rispondere alla morte di uno dei suoi dirigenti e di un generale dei Guardiani della rivoluzione iraniani, uccisi il 18 gennaio in un raid israeliano in territorio siriano.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha prontamente dichiarato che “gli organizzatori dell’attacco di oggi dovranno pagare”, alludendo chiaramente a Hezbollah, che dal canto suo si prepara a nuove operazioni contro Israele. Tutto questo ci ricorda fin troppo le premesse della guerra in Libano del 2006 e del conflitto a Gaza dell’anno scorso, e la situazione è resa particolarmente inquietante da due fattori che potrebbero aggravarla.

Innanzitutto il fronte sciita – Iran, Hezbollah e il regime siriano – non ha niente da perdere e tutto da guadagnare da una guerra con Israele, diversamente dai regimi sunniti – Arabia Saudita, monarchie del Golfo ed Egitto – che al pari degli israeliani si oppongono alla costruzione (anche solo ipotetica) della bomba atomica di Teheran e fanno fronte comune (anche se non apertamente) contro gli ayatollah. L’Iran e i suoi alleati di Damasco e Beirut potrebbero conquistare i favori di una parte dell’opinione pubblica sunnita presentandosi come i soli difensori dei palestinesi e gli unici avversari di Israele, mentre i leader iraniani più conservatori avrebbero l’occasione di compromettere i negoziati tra Teheran e le potenze occidentali sul nucleare, a cui sono fortemente ostili. Il fronte sciita, insomma, ha tutto l’interesse a far precipitare la situazione.

Le elezioni israeliane del prossimo 17 marzo sono il secondo fattore che potrebbe aggravare la crisi. Il voto potrebbe essere molto più incerto di quanto sembrava solo una settimana fa, e ormai non è impossibile che il fronte della pace esca vincitore dalle urne e rilanci il negoziato con i palestinesi. Per gli estremisti della regione, a cominciare da Hezbollah, sarebbe una catastrofe, mentre Benjamin Netanyahu spera di recuperare terreno punendo con il pugno di ferro un’incursione sanguinaria in territorio israeliano.

La situazione è chiaramente esplosiva, ma bisogna considerare che il grosso delle truppe di Hezbollah è impegnato da due anni in Siria al fianco del regime di Assad. Per quanto ben equipaggiato, l’esercito di Hezbollah non è in grado di combattere contemporaneamente su due fronti. Al contempo gli israeliani sanno benissimo che i missili forniti dall’Iran all’organizzazione sciita possono colpire Tel Aviv molto più duramente rispetto ai razzi utilizzati da Hamas l’estate scorsa a Gaza. Il futuro è incerto, ma tanto vale prepararsi al peggio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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