Orazioni di fine anno
Riepilogare rasserena. Questo fine dicembre saremo al solito subissati da riepiloghi mediatici. Il 2017 ci sarà metodicamente riproposto per sommi capi: eventi, libri e film che ci hanno segnati, matrimoni, decessi, catastrofi. Il riepilogo stimolerà anche esercizi profetici. Spenzolandosi dalle caselle del 2017 come da una inferriata, molte firme occasionalmente autorevoli annunceranno ai loro occasionali quindici lettori (una volta Manzoni si rivolgeva per modestia a un massimo di venticinque lettori ma oggi, data la crisi della carta stampata, ipotizzarne quindici è già un segno di immodestia) cosa gli toccherà vedere nel 2018.
Naturalmente eviteremo di dare uno sguardo al riepilogo del 2016, del 2015, del 2014. Eppure non sarebbe una trovata disprezzabile, ci mostrerebbe in modo documentato che la selezione di avvenimenti rilevanti che avevamo fatto, le gerarchie che avevamo stabilito, i vaticini che avevamo azzardato rispecchiavano soprattutto gli interessi caduchi del momento. Ma è rischioso: evidenziare la naturale cecità del presente – troppi paraocchi – leverebbe senso ai riepiloghi con affaccio profetico. Che brutto, infatti, arrivare al dodicesimo mese dell’anno e sentirsi come un oratore che, a fine discorso, scopre di non sapere cosa ficcare nel riepilogo. Stava avendo successo, ogni frase era ben fatta. Come mai ora tutto pare un gioco di fiato?
Questa rubrica è stata pubblicata il 15 dicembre 2017 a pagina 14 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati