Il cristianesimo sarà salvato dalle donne
A capo della Federazione luterana mondiale, che riunisce 148 chiese sparse in tutti i continenti, c’è, da giugno scorso, una pastora, Anne Burghardt, 46 anni, teologa, originaria dell’Estonia. È la prima volta che una donna assume la guida della federazione, ma d’altro canto diverse chiese luterane nazionali sono già guidate da donne, dal Canada agli Stati Uniti, e lo stesso succede per la chiesa anglicana canadese. Siamo dunque distanti anni luce dalla situazione che vive la chiesa cattolica in cui il modello patriarcale non viene di fatto messo in discussione e ogni richiesta di cambiamento e riforma in tal senso sembra destinato a naufragare. Neanche l’apertura al diaconato femminile (servizio cui possono accedere anche i laici sposati) ha trovato spazio finora, e neppure papa Francesco sulla questione femminile è riuscito a produrre quel mutamento che in molti si aspettavano. Ma se si allarga lo sguardo alle altre confessioni cristiane, in particolare alle chiese riformate, la situazione è diversa.
Anne Burghardt, eletta appunto nel giugno scorso ed entrata in carica a novembre, durante il suo primo incontro con i giornalisti ha affermato tra le altre cose: “Serve equilibrio tra autonomia e responsabilità. Questo vale per noi come per le chiese anglicane e per le chiese riformate. Quello che serve è la volontà al dialogo, essere pronti ad ascoltare gli argomenti delle diverse posizioni. Penso che come Federazione luterana mondiale, insieme alle altre chiese, possiamo portare un grande contributo nella metodologia di risoluzione conflitti, attraverso i metodi del consenso e altri metodi che dobbiamo esplorare”. Una ricerca aperta, insomma, per coltivare una disponibilità a superare le controversie provando a comprendere anche le ragioni dell’altro, i punti di vista contrapposti; questi ultimi emergono con evidenza, rilevava la Burghardt, “per esempio su temi quali l’ordinazione delle donne, il matrimonio e la sessualità”; si tratta di contrapposizioni che possono essere superate attraverso “l’educazione teologica. È questa che permette di superare le visioni in bianco e nero. In particolare, nel contesto luterano, con l’approccio dialettico possiamo tenere insieme differenti visioni che sembrano contraddittorie, allenandoci a integrare i punti di vista. Questo è importante non solo per aumentare la cooperazione, ma anche per la formazione delle future generazioni pastorali”. Il cristianesimo insomma sta cambiando, d’altro canto l’ordinazione delle donne nelle chiese protestanti storiche ha preso il via più di cinquant’anni fa e in quella anglicana è in vigore da circa trent’anni.
Nel 2020 Anne Soupa, femminista e attivista cattolica francese, che da tempo propone un modello ecclesiale partecipativo aperto a laiche e laici opposto a quello clericale, si è candidata alla carica di arcivescova di Lione dopo le dimissioni del cardinale Philippe Barbarin, coinvolto in una vicenda di coperture di abusi sui minori. Il gesto, provocatorio o profetico a seconda di come lo si voglia interpretare, ha fatto scalpore. “La scelta di Lione”, spiegò a suo tempo in un’intervista, “è stata del tutto naturale. La sede è vacante e si tratta della diocesi francese che ha maggiormente sofferto per gli abusi sui minori. Lo dico da tempo: quando più donne saranno in posizione di responsabilità nella chiesa, gli abusi si ridurranno perché il sistema degli abusi è tenuto in piedi dall’autosegregazione clericale”.
È lo stesso modello di chiesa costruita intorno alla figura totem del sacerdote, o ancora di più del vescovo, a essere messo in discussione
Più di recente, tornado sugli stessi temi, ha scritto: “Ciò che manca è la parità. Dato che le donne non possono occupare alcuna posizione decisionale, non possono essere sacerdoti e il prete è la figura centrale di tutta l’istituzione”, esse finiscono con lo svolgere lavori che il prete non vuole fare. Dal Vaticano II, che ha aperto le porte ai laici, un’istituzione maschile e patriarcale è riuscita a creare un sottoproletariato femminile al suo servizio. Prima di tutto”, aggiungeva, “Roma dovrebbe smettere di assegnare alle donne un destino già scritto, quello di aiutare gli uomini come mogli e madri”. È necessario, invece, “che diventino veri soggetti, riconosciuti nello spazio pubblico ecclesiale”. Dunque è lo stesso modello di chiesa costruita intorno alla figura totem del sacerdote, o ancora di più del vescovo, a essere messo in discussione, quel clericalismo denunciato a più riprese dallo stesso papa Francesco come uno dei mali della chiesa.
Buoni alleati
D’altro canto anche nel mondo protestante il percorso non è stato scontato o tutto in discesa, spiega a Internazionale Lidia Maggi, pastora e teologa battista: “Ci sono stati lunghi dibattiti assembleari, chiaramente le nostre strutture sono diverse da quelle cattoliche, ne abbiamo discusso per decenni e poi il cambiamento c’è stato anche grazie a uomini che hanno portato avanti questa istanza nelle chiese”. Due sono stati quindi i fattori decisivi: “La lotta delle donne e il contributo di uomini che si sono fatti da parte, che hanno condiviso e portato avanti determinate impostazioni teologiche. Sì, su questo fronte abbiamo avuto buoni alleati maschi”.
Il cambiamento, poi, se a livello teorico sembra clamoroso rispetto a tradizioni secolari, una volta maturato nell’esperienza assume i connotati di una normalità in cui è una chiesa senza donne a diventare rapidamente anacronistica: “Posso dire che quando io ho cominciato a fare la pastora eravamo ancora in una fase di sperimentazione per cui c’erano delle resistenze”, osserva Lidia Maggi. “Io sapevo che in alcune chiese, anche se battiste, non sarei stata accolta benissimo; tuttavia, mio figlio minore che ha 22 anni, è cresciuto all’interno di un mondo dove ci sono le donne pastore. Per lui è inconcepibile una chiesa dove non ci siano le donne. Ho capito come in pochi decenni questa presenza delle donne ha cambiato l’immaginario, e questo è già un dato interessante: vale a dire che bisogna sperimentare per poter superare i pregiudizi, le resistenze e cambiare una situazione; ora i nostri ragazzi e le nostre ragazze non riescono nemmeno a immaginare un tempo in cui non c’erano le donne nella chiesa”. In questa prospettiva, afferma Maggi, “io svolgo un lavoro, un servizio, molto simile a quello dei presbiteri. Chiaramente lo faccio da un’altra postura, quella di una donna che comunque reclama la sua laicità e reclama anche il suo essere donna per cui do un contributo specifico e mi accorgo che questo necessariamente fa la differenza perché ci sono una sensibilità e uno sguardo diversi sulle cose”.
A Roma la strada è ancora lunga
Il cammino nella chiesa cattolica su questo versante è invece ancora lungo, per quanto sia al livello accademico sia ai vertici di organizzazioni e movimenti, da tempo le figure femminili abbiano sfondato il tetto di cristallo. Quella che non muta è però la forma istituzionale della chiesa, le sue strutture, che corrispondono poi a una visione culturale e teologica più generale. Francesco ha introdotto qualche novità in Vaticano, ha lanciato dei segnali, però ancora distribuiti con il contagocce. Bisogna guardare a certe nomine per comprendere la strategia dei piccoli passi del papa; come quella di suor Nathalie Becquart, religiosa francese, sottosegretaria del sinodo dei vescovi, un incarico che le darà automaticamente diritto di voto alla prossima assemblea sinodale – dedicata proprio alla partecipazione nella vita della chiesa – in programma nel 2023, dopo due anni di discussione nelle chiese locali in cui tutti, laici e chierici, sono stati chiamati, almeno formalmente, a dare il proprio contributo. Sarà la prima volta che una donna voterà le deliberazioni decise dal sinodo, ma la novità, pur significativa, appare ancora troppo timida.
C’è poi suor Alessandra Smerilli, che è stata nominata in breve tempo, prima consigliera di stato della Città del Vaticano e poi segretaria del dicastero per lo sviluppo umano integrale (il “ministero” che si occupa di promuovere la dottrina sociale della chiesa nel mondo). Altre sottosegretarie, laiche e religiose, si trovano inoltre in diversi dicasteri vaticani, compresa la segreteria di stato. Gradini e ostacoli superati lentamente: una faticosa ascesa che però, finora, non ha toccato i vertici del potere curiale (si pensi che in Italia, alla guida di una realtà come la Tavola valdese, organo che rappresenta le chiese metodista e valdese, c’è una moderatora, Alessandra Trotta).
D’altro canto modificare assetti a lungo considerati inattaccabili, costruiti intorno a una struttura fortemente gerarchizzata e tutta al maschile, non è semplice; per questo, pure, il papa ha seguito una strada forse un po’ tortuosa ma in grado di offrire una possibilità al cambiamento: prima riformando l’istituto stesso del sinodo, trasformandolo cioè da organismo puramente consultivo a organismo in grado di prendere decisioni per tutta la chiesa, quindi provando a coinvolgere nel metodo sinodale tutto “il popolo di Dio”; forse passando da questa porta lasciata aperta può arrivare qualche segno di rinnovamento.
Per Lidia Maggi, una differenza importante rispetto alla chiesa cattolica, nella tradizione protestante “è il fatto che tutte le cariche sono elettive, non sono a vita. Questo è importantissimo per cui non dovrei dire‘I o sono una pastora’ ma ‘Io faccio la pastora’. Lo so che può suonare strano però è per ricordarci sempre che se questo è un carisma riconosciuto dalla chiesa e non è detto che tu lo abbia per tutta la vita, potresti a un certo punto non essere più adatta per il ruolo che hai; le nostre chiese si sono tutelate così: nessun pastore ha una carica a vita in una chiesa ma c’è una rotazione necessaria. Nel caso battista non puoi stare per più di 15 anni in una comunità, nel caso valdese sono due mandati di sette anni”.
Esercizio del potere, modalità di accesso a ruoli di guida spirituale di una comunità, apertura ai laici uomini e donne: tutti temi chiave al centro anche del dibattito interno alla chiesa cattolica, tornati d’attualità con il pontificato di Francesco grazie al quale, comunque la si metta, è ricominciata una discussione vera all’interno del cattolicesimo. Come nel caso della Germania che ha indetto un proprio cammino sinodale per affrontare le conseguenze dello scandalo degli abusi sui minori e ridisegnare una chiesa più in sintonia con i tempi. Anzi, il presidente dei vescovi tedeschi, monsignor Georg Bätzing in una recente intervista a Stern, ha lanciato un allarme da non sottovalutare: la sfiducia delle persone nella chiesa sta determinando una situazione catastrofica, sono i credenti che stanno scomunicando l’istituzione: “Dobbiamo prevenire gli abusi, condividere il potere. Dobbiamo ripensare la morale sessuale della chiesa, il celibato, il ruolo delle donne, fino all’ordinazione femminile”, perché l’insegnamento in materia di Giovanni Paolo II è superato e “gli argomenti per rifiutare il sacerdozio delle donne non sembrano essere davvero accettati ancora oggi dal popolo di Dio”.