D i colpo anche gli ultimi dubbi si sono dissipati. Piombo fuso non è più il nome dell’operazione militare israeliana a Gaza tra il 2008 e il 2009: è tornato a essere quello che era, cioè il verso di una canzoncina per bambini della festa ebraica di Chanukkà.

Il medico palestinese Ezzeldin Abu al Aish, che ha scritto un libretto in cui racconta come le sue tre figlie sono state uccise, in realtà si è inventato la storia. I 29 morti della famiglia Al Simouni sono in vacanza ai Caraibi. Il fosforo bianco faceva parte degli effetti speciali di un film di guerra. Quelli a cui hanno sparato mentre sventolavano una bandiera bianca erano un miraggio nel deserto, e così anche la morte di centinaia di civili, tra cui donne e bambini.

Richard Goldstone – il giudice sudafricano che guidò la missione d’inchiesta dell’Onu sull’operazione Piombo fuso e scrisse un rapporto molto critico sia verso Hamas sia verso Israele – ha scritto sul Washington Post un sorprendente e inspiegabile articolo in cui attenua le colpe dello stato ebraico. Suscitando in Israele gioia e festeggiamenti in suo onore. Anzi, diciamo pure che Israele ha ottenuto una vittoria di pubbliche relazioni, e per questo le congratulazioni sono d’obbligo. Ma gli interrogativi rimangono, opprimenti come sempre, e l’articolo di Goldstone – sempre ammesso che abbia cancellato tutti i timori e i sospetti – non ha risposto a molte domande.

Cos’è successo?

Chi ha apprezzato il giudice Goldstone prima maniera deve apprezzarlo anche adesso, ma deve anche chiedergli: giudice, cosa le è successo? Cosa sa oggi che non sapesse allora? Forse non sapeva che criticare Israele avrebbe scatenato una campagna di pressioni e calunnie che lei, da tipico “ebreo che odia se stesso”, non era in grado di reggere? A indurla a cambiare idea sono stati i due rapporti della giudice Mary McGowan Davis, incaricata dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu di verificare e approfondire le conclusioni del suo rapporto?

Se è così, dovrebbe leggere quei rapporti con attenzione. Nel secondo, reso pubblico un mese fa (ma di cui in Israele, chissà perché, nessuno ha parlato), la giudice newyorchese ha scritto: nulla induce a pensare che Israele abbia avviato un’indagine sugli ideatori, i pianificatori, i comandanti e i supervisori dell’operazione Piombo fuso. E allora, giudice Goldstone, come fa a sapere quali scelte politiche c’erano dietro i casi su cui lei ha indagato? E cos’è questo entusiasmo da cui è stato colto di fronte alle inchieste avviate dalle forze armate israeliane dopo il suo rapporto?

Lei dev’essere animato da una fede particolarmente cieca in Israele, per credere che le sue forze armate (come qualsiasi altra organizzazione) possano indagare su se stesse. E per ritenersi soddisfatto di indagini fatte tanto per fare. A quelle indagini, infatti, non è seguita nessuna ammissione di responsabilità e praticamente nessun procedimento giudiziario: c’è un solo militare israeliano sotto processo per quelle uccisioni.

Ma mettiamo da parte i tormenti e le indecisioni del non più giovane giudice Goldstone. E mettiamo da parte anche i rapporti delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Accontentiamoci di quello che hanno affermato le stesse forze armate israeliane. Secondo l’intelligence militare, nell’operazione sono stati uccisi 1.166 palestinesi, di cui 709 terroristi, 162 che forse erano armati e forse no, 295 semplici spettatori, 80 con meno di 16 anni e 46 donne.

Da tutte le altre fonti è emerso un quadro più grave, ma proviamo a credere a quello che dicono le forze armate d’Israele. L’uccisione di circa 300 civili, tra cui decine di donne e bambini, non è un buon motivo per fare un profondo esame di coscienza nazionale? Sono stati davvero uccisi tutti per errore? E se è così, 300 errori non impongono forse di trarre qualche conclusione? Si comporta così “l’esercito più etico del mondo”? In caso contrario di chi è la responsabilità?

Questa non è una guerra

L’operazione Piombo fuso non è stata una guerra. La disparità di forze tra i due contendenti (un esercito fantascientifico contro gente a piedi nudi che lanciava razzi Qassam) rende ingiustificabile una reazione così sproporzionata. Si è trattato di una violenta aggressione contro una popolazione civile indifesa, che vive in condizioni di sovraffollamento e in mezzo alla quale si nascondevano dei terroristi. Possiamo anche credere che le forze armate israeliane non abbiano ucciso dei civili intenzionalmente: a differenza di altri eserciti non abbiamo soldati assassini. Però le forze armate israeliane non hanno fatto abbastanza per impedire che quei civili fossero uccisi. E le vittime sono state molto numerose. La nostra dottrina delle “zero vittime” tra i soldati israeliani ha un prezzo.

Goldstone ha vinto di nuovo: prima ha costretto le forze armate israeliane ad avviare un’indagine su se stesse e a elaborare un nuovo codice di comportamento, ora ha inconsapevolmente dato la sua approvazione a una seconda operazione Piombo fuso. Ma lasciatelo in pace: pensiamo a noi, non a lui. Quel che è successo ci fa piacere? Noi israeliani siamo davvero orgogliosi dell’operazione Piombo fuso?

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 893, 15 aprile 2011*

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