Nessuno aveva previsto gli eventi che hanno sconvolto il Maghreb e il Medio Oriente arabo, provocando la caduta di due regimi e scuotendo quasi tutti gli altri, dal Marocco allo Yemen. Gli analisti, il Pentagono, i servizi di sicurezza occidentali e, cosa più importante, i dissidenti e i movimenti per la democrazia del Medio Oriente sono stati colti di sorpresa dalla rapidità del cambiamento.
Da un giorno all’altro il mondo arabo sembra essersi trasformato da una regione in cui i governi erano inattaccabili, in una in cui nessun dittatore governa incontrastato. E anche se si scoprisse che questo è il 1848 del mondo arabo, e non il suo 1789, l’era delle dittature stabili è finita per sempre.
Profondi cambiamenti sociali come questo non hanno mai un’unica causa. In Tunisia la rivolta è stata scatenata dal suicidio di Mohamed Bouazizi, un povero venditore di verdura della cittadina di Sidi Bouzid. In Egitto le manifestazioni in cui si chiedeva la fine della dittatura di Hosni Mubarak sono state guidate dalla nuova classe media urbana, mentre i poveri sono rimasti per lo più in disparte.
Spiegazioni parziali
Naturalmente, ora che i cambiamenti si sono già verificati, le spiegazioni abbondano e sono una più parziale dell’altra. Secondo i militanti dell’opposizione, questi eventi dimostrano che tutti nel mondo hanno sete di democrazia. I tecnoutopisti sostengono che sono stati Twitter e i nuovi social network a rendere possibile la rivoluzione dei gelsomini e quella di piazza Tahrir. In ognuna di queste spiegazioni c’è del vero. L’unico problema è che, fatta eccezione per la guerra libica, sono tutte presentate come rivoluzioni della speranza, mentre in realtà sono soprattutto rivoluzioni della disperazione. Pensate a Mohamed Bouazizi: si è dato fuoco semplicemente perché si vedeva senza futuro nella Tunisia di Ben Ali.
Ovviamente pochi dei suoi connazionali avrebbero scelto di morire come lui. Ma molti di loro, probabilmente la maggioranza, condividevano e, anzi, continuano a condividere la sua sensazione di non avere un futuro. La caduta della dittatura ha fatto ben poco per cambiare questo sentimento, come dimostra chiaramente il costante flusso di immigrati dalla Tunisia verso Lampedusa.
La democrazia è meravigliosa, ma non basta a sfamare la gente, a vestirla e a garantirgli una vita dignitosa. Oggi c’è la democrazia in molti paesi dell’Africa subsahariana, dove appena vent’anni fa i regimi autoritari erano la maggioranza. Ma prendendo in considerazione parametri oggettivi come i livelli di salute e di nutrizione, in questa regione la vita dei più poveri non è migliorata molto.
Democrazia o morale?
Perfino l’India – che è sempre stata una democrazia, ha un’economia in forte crescita e prospettive apparentemente illimitate per il futuro – registra la più alta percentuale al mondo di bambini malnutriti: il 49 per cento contro il 29 dell’Africa subsahariana. In un mondo simile, Brecht non sbagliava quando scriveva nell’Opera da tre soldi: “Prima viene lo stomaco pieno e poi la morale”.
Il grande errore dei movimenti per la democrazia è il loro rifiuto di ammettere che, se il progresso economico non viene subito dopo le riforme politiche, dal punto di vista dei poveri tutto quello che è stato raggiunto è una vittoria di Pirro. Gli estensori della Dichiarazione universale dei diritti umani lo avevano capito molto bene quando hanno messo i diritti economici e sociali sullo stesso piano dei diritti politici, civili e culturali.
Il motivo per cui quello che era chiaro all’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948 sembra meno evidente oggi non è solo misterioso, ma anche tragicamente autolesionistico. Da decenni, ormai, esiste una divisione di fatto tra sviluppo economico da un lato e diritti umani e costruzione della democrazia dall’altro. Questa divisione non ha mai avuto molto senso in nessun contesto, e meno che mai in Medio Oriente. Se non si riesce al più presto a ridurre la povertà in questa regione, i poveri non avranno nessun motivo per restare nei loro paesi, e quelli che possono se ne andranno.
La dittatura è una cosa terrificante e brutale, ma lo sono anche la povertà e la fame. È impossibile sapere quale ruolo ha svolto nelle rivolte l’aggravamento della povertà nel Medio Oriente arabo negli ultimi dieci anni. Ma è sicuro che, con i prezzi dei generi alimentari in crescita, con le scuole e le università nel caos e con il costante aumento della disoccupazione, una grande paura si è impossessata dei poveri di tutto il mondo.
Probabilmente, a differenza di quella che precedette la rivoluzione francese, la grande paura di questi giorni non è stata la causa immediata dei recenti sconvolgimenti avvenuti nel mondo arabo. Ma è certamente una delle sue cause più profonde e resta lo spettro del cambiamento democratico della regione. Se non si cerca di eliminarlo, si farà beffe delle speranze alimentate dalle sorprendenti trasformazioni di queste ultime settimane.
*Traduzione di Bruna Tortorella.
Internazionale, numero 891, 1 aprile 2011*
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