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Perché l’estrema destra attacca gli studi di genere

Una manifestazione contro Jair Bolsonaro a São Paulo, in Brasile, ottobre 2018. Sui cartelli c’è scritto “Non lui!”. (Cris Faga, NurPhoto via Getty Images)

Volendo effettuare una ricerca sul bullismo in classe, l’accademico italiano Federico Batini ha distribuito un questionario in 54 scuole dell’Italia centrale. Lo studio era in collaborazione con le autorità scolastiche locali e voleva analizzare la diffusione tra i giovani dei fenomeni di discriminazione razziale, omofoba o di genere.

Ma invece di saperne di più sulle esperienze degli studenti, Batini ha subìto una campagna di diffamazione sui mezzi d’informazione e la sua ricerca è stata improvvisamente interrotta. Un senatore della Lega ha condannato il questionario di Batini definendolo “indottrinamento gender”. Un quotidiano conservatore, La Verità, ha bollato il suo studio come “folle ideologia”. Infine il ministro dell’istruzione italiano, Marco Bussetti, sempre della Lega, ha bloccato del tutto il questionario.

Il fatto che la ricerca di Batini sia passata da una dimensione regionale a una polemica nazionale segue uno schema sempre più frequente in Europa. Nell’agosto 2018, in Bulgaria, il ministro dell’istruzione ha bloccato un progetto dell’Unesco sull’uguaglianza nelle scuole. A ottobre tutti i programmi universitari sugli studi di genere nel paese sono stati dichiarati fuorilegge, mentre il primo ministro Viktor Orbán continua a rafforzare il suo controverso progetto di “democrazia illiberale”.

Alternativa per la Germania (Afd), il primo partito di estrema destra a entrare nel parlamento tedesco dalla seconda guerra mondiale, ha promesso di mettere fine ai finanziamenti, alle nomine universitarie e alla ricerca legati a questo settore. In Italia, una conferenza sul tema prevista all’università di Verona è stata cancellata dopo che un gruppo di estrema destra ha minacciato di interrompere l’evento con la forza. E a dicembre in Svezia, dove il Partito dei democratici svedesi ha fatto un balzo in avanti nelle elezioni del 2018, vari edifici sono stati evacuati quando è stato scoperto un pacco sospetto fuori della segreteria per la ricerca sul genere, affiliata all’università di Göteborg.

Un progetto ampio
A mano a mano che si radicano, sia nel parlamento europeo sia in quelli nazionali, i politici nazionalisti e populisti prendono di mira esperti e intellettuali presentandoli come esponenti di un’élite pericolosa e lontana dalla realtà.

Per l’estrema destra il sostegno all’autorità maschile e la difesa della famiglia tradizionale sono assi centrali di un più ampio progetto nazionalista. Al contrario, gli studi di genere promuovono una conoscenza delle persone e della società con più sfumature, in particolare riconoscendo il genere come qualcosa di costruito e interpretato all’interno di un dato ordine sociale, e non un dato biologico immutabile. Mettendo in discussione i concetti tradizionali d’identità, sessualità e parentela, la narrativa dell’estrema destra di un “noi” opposto a un “loro” straniero è messa in discussione.

Esiste l’idea che il gender avveleni la cultura locale

Allo stesso tempo questo settore sconvolge l’autoritarismo maschile, che costituisce una parte importante dell’immagine che la destra nazionalista offre di se stessa, dall’arroganza dell’uomo forte di Orbán in Ungheria alla retorica paternalista di Matteo Salvini, ministro dell’interno italiano e leader della Lega. I loro attacchi sono una questione sia di scontro d’idee sia di opportunismo politico. Anche se ricercatori e intellettuali non hanno un peso importante alle urne, possono essere sfruttati per criticare l’Unione europea, denunciare il malessere dell’occidente e rafforzare i sentimenti religioso-conservatori.

“Gli studi di genere sono diventati un campo di battaglia”, dice Massimo Prearo, ricercatore in studi politici all’università di Verona. “Negli ultimi cinque anni, sono passati dall’essere una preoccupazione marginale a un argomento centrale per quanti sostengono di difendere la civiltà cristiana ed europea”.

Le accuse
Centrale in quasi tutti questi attacchi è la definizione degli studi di genere come un’“ideologia” e dei ricercatori come degli “agenti”. È gettato discredito su questo settore, considerato un puro e semplice progetto politico invece che una disciplina scientifica. Questi studi “non hanno posto nelle università”, ha dichiarato il vice primo ministro ungherese, Zsolt Semjén. “Si tratta di un’ideologia, non di una scienza”, ha detto.

Nei paesi segnati dallo stalinismo, l’accusa è quella di lavaggio del cervello. In Germania il neologismo genderismus ricorda deliberatamente il sozialismus (socialismo) della Germania orientale. In Estonia, dove a marzo il Partito popolare conservatore, di estrema destra, è entrato al governo, il sito Objektiv pubblica regolarmente articoli che paragonano la cosiddetta ideologia del gender al marxismo e al leninismo.

Anche se questa retorica rievoca fantasmi dell’Europa sotto l’influenza sovietica, viene usata per criticare più in generale quelle che sono ritenute delle assurdità della burocrazia dell’Unione europea a Bruxelles. E si nutre dell’esplicito impegno dell’Ue per il cosiddetto gender mainstreaming, l’inclusione di una prospettiva di genere in ogni politica, norma e programma di spesa. Tanto che gli esponenti dell’estrema destra usano il termine per riferirsi più in generale ai burocrati di Bruxelles. Questa stessa associazione di idee ha spinto gli studi di genere nel mirino dell’estrema sinistra, che ritiene che il sostegno alla questione da parte dell’Ue, che secondo loro ha un disegno capitalistico, abbia compromesso questo campo.

Decadenza occidentale
Nei paesi dove poche persone parlano inglese, l’uso strategico della parola gender sottolinea l’idea di un prodotto occidentale. In polacco esiste dzender, ma il termine inglese è spesso lasciato così com’è, per rafforzare l’idea di un’importazione straniera. “Credo sia davvero fondamentale che la parola suoni straniera”, mi dice Agnieszka Graff, docente di studi di genere all’università di Varsavia. “Esiste l’idea che tutto ciò che la riguardi avveleni la cultura locale, che sia qualcosa che viene da un occidente decadente”.

Per Graff la stigmatizzazione linguistica spiega molto della storia europea dopo la seconda guerra mondiale. Quando lei e i suoi colleghi hanno cominciato a costruire uno dei primi programmi sugli studi di genere in Polonia, all’inizio degli anni novanta, una delle ragioni per cui usavano questa parola, invece di donne o femminismo, era che gli sembrava lungimirante e incontrovertibile. “Indicava il nostro impegno per l’europeizzazione e la modernità”, dice. “Adesso eccoci qui, vent’anni dopo, usare questa parola è come parlare del diavolo”.

Una visione così moralistica ha una risonanza particolare in paesi dove il cattolicesimo conservatore è dominante. I politici di estrema destra formano delle alleanze strategiche tra nazionalismo e fondamentalismo religioso, mobilitando importanti porzioni di elettorato. Lo stesso Vaticano all’inizio degli anni duemila ha rifiutato l’idea che le esperienze maschili e femminili possano essere definite dalla società. Ancora nel 2016 papa Francesco definiva la “teoria del gender” una “colonizzazione ideologica”.

Questa retorica religiosa ruota intorno alla protezione della famiglia e dei bambini, e presenta regolarmente le ricerche sul genere come un’influenza maligna per i giovani. In Polonia Jarosław Kaczyński, leader del partito al potere Diritto e giustizia, le ha definite come un “attacco diretto alla famiglia e ai bambini”, di cui fa parte anche il movimento lgbt. In Italia tre ministri della Lega nell’attuale coalizione di governo, tra cui lo stesso ministro dell’istruzione che ha bloccato il questionario di Batini, hanno partecipato al tredicesimo Congresso mondiale delle famiglie, un’organizzazione cristiana ultraconservatrice impegnata nella preservazione della “famiglia naturale”.

Controllare l’istruzione
La partecipazione della Lega al congresso di Verona mostra quanto la battaglia sugli studi di genere nasca tanto come opportunità strategica quanto come percezione di una minaccia. “Al cuore di tutto c’è la paura”, mi spiega Batini. La convergenza di linguaggio antigender e paternalistico contribuisce ad alimentare sentimenti antimmigrazione, e pertanto quando i ministri della Lega si posizionano come difensori della famiglia, la loro retorica si rivolge alle famiglie italiane, bianche e tradizionali, rigettando implicitamente le famiglie straniere così come i modelli domestici non eteronormativi.

In Ungheria anche Zsófia Bán, che tiene corsi legati al genere presso l’università statale Elte, considera la messa al bando di questo tipo di studi strettamente legata alle politiche xenofobe: “È un allontanamento sia dalle idee liberali dell’accademia occidentale sia da altre modalità di pensiero che secondo loro stanno infiltrando la società insieme ai profughi”.

Alcuni ricercatori ammettono di non riuscire a comunicare le idee in modo incisivo e comprensibile

Mentre le persone che lavorano negli studi di genere si sforzano di capire come comportarsi visto che sono finite dentro il mirino dell’estrema destra, in molti temono che l’attacco contro di loro sia la spia di un più ampio progetto di controllo dell’istruzione.

Qualcuno si è accorto, con preoccupazione, che il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, ha sostenuto un’operazione di eliminazione di quello che viene percepito come indottrinamento di sinistra, addirittura incoraggiando gli studenti a filmare gli insegnanti sospetti. Analogamente, a marzo il partito olandese Forum per la democrazia ha aperto un numero telefonico al quale rivolgersi per denunciare l’“indottrinamento di sinistra” nelle università e nelle scuole.

Alcuni ricercatori ammettono di non riuscire a comunicare le idee in una maniera che risulti incisiva e comprensibile per le persone al di fuori dell’accademia.

“Abbiamo a che fare con una situazione in cui molte persone sono interessate da questo argomento e vorrebbero leggere qualcosa. Ma le cose leggibili sono quelle scritte da Jordan Peterson”, mi dice Graff, riferendosi allo psicologo canadese di destra e strenuo oppositore della “teoria del gender”. “Non dico che sia tutta colpa nostra, ma un po’ sì”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su The Atlantic. Leggi la versione originale.
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