Per i mezzi d’informazione internazionali il fallimento dell’Italia non è più un tabù. “È arrivato il momento di valutare le conseguenze di un eventuale fallimento dell’Italia”, scrive il Financial Times. Renzi ha promesso riforme radicali, “ma non le ha ancora realizzate”, scrive il prestigioso quotidiano economico. E anche se riuscisse a farle adottare, “non sarebbero sufficienti.”

Il crescente scetticismo che accompagna gli annunci e gli slogan di Renzi racchiude una domanda essenziale: l’Italia è un paese riformabile? Osservando gli ultimi due decenni sorge qualche dubbio. Romano Prodi ha fallito con una coalizione di 11 partiti che poteva contare su una maggioranza di pochi voti. In più di dieci anni Silvio Berlusconi, che disponeva di una maggioranza ampia, non è riuscito a realizzare la “rivoluzione liberale” che aveva promesso. Mario Monti è partito con le credenziali di economista prestigioso, ma ha smentito se stesso fondando un partito estremamente rissoso. Alcune sue leggi non sono mai entrate in vigore perché mancano le norme di attuazione.

Matteo Renzi è partito per rompere gli schemi, e finora ha promesso molto e mantenuto poco. Lo scetticismo degli europei non sembra infondato. In nessun altro grande paese europeo c’è una resistenza così tenace a ogni tentativo di riforma. Da decenni, gruppi di pressione e corporazioni influenti cercano di ostacolare o svuotare ogni tentativo serio di cambiare questo paese ingessato.

Renzi si presenta come vittima dei “poteri forti”, ma molte delle sue riforme pasticciate convincono poco gli altri governi europei. A cominciare dalla presunta abolizione delle province, delle quali in questi giorni si stanno rinnovando i consigli. Come un mantra, nelle capitali europee si ripetono ossessivamente le esortazioni a realizzare rapidamente le riforme strutturali.

Cosa sarebbero queste riforme lo spiega in modo convincente l’economista Mario Deaglio su La Stampa: “Dietro il generico ‘fare le riforme’ si nasconde una trasformazione rapida e non indolore della società. Occorre ripensare radicalmente la burocrazia e ridurre così i tempi delle decisioni pubbliche. Non serve tagliare lasciando invariata la struttura, come hanno fatto gli ultimi governi. È necessario ridurre i livelli decisionali e imboccare una strada scomodissima che implica una riduzione sensibile dei pubblici dipendenti”.

Deaglio conclude il suo editoriale con un’osservazione impietosa: “È legittimo aspirare a ridiventare un museo” a cielo aperto, come nell’ottocento. “Sarebbe invece improprio, mentre si ridiventa un museo, credersi ancora un paese all’avanguardia e rivendicare primati che non esistono più”.

Anche per il Financial Times l’Italia può essere salvata solo da una cura drastica: “Deve riformare la giustizia, abbassare le tasse al livello della media europea e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione. In altre parole: deve modificare il suo sistema politico. E potrebbe non bastare”. Molti dubitano che Matteo Renzi possa vincere questa drammatica sfida. E in molti cercheranno di impedirglielo.

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