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Il rompicapo dell’Europa orientale visto da Bucarest

Una manifestazione antigovernativa a Bucarest, Romania, il 26 febbraio 2017. (Octav Ganea, Reuters/Contrasto)

Visto da Parigi, Berlino, Bruxelles o Madrid, il futuro dell’Unione europea si gioca tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron, sulla possibilità che la Germania e la Francia investano nelle industrie del futuro armonizzando le rispettive fiscalità e protezioni sociali. Vista da Bucarest, però, la situazione è molto diversa.

Nella capitale romena, tra le case art déco degli anni venti e i palazzi mussoliniani voluti da Nicolae Ceausescu, dittatore comunista ucciso nel 1989, sono convinti che il futuro dell’Unione europea si deciderà proprio in Romania, unico dei grandi paesi dell’Europa centrale a non essere scivolato nel nazionalismo reazionario e antieuropeo.

In Polonia, in Repubblica Ceca e in Ungheria i leader solidamente al comando accusano l’Unione di essere un’idra totalitaria che vuole distruggere l’identità degli stati, trasformandoli in paesi musulmani imponendo l’accoglienza dei rifugiati siriani e privandoli del diritto ad autogovernarsi come vogliono, quando in realtà le loro economie non sarebbero mai decollate senza i fondi e la solidarietà dell’Europa.

Un problema a est
I leader di Ungheria e Polonia arrivano al punto di attaccare l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa. La Polonia e l’Ungheria non sono più democrazie, un criterio fondamentale per far parte dell’Unione. È un rompicapo politico, perché farle fuori significherebbe indebolirle e indebolire l’Unione, e in ogni caso sarebbe difficile farlo senza un voto unanime, impossibile da ottenere perché Budapest e Varsavia si spalleggiano a vicenda.

L’Unione ha un problema a est, negli ex paesi comunisti che oggi ne fanno parte. Se un domani Bucarest si unisse a Praga, Budapest e Varsavia, l’Europa centrale e occidentale potrebbe andare verso una nuova separazione.

In questa coabitazione, la battaglia è ormai permanente

Per questo la Romania diventa un tassello fondamentale, osservato da tutti, con un presidente centrista, europeista, onesto e popolare, ma con una maggioranza parlamentare legata all’ex partito comunista decisa (a prescindere dalla posizione dell’Unione europea) a fermare la magistratura e il tribunale anticorruzione che le creano fin troppi problemi.

In questa coabitazione, la battaglia è ormai permanente. Come in altri paesi nell’inizio del nuovo secolo, lo scontro è tra le città e le campagne, tra i cittadini con entrambi i piedi nella globalizzazione e gli abitanti dei piccoli villaggi che considerano il mondo esterno solo come una minaccia. Presidenziali nel 2019, legislative nel 2020, la Romania si prepara alle prossime elezioni, in cui avranno un ruolo fondamentale i quattro milioni di romeni che oggi vivono negli altri paesi dell’Unione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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