La “bella morte” non viola il diritto alla vita
La Corte europea per i diritti umani ha dato il via libera all’interruzione delle cure per Vincent Lambert, un infermiere psichiatrico di 38 anni tetraplegico e in stato vegetativo da quando un incidente stradale gli ha provocato lesioni cerebrali irreversibili, nel 2008. Lambert è ricoverato da allora nella clinica universitaria di Reims, dove è alimentato e idratato artificialmente.
La sua vicenda ha messo alla prova la legge Leonetti sul fine vita, votata nel 2005 proprio per regolamentare i casi simili ed evitare l’eutanasia. La legge non autorizza infatti a compiere atti o omissioni volti a provocare il decesso di un paziente colpito da una malattia inguaribile e che gli procurano sofferenze insopportabili, ma consente di chiedere che non venga praticato l’accanimento terapeutico. La volontà può essere espressa dal paziente tramite istruzioni apposite o da una persona di fiducia.
Ma come stabilire chi è la “persona di fiducia”? Per l’équipe del dottor Eric Kariger, il primario che seguiva Vincent Lambert, è la moglie di quest’ultimo, Rachel. D’accordo con lei, Kariger, ha stabilito nell’aprile 2013 che il mantenimento delle cure costituisca “un’ostinazione non ragionevole” e ha deciso di interrompere progressivamente l’alimentazione e l’idratazione. I genitori e alcuni dei fratelli di Vincent hanno però un’opinione diversa, e ritengono che la sua situazione rientra piuttosto nella fattispecie dell’“handicap”, e non di “una malattia cerebrale inguaribile”. Rachel e altri parenti di Vincent accusano i genitori di agire per motivi religiosi: la madre Viviane è vicina alla Fraternità sacerdotale San Pio X, un movimento cattolico integralista. Nonostante questo, i genitori hanno chiesto e ottenuto dal tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne il ripristino d’urgenza delle cure un mese dopo, mentre Vincent stava morendo.
A dicembre, l’équipe medica, sempre sostenuta da Rachel, ha avviato la “procedura collegiale di fine di vita” prevista dalla legge Leonetti contro il parere di una parte della sua famiglia. Ma il tribunale amministrativo di Châlons, sempre su richiesta dei genitori di Vincent, ha bloccato di nuovo la procedura a inizio gennaio 2014. A questo punto Rachel, l’ospedale di Reims e alcuni parenti si sono rivolti al consiglio di stato perché facesse applicare la legge. Il supremo tribunale amministrativo a giugno ha deciso che la procedura poteva andare avanti, sentenza immediatamente impugnata dai genitori di fronte alla corte di Strasburgo. La corte di Strasburgo ha ordinato la sospensione della procedura. E arriviamo a oggi: con dodici voti a favore e cinque contrari, la Grande camera della corte ha deciso che la Francia non ha violato il diritto alla vita “autorizzando l’interruzione dell’alimentazione e l’idratazione artificiali di una persona in stato vegetativo cronico”. La sua decisione è definitiva.
Adesso, spiega Le Monde, “la sospensione della procedura decisa dalla corte di Strasburgo sarà interrotta, rendendo possibile l’interruzione effettiva” delle cure per Vincent Lambert. I suoi genitori hanno però annunciato che chiederanno che una nuova procedura di fine di vita sia avviata, poiché il dottor Kariger non lavora più nell’ospedale di Reims, e che comunque contesteranno la decisione del suo successore perché, secondo loro, Vincent ha ripreso a deglutire solo da qualche mese. La vicenda potrebbe quindi proseguire ancora per mesi.
Comunque si concluda, la decisione della corte europea costituisce un precedente per tutti e 47 gli stati membri del Consiglio d’Europa in materia di accanimento terapeutico. “Non appena uno stato vorrà modificare la sua legislazione sulla materia dovrà tener conto dei principi solennemente annunciati in questa sentenza”, ha dichiarato a Le Monde il giurista Nicolas Hervieu.
Se appare poco probabile che si riproduca in Francia la mobilitazione che accompagnò negli Stati Uniti la storia di Terry Schiavo nel 2005, il caso di Vincent Lambert e le rotture che ha provocato nella sua famiglia è emblematico del carattere apparentemente inconciliabile delle posizioni cosiddette “pro vita” e “pro scelta”. Una frattura che attraversa tutte le società – almeno quelle nelle quali la questione dell’accanimento terapeutico e dell’eutanasia si pone – e che vede spesso gli uni e gli altri sfruttare politicamente i singoli casi, diventati delle cause. Non a caso i “pro vita” hanno scandito “Je suis Vincent Lambert” durante le manifestazioni contro l’eutanasia, nel gennaio scorso. La frattura si riflette ovviamente anche, amplificata, sui social network: mentre su Twitter pro e contro si scatenano, una pagina “Salvate Vincent Lambert” su Facebook punta a raccogliere cinquemila like. Neanche tantissimi, in fondo.
Il caso Lambert è anche emblematico della necessità per il legislatore – se decide di intervenire, anziché chiudere un occhio come accade spesso – di essere il più chiaro possibile, per evitare procedure lunghe e strazianti per i parenti. In Francia sono circa 1.500 le persone che vivono in stato semivegetativo e alle quali potenzialmente potrebbe essere applicata la legge Leonetti.