Lo zen e l’arte della fotografia
Ralph Eugene Meatyard (1925-1972) lavora come ottico a Lexington, nel Kentucky, dove si trasferisce con la famiglia dall’Illinois. Nel 1950 compra una Rolleiflex, la sua prima macchina fotografica, e frequenta vari seminari, tra cui uno diretto dal fotografo Minor White, grazie al quale si avvicina alla filosofia zen.
Dalla fine degli anni cinquanta, comincia a elaborare dei racconti visivi, spesso interpretati dalla moglie, dai figli e dagli amici più cari. Sperimenta con l’esposizione multipla e lo sfocato per dare vita a scene oniriche nel Kentucky rurale che, attraverso i suoi occhi, diventa un sud afoso, misterioso e in rovina: un luogo analogo a quello fotografato da artisti come Clarence John Laughlin e Sally Mann.
Nella fotografia americana del tempo Meatyard non segue decisamente la scuola di Ansel Adams e del gruppo F64, cultori della straight photography: definizione, profondità di campo, realismo, esposizione perfetta. Principi opposti alla sua visione, colma di immagini mentali provenienti da mondi impossibili e che riescono tuttavia a colpire l’inconscio dello spettatore perché non sono altro che ricerche senza regole sull’identità, sulla coppia e sulla fotografia stessa.
Meatyard non è semplicemente un fotografo ma il narratore di un universo complesso, fondato sulla psicoanalisi e lo zen. “A volte sono stato definito un predicatore, ma in realtà sono soprattutto un filosofo. Non ho mai fatto una foto astratta che non abbia un contenuto”.
Il Blanton museum of art di Austin, in Texas, dedica una mostra all’autore con Wildly strange: the photographs of Ralph Eugene Meatyard aperta fino al 21 giugno 2015. Ma se non potete arrivare fin laggiù, Internazionale ha pubblicato un portfolio curato da Christian Caujolle nel numero 877.