Il rapper Bello FiGo sfida i nostri stereotipi sull’immigrazione
Ieri è stato annullato il concerto che Bello FiGo avrebbe dovuto tenere agli Ex Magazzini a Roma il 4 febbraio. Chi aveva comprato il biglietto può farsi restituire i soldi, i gestori del locale su Facebook hanno ammesso di non sentirsela di prendersi il rischio di vedere il concerto trasformarsi in una rissa o peggio. Il concerto è stato spostato all’Orion di Ciampino, dove Bello FiGo si esibirà il 25 marzo.
È la quarta volta di fila che un concerto del rapper viene annullato: prima di Roma erano state annullate le date di Brescia, Mantova e Legnano, ogni volta per colpa di improvvisati estremisti di destra in cerca di visibilità. A Roma i fascisti di Azione frontale, meno che un gruppuscolo, che da un mese avevano alzato la cagnara contro il concerto romano, sono contenti di essere riusciti a farlo saltare. Il 29 gennaio avevano attaccato uno striscione in fasciofont vicino all’entrata degli Ex Magazzini, “Bello FiGo Roma non ti vuole”, più altri manifesti su Bello FiGo che “non paga affitto” mentre gli italiani muoiono di freddo.
Quello che sempre c’è di incredibilmente grottesco nelle esibizioni di forza dei fascisti è la loro pretesa a rimanere sul piano letterale. E dall’altra parte quello che c’è di straordinariamente eccentrico è come Bello FiGo mandi completamente in tilt con un détournement semplicissimo tutta la retorica di destra e non solo.
Bello FiGo smonta la retorica razzista degli italiani vittime dell’invasione e quella paternalista di chi vuole aiutare gli stranieri a integrarsi
“Non pago affitto”, “Non faccio opraio”, “A me mi piace la pasta al tonno”, “Io sono bello come Mussolini”: il rapper Bello FiGo (ossia Paul Yeboah, ventunenne italiano di origine ghaneane, residente a Parma da dieci anni) attraverso una ventina di pezzi si è inventato una cosa che prima non c’era. Possiamo chiamarlo lo swag italiano situazionista, una forma di performance autocelebrativa ed esponenzialmente ironica, un cazzeggio purissimo che nel contesto linguistico così infantile della politica italiana ha assunto immediatamente un valore corrosivo.
Mimetico con lo stereotipo dell’immigrato pigro, parassitario, stupido, illegale, sessista, Bello FiGo esplora al contrario il linguaggio dell’incultura razzista e criptorazzista italiana, lo incarna, lo ostenta. E in questo modo, da vittima sacrificale, da capro espiatorio, riesce ad annullarne in un baleno ogni credibilità, ogni autorevolezza.
La famosa puntata di qualche mese fa della trasmissione televisiva Dalla vostra parte è un esempio clamoroso di questo tilt: in un quarto d’ora Bello FiGo smonta la retorica razzista fintobonaria di Alessandra Mussolini, quella degli italiani vittime dell’invasione degli immigrati, quella paternalista degli operatori del sociale che vogliono aiutare gli stranieri a integrarsi. Vale la pena guardarsela tutta.
Ma vale la pena anche capire come in questo rovesciamento non si salva nessuno, nemmeno noi spettatori avvertiti.
In un lungo articolo uscito a ridosso della puntata, Alessio Banini sottolineava come le hit di Bello FiGo funzionano come smascheramento dell’inconsistenza della comunicazione politica in sé, ridotta a slogan. In un bel pezzo recente Mattia Salvia cercava di analizzare i vari livelli del fenomeno, soprattutto della sua novità:
Non credo che Bello FiGo sia un’icona dell’antifascismo”, mi ha detto Pablo, un ragazzo che sabato era a quella manifestazione. “Credo piuttosto che sia diventato un’ossessione dei fascisti, perché fa un’operazione abbastanza semplice: prende i discorsi da bar qualunquisti e razzisti e ci fa questa specie di rap sbilenco. Così facendo è diventato l’ossessione delle persone che quel linguaggio che lui scimmiotta lo usano davvero”.
Difendere quello che fa Bello FiGo non è semplice: lancia tormentoni che ripetono i ragazzini di dieci anni o che danno vita a serie di parodie infinite (quella di Tunonna di “Pasta al tonno” è notevole), ma quando canta “Vengo dentro la sua figa”, “Io la scopo in faccia, la scopo in bocca, perché sono ricco” ecco che il senso del rovesciamento, dello swag, dell’antiretorica ci risulta meno efficace. Bello FiGo incita alla violenza? È volgarmente sessista? Forse ci dovrebbe essere un limite alla sua esibizione? Non c’è il rischio difendendolo di ritrovarsi invischiati nella sua stessa ironia?
Il racconto dell’immigrazione
Ernesto Moroni, militante di Azione frontale, il gruppuscolo che è riuscito a far saltare il concerto romano, mette insieme tra le motivazioni della protesta il mancato rispetto per le donne e quello contro il popolo italiano per impastare malamente un discorso da fascista del terzo millennio (“Io sono fascista e sono orgogliosamente fascista”, dichiara a Internazionale), che prova a far leva proprio sulle contraddizioni che Bello FiGo mette in evidenza.
Ovvero: le condizioni con cui ognuno di noi è disposto a concedere una cittadinanza – e quindi un lavoro dignitoso, la libertà di espressione e così via – a uno che quei diritti non li ha.
E allora è giusto difendere Bello FiGo non solo da un punto di vista strettamente politico – è scandaloso che un concerto venga annullato per le minacce di una microscopica formazione fascista – ma anche da un punto di vista estetico: il non capire se c’è o ci fa, il sarcasmo applicato a tutto, il sottrarsi a qualunque ruolo creato dal racconto dell’immigrazione in Italia illumina il sottile ricatto morale che sta dentro la politica sull’immigrazione.
Se abbiamo presente come gli stranieri, i migranti, i neri vengono raccontati dal giornalismo, dal cinema, dalla musica leggera italiana, capiamo anche il perché Bello FiGo venga considerato provocatorio, e come il gestore di un locale possa farsi scudo delle manifestazioni di estremisti per annullare un concerto. Lo swag cafone delle sue canzoni ci fa realizzare in un colpo quanto il più aperto multiculturalismo italiano sia pensato a immagine e somiglianza di un feticcio di italianità di qualche tipo, spesso speculare al peggiore razzismo.
Nel frattempo i fascisti di Azione frontale il 4 febbraio faranno una manifestazione “sul business dell’immigrazione”, seguita la settimana dopo da un’iniziativa sulle foibe.
Su questo non c’è nessuna censura né da parte della questura né del comune di Roma.
Almeno, come ci ha insegnato Bello FiGo, potremmo dabbarci su.