Matteo Renzi vuole licenziare gli assenteisti in 48 ore
Da decenni il dipendente pubblico in Italia è oggetto di numerose commedie e ha ispirato la fantasia di una generazione di comici. In molti hanno raccontato con ironia e rassegnazione i vizi di un settore dalla sindrome incurabile e che ha resistito a tutti i tentatativi di estirpare le sue numerose anomalie. Per esempio quella dei furbetti del cartellino.
L’ultimo caso è di appena dieci giorni fa: al museo delle arti e tradizioni popolari di Roma una decina di dipendenti andavano al posto di lavoro giusto per timbrare il cartellino, per poi andarsene a casa. Oppure timbravano anche per altri colleghi che si erano risparmiati anche la fatica di andare in ufficio. Una dipendente, nell’orario di servizio, vendeva verdure nel negozio del marito. Le immagini delle telecamere nascoste trasmesse dai tg ricordavano tristemente quelle del comune di Sanremo: mancava solo il famoso vigile che timbrava in mutande. Il pubblico ministero Stefano Fava ha chiesto l’arresto per i nove colpevoli, ma il giudice istruttore non l’ha concesso. Quindi sono stati sospesi per un anno. La pena è stata criticata come troppo lieve.
Ora il governo intende aumentare drasticamente le pene per gli statali assenteisti: se c’è flagranza di reato, saranno licenziati in 48 ore. Il relativo decreto annunciato da Matteo Renzi dovrebbe approdare al consiglio dei ministri il 21 gennaio. Per il premier è “un fatto di buonsenso e di rispetto”.
In Italia l’assenteismo nel settore pubblico arriva al 15 per cento, tre volte quello del privato
Il testo dovrebbe eliminare tutti gli ostacoli che finora hanno impedito di punire adeguatamente gli assenteisti del settore pubblico. Perché una legge sostanzialmente inapplicabile ha finora protetto i fannulloni: ogni anno su settemila procedimenti disciplinari intentati, solo 200 persone sono state licenziate. Gli altri casi si sono arenati perché le norme sono disapplicate dai dirigenti o perché i provvedimenti venivano bloccati da una valanga di ricorsi. Così nell’Atac, l’azienda del trasporto pubblico di Roma , 2.500 provvedimenti disciplinari sono fermi perché impugnati dai dipendenti. Ogni giorno sono 1.500 i dipendenti che non si presentano al lavoro. Nel settore scolastico ogni anno i provvedimenti sono oltre 3.500. Con la nuova norma rischiano anche i dirigenti che finora non hanno applicato le norme per paura di reintegro da parte della corte dei conti. Se passerà il decreto legge, saranno obbligati a farlo altrimenti anche loro rischiano il licenziamento.
In Italia l’assenteismo nel settore pubblico arriva al 15 per cento, tre volte quello del privato. L’annuncio del giro di vite ha scatenato puntualmente le solite polemiche. Mentre Confindustria appoggia il piano del governo e chiede lo stesso trattamento dei privati, i sindacati esprimono critiche. Per la Cgil c’è il rischio di “compromettere il diritto alla difesa del dipendente accusato”, per la Cisl il decreto è semplicemente “una marchetta”. La vicesindaca milanese Francesca Balzani lo bolla come “demagogia”, mentre per il sociologo del lavoro Domenico De Masi è “sacrosanto”. Piuttosto scettico il giuslavorista Pietro Ichino del Partito democratico: “Per aumentare l’efficienza del settore pubblico non basta punire l’assenteista, ma occorre responsabilizzare i dirigenti in relazione a risultati specifici, precisi e misurabili, con la prospettiva di perdere l’incarico”.
La nuova norma sarà operativa tra tre mesi, dopo il parere delle commissioni parlamentari. E solo allora si potrà giudicare se funziona realmente per stroncare definitivamente il fenomeno imbarazzante dei furbetti del cartellino. O se si tratta, come sostengono alcuni critici, “dell’ennesima boutade renziana”.