Theresa May sarà il male minore per i gay britannici
Negli ultimi giorni, mentre le onde sismiche del referendum sulla Brexit continuavano a propagarsi sul Regno Unito, i britannici avevano maturato una certezza: il loro paese avrebbe avuto la sua seconda donna premier. Ma c’era anche un’altra cosa sicura: le uniche due candidate rimaste alla guida dei tory, la ministra degli interni Theresa May e quella dell’energia Andrea Leadsom, avevano dei cattivi precedenti in fatto di sostegno ai diritti lgbt.
Con la rinuncia da parte di Andrea Leadsom, la scelta è caduta su Theresa May e dal punto di vista della comunità lgbt questo è il risultato migliore. O comunque quello meno peggio. L’atteggiamento di May sui diritti civili infatti si è evoluto nettamente nel corso degli anni, in linea con i cambiamenti avvenuti all’interno dei tory: la ministra degli interni, dopo aver votato in passato contro alcune misure come l’abbassamento dell’età del consenso o l’adozione per le coppie omosessuali, già nel 2004 ha votato a favore delle unioni civili e poi nel 2013 a sostegno del matrimonio ugualitario.
Diverse associazioni lgbt però ancora criticano il suo operato come ministra, in particolare per via dell’inasprimento dei requisiti per accedere al diritto d’asilo nel Regno Unito, che vale anche per i richiedenti omosessuali provenienti da paesi in cui sono perseguitati, o per la sua forte intenzione di ritirare il paese dalla Convenzione europea dei diritti umani.
David Cameron è stato il primo leader conservatore a sostenere con decisione la parità tra etero e gay
Ma se fosse stata scelta Andrea Leadsom, il paese sarebbe stato guidato da una premier apertamente omofoba: le sue ultime dichiarazioni contro i matrimoni omosessuali risalgono a pochi giorni fa quando la ministra, ancora in corsa per il posto a Downing street, ha definito la legge sui matrimoni omosessuali una “profonda ferita per i cristiani”.
“Avrei preferito che le unioni civili fossero aperte sia alle coppie gay sia a quelle etero”, ha dichiarato il 7 luglio in un’intervista su Itv, “e che il matrimonio fosse lasciato come servizio esclusivamente religioso per la coppie formate da un uomo e una donna che volessero sancire la propria unione davanti a dio”.
Nel 2013, nonostante la posizione ufficiale del suo partito, Leadsom si è astenuta dal voto sulla legge per il matrimonio ugualitario. E questa sua uscita contro i matrimoni gay – accanto a quella ben più pubblicizzata sul fatto che la sua rivale, non avendo figli, non avrebbe avuto a cuore nello stesso modo il futuro del Regno Unito – ha contribuito ad aumentare la pressione da parte del suo partito.
David Cameron si è affrettato a commentare l’intervista, dichiarando al margine del vertice Nato in Polonia che si sente “molto orgoglioso” di essere stato il promotore di quella legge e che la norma ormai ha un largo sostegno all’interno dei parlamentari conservatori. Un chiaro messaggio a Leadsom.
Ora, con May alla guida del paese, un ritorno indietro non sembra più possibile, anche grazie a Cameron. Il premier uscente – che rischia di passare alla storia come quello che ha portato il paese sull’orlo del baratro – lascerà infatti un’ottima eredità al movimento per i diritti civili, visto che è stato il primo leader conservatore a sostenere con decisione la parità tra etero e gay: “Non è che sostengo i matrimoni omosessuali nonostante sia conservatore, ma sostengo i matrimoni omosessuali proprio in quanto conservatore”, ha dichiarato nel 2011 a un congresso del suo partito, sdoganando così il principio che i diritti lgbt siano un tema riservato ai progressisti.