Il primo a parlarne è stato Dario Di Vico sul Corriere della Sera: “Una riflessione, infine, va fatta su una tendenza che si va pericolosamente diffondendo e potremmo definire di ‘statistica spettacolo’. La produzione del dato-monstre nel giorno e nell’ora giusta per avere un quarto d’ora di celebrità, alla lunga genera rigetto e confonde l’opinione pubblica”.
Subito dopo gli ha risposto Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, ricordando che produrre dati non è mai stato così facile: “Le statistiche non sono più un ‘prodotto di nicchia’, ma sono divenute una commodity, cioè un prodotto di largo consumo. In questa situazione, dove finisce il legittimo desiderio di comunicare informazioni statistiche elaborate o semplicemente analizzate, e dove inizia la statistica spettacolo?”. Insomma, dice Giovannini, sarebbe il caso che anche in Italia, come succede all’estero, nelle redazioni ci fosse uno statistics editor, cioè un giornalista che aiuta a evitare che vengano pubblicati dati insensati.
Massimo Gramellini, sulla Stampa, ha preso un grande quotidiano italiano in un giorno qualsiasi e ha contato i numeri presenti in titoli e tabelle: 122. “Ogni argomento di conversazione”, scrive Gramellini, “sembra essersi ridotto a una questione di numeri”. E allora viene in mente Trilussa, che diceva: “Me spiego: da li conti che se fanno seconno le statistiche d’adesso, risurta che te tocca un pollo all’anno: e se nun entra nelle spese tue, t’entra ne la statistica lo stesso, perché c’è un antro che ne magna due”.
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