L’analfabetismo politico di Matteo Salvini
A Pontida si è svolto il ventinovesimo raduno nazionale della Lega. Il primo ci fu nel 1990, e quello che allora sembrava un baraccone che metteva insieme spinte xenofobe, un posticcio immaginario neopagano (il dio Po) e un ridicolo revisionismo storico (Alberto da Giussano) è l’unico movimento rimasto in forze dall’inizio della seconda repubblica a oggi.
Il simbolo di Pontida quest’anno era la ruspa. Un caterpillar enorme campeggiava dietro il palco (chissà cosa ne pensa l’azienda Cat di questo product placement?), e le magliette con il disegnino della ruspa erano disponibili anche nelle taglie 2-6 anni.
L’operazione di restyling di Matteo Salvini sta avendo successo. Come uno di quei bambini che con mossa scaltra ha chiamato sul palco in coda al comizio, Salvini risponde “Ruspa!” a qualunque questione politica. Una coazione a ripetere: Ruspa! Ruspa! Ruspa!
“Ruspa!” è la versione che mette insieme il me ne frego fascista e il vaffa grillino, riuscendo ad accumulare l’energia malsana dell’antipolitica in una parola d’ordine che non è nemmeno uno slogan ma un singulto primitivo.
Nonostante non abbia uno straccio di programma sull’immigrazione, nonostante il suo discorso di chiusura a Pontida abbia la solita profondità politica di uno sfogo da bar, e nonostante per lucrare voti sulla questione rom ogni giorno lanci provocazioni disumane (bruciamoli tutti! eccetera), Salvini aumenta la sua credibilità e insiste nel voler penetrare a sud dopo aver ottenuto il 20 per cento nelle regioni centrali alle ultime amministrative: si propone come forza di governo.
Perché questa destra razzista ha tutto questo consenso?
Si può analizzare il fenomeno con la lente politica, e capire per esempio che il vuoto che lui colma è la rappresentanza del ceto medio impoverito dalla crisi (“Sono contento che il papa abbia incontrato i rom a Torino, spero che abbia incontrato anche gli esodati”), a cui si propone come l’alfiere di una destra sociale populista (il selfie in cui dona il sangue, i tweet a favore degli asili nido e dei disabili…).
Ma occorre leggere l’exploit leghista anche culturalmente. Salvini capitalizza la corruzione culturale di vent’anni di antipolitica: un calderone mefitico in cui si mischiano complottismo, sovranismo, revisionismo, qualunquismo, machismo, neoborbonismo, molti rigurgiti neonazisti.
Del federalismo della prima Lega (Gianfranco Miglio ma anche Umberto Bossi che citavano Cattaneo) non è rimasto nulla; ma anche il secessionismo di Roberto Calderoli e Roberto Maroni sembra archiviato.
Se l’indipendentismo è sempre più spesso una battaglia politica di sinistra – modulato secondo il think globally, act locally (vedi la Scozia, la Catalogna, i movimenti ecologisti) – Salvini a Pontida ha voluto far andare in scena la rappresentazione di uno pseudoeuropeismo autoritario se non fascista, che si richiama a Vladimir Putin, Viktor Orbán e ai populisti danesi appena reduci dal successo alle elezioni. E poi ha declinato il tutto secondo una versione nostrana: il ruspismo. Un analfabetismo culturale rivendicato che è davvero pericoloso sottovalutare.