Dopo dieci mesi finisce con una disfatta personale la parabola politica di Mario Monti. Lascia la presidenza del suo partito e passa al gruppo misto del senato. Il professore paga un prezzo altissimo per una decisione che si è rivelata profondamente sbagliata: quella di avventarsi nella pericolosa arena della politica italiana.

Quella che agli occhi dell’ex premier doveva essere una salita, si è tramutata presto in una discesa sempre più rovinosa. Per mesi Monti aveva assicurato di non avere nessuna intenzione di mettersi in politica. Poi ha fatto l’esatto contrario e ha abbandonato il suo ruolo di economista indipendente prestato alla politica: una decisione non condivisa dalla stragrande maggioranza degli italiani.

Nonostante la sua esperienza internazionale ha commesso una serie di errori fatali. Pur criticando i vecchi partiti come “non riformabili”, si è unito a due dinosauri della politica: Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini. Ha irritato gli elettori liberali con una serie di note facce cattoliche in lista e con il sostegno del Vaticano. Gli elettori di sinistra invece sono rimasti perplessi dall’alto numero di imprenditori in lista.

La candidatura dell’olimpionica Valentina Vezzali, che in parlamento brilla con un assenza record del 99,8 per cento, si è rivelata un flop populista. Sembra un’ironia del destino: il solerte cattolico Mario Monti è vittima di una specie di congiura dei cattolici che lui ha portato in parlamento. E che sotto la regia di Casini e del ciellino Mario Mauro tramano per rifondare una specie di nuova Dc aperta anche al Pdl e al facce stranote come Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi.

Nel partito ora volano gli stracci. Un conflitto sulla presidenza della commissione antimafia contribuisce a scaldare ulteriormente gli animi. Già tra pochi giorni in senato potrebbe nascere una nuova fazione di circa 25 parlamentari orientata verso il Ppe. E che potrebbe portare una quindicina di rappresentanti uscenti di Scelta civica a votare in senato contro la decadenza di Silvio Berlusconi.

È sbagliato imputare il fallimento dell’ex premier alla sua inesperienza politica o alla sua ingenuità. È stata la sua notevole presunzione a suggerire a Monti un’avventura dalla quale esce con le ossa rotte.

La segreteria di Valentina Vezzali precisa: “Si comunica che quanto riportato è falso e non corrisponde a verità. Con assenza s’intendono i casi di non partecipazione al voto: sia quello in cui il parlamentare è fisicamente assente (e non in missione) sia quello in cui è presente, ma non vota. Purtroppo attualmente i sistemi di documentazione dei resoconti di camera e senato non consentono di distinguere un caso dall’altro. I regolamenti non prevedono la registrazione del motivo dell’assenza al voto del parlamentare. Non si può distinguere, pertanto, l’assenza ingiustificata da quella, ad esempio, per ragioni di salute. A tale proposito si ricorda che l’onorevole Vezzali si è avvalsa del periodo di maternità obbligatoria, rientrando in parlamento con la chiusura anticipata della maternità. Pertanto dal 6 settembre 2013 è presente sia in aula che in commissione, come potrete verificare dai dati riportati dal sito della camera dei deputati/Openpolis” (19 novembre 2013).

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it