Mary Ellen Mark, 1940-2015
Qualche settimana fa mi hanno prestato il dvd di Alla ricerca di Vivian Maier, e tra le persone intervistate sull’eccentrica baby sitter fotografa c’era Mary Ellen Mark: “Guarda”, dico al mio compagno, “lei è una grande fotografa, ha fatto delle foto splendide sui set dei film”. Sì, perché io l’ho conosciuta così, con il libro Seen behind the scene, una raccolta di foto di scena realizzate dagli anni sessanta dietro le quinte di film come Apocalypse now, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Fellini Satyricon fino a Moulin Rouge e Sweeney Todd. Sfogliando le pagine di questo libro ti arriva subito il suo sguardo non convenzionale su registi e attori, cogliendone i momenti più autentici.
Il 25 maggio Mary Ellen Mark è morta. Aveva 75 anni. La notizia è stata diffusa ieri.
Melissa Harris, direttrice di Aperture, la definisce come una “forza della natura”, un’amica “violentemente leale”, ma soprattutto come una narratrice di eccezionale sensibilità che riusciva a connettersi in maniera intima con i soggetti fotografati.
Mark è la prima donna a entrare alla Magnum, nel 1977. Qualche anno dopo, nel 1981, abbandona l’agenzia per diventare una freelance e avere il controllo totale del suo lavoro. Time la ricorda con uno dei suoi reportage più famosi: Streetwise, pubblicato da Life nel 1983, che apre una finestra sui minori scappati di casa e che vivono nelle strade di Seattle. Prima di Streetwise, l’autrice realizza un altro dei suoi reportage più importanti, Ward 81, per il quale nel 1976 trascorre sei settimane nella sezione femminile di un manicomio criminale dell’Oregon: “Volevo documentare le personalità delle donne che si ritrovano isolate, chiuse in una cella, per provare a mostrare chi sono veramente evitando l’esotismo della pazzia”.
Nella sua lunga carriera Mark ha pubblicato diciotto libri e girato vari documentari con il marito Martin Bell. Uno dei lavori più recenti è Proms del 2012, una serie di ritratti ai liceali statunitensi durante il ballo di fine anno, realizzati con un’imponente Polaroid 20x24. Alla fine del progetto, viene intervistata dal New York Times, a cui rivela alcune delle sue idee sulla fotografia: “Non mi piacciono le trovate, le ho sempre odiate. Mi piacciono le immagini chiare e pulite. Mi piacciono le cose vere. Per questo credo che le idee migliori siano quelle meno complicate”. E sulle nuove tecnologie digitali: “Quello che sta succedendo nella fotografia oggi è veramente brutto. Tutto è diventato eccessivamente elaborato, complicato e ritoccato. Sai una cosa? Nelle mie foto non c’è alcun tipo di ritocco. È tutto merito della luce. Se sai come usarla, non ti serve ritoccare”.