Cinque mesi dopo l’uccisione del giovane ricercatore italiano – rapito il 25 gennaio nel centro del Cairo, atrocemente torturato e ritrovato senza vita in un fossato vicino a un’autostrada – Roma aumenta la pressione sulle autorità egiziane per conoscere i veri responsabili di questo omicidio.

Dopo che il governo Renzi ha richiamato il suo ambasciatore all’inizio di aprile, il parlamento italiano ha avuto il coraggio il 6 luglio di votare a grande maggioranza un emendamento che sospende l’invio di pezzi di ricambio per gli F16 egiziani. I responsabili italiani rifiutano di accontentarsi delle diverse versioni fornite dal regime del presidente Abdel Fattah al Sisi, che in un primo momento aveva parlato di un incidente stradale per poi accusare una banda criminale i cui membri sarebbero stati tutti uccisi.

Il ricatto del Cairo
L’iniziativa arriva nel momento in cui i sospetti si concentrano sui servizi di sicurezza del paese. In risposta il Cairo ha espresso tutta la sua indignazione. “Se avesse ucciso Regeni, la polizia non avrebbe di certo gettato il suo corpo per strada ma lo avrebbe nascosto nel cemento”, ha affermato qualche giorno fa un deputato vicino al presidente al Sisi.

Non bisogna lasciare sola l’Italia in un faccia a faccia con il regime egiziano

Nel frattempo il governo egiziano ha annunciato delle misure di ritorsione dopo il voto del parlamento italiano sui pezzi di ricambio degli F16. Il ministero degli Esteri egiziano ha promesso delle azioni che avranno delle ripercussioni “sulla cooperazione nella lotta contro l’immigrazione clandestina” e nella “lotta contro il terrorismo”. Una presa di posizione che non riguarda solo i rapporti bilaterali italoegiziani, ma che richiede una risposta concreta e concertata dei membri dell’Ue.

Spesso invocata in modo retorico, la politica estera europea ha probabilmente l’occasione di mostrare che può essere una realtà concreta basata su valori e interessi comuni.

In altre parole non bisogna lasciare sola l’Italia in un faccia a faccia con il regime egiziano. Invitati nei mesi scorsi al Parlamento europeo, i genitori del ricercatore avevano suggerito che tutti gli stati membri richiamassero i loro ambasciatori e che sospendessero gli accordi sull’invio delle armi e gli accordi economici. Tutto questo non solo per ottenere la verità sulla morte del figlio, ma anche per mandare un messaggio forte al regime del Cairo e per proteggere gli oppositori politici. Tuttavia, finora solo il governo britannico ha veramente fatto sentire la sua voce. In maggio Londra ha esplicitamente espresso la sua delusione “per gli scarsi progressi” registrati nell’inchiesta sulla morte del ricercatore dell’università di Cambridge.

Il governo britannico ha chiesto “un’inchiesta trasparente per rispondere alle preoccupazioni della comunità internazionale sulla sicurezza degli stranieri in Egitto”. Oggi l’Europa deve andare più lontano e pensare, sull’esempio del parlamento italiano, a delle sanzioni fino a quando non sarà fatta luce sulla morte di Regeni, cittadino europeo.

In questo contesto tutta l’attenzione si concentra su Parigi. In effetti in occasione del suo viaggio al Cairo in aprile, François Hollande aveva discretamente evocato la questione dei diritti umani in Egitto, il caso Regeni e quello di Eric Lang, l’insegnante francese picchiato a morte in un commissariato della polizia locale. Ma si era anche preoccupato di salvaguardare la sua “relazione speciale” con il presidente egiziano attraverso importanti contratti economici e di armi.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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