Mai rinunciare alle favole
Nonostante l’arrivo di un figlio il cinismo natalizio di mio marito non si è placato e, al grido di “i bambini hanno più fantasia dell’ufficio marketing della Coca-Cola”, si oppone alla storia di Babbo Natale. Lo assecondo?–Tania
Erin ha sei anni. Dopo ripetute domande alla madre sulla fatina del dentino (gli americani non apprezzano l’idea di un topo che ti sale sul letto di notte e hanno optato per una fatina), una mattina dice alla madre: “Ora ho le prove che la fata del dentino sei tu. Ieri mi è caduto un dente, l’ho messo sotto al cuscino senza dirtelo e stamattina è ancora lì”. Madison, otto anni, mi si siede accanto su una panchina del cortile di scuola e mi dice a bassa voce: “Io so la verità”. “Quale verità?”, le faccio io. “Su Babbo Natale: non esiste. Però mamma mi ha detto che se mi azzardo a dirlo ai compagni a Natale non avrò neanche un regalo”.
Questi sono due esempi per mostrare a tuo marito che i bambini possono essere anche più cinici dell’ufficio marketing della Coca-Cola. La quale azienda, per la cronaca, non ha inventato Babbo Natale ma solo l’abbigliamento rosso e bianco in cui lo raffiguriamo di recente. Le leggende di Natale sono cultura ancestrale: dal dispettoso nisse, il folletto della Danimarca, ai tre reyes della Spagna, passando per il presepe napoletano, la mitologia Europea brulica di bellissime storie a cui sarebbe un peccato rinunciare. Anzi, più ce ne sono e meglio è: se volete preservare la magia del Natale, fate tagli sui regali e aumentate il numero di personaggi immaginari coinvolti.
Questa rubrica è stata pubblicata il 11 dicembre 2015 a pagina 14 di Internazionale, con il titolo “Mai rinunciare alle favole”. Compra questo numero| Abbonati